Cass. civ. Sez. III, Sent., 29-09-2011, n. 19866

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

rocuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio che ha concluso per il rigetto.
Svolgimento del processo

La corte di appello di Lecce ha confermato la sentenza del locale tribunale – con la quale era stata rigettata la domanda di ripetizione di indebito proposta dalla impresa di costruzioni Serafini nei confronti del comune di Lecce in relazione a lavori di puntellamento dell’istituto per ciechi Anna Antonacci e per il noleggio delle relative attrezzature – rilevando la novità della domanda e ritenendo del tutto estraneo al thema decidendum la questione relativa al contenuto degli obblighi contrattuali derivanti dall’appalto stipulato tra l’impresa Serafini e l’istituto Antonacci, con riguardo, in particolare, all’individuazione del soggetto sul quale sarebbe gravato l’obbligo di custodia del cantiere nel periodo di sospensione dei lavori (oggetto di altro giudizio instaurato dalla stessa impresa nei confronti dell’istituto committente).

La sentenza è stata impugnata dall’appellante con ricorso per cassazione sorretto da 2 motivi, articolati in 5 quesiti di diritto.

Resiste con controricorso il comune di Lecce.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Con il primo motivo, si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., travisamento dei fatti, omessa pronuncia su capo della domanda;

omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a punto decisivo della controversia; violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c..

Il motivo (al di là ed a prescindere della sua patente infondatezza nel merito, avendo la corte territoriale correttamente escluso che la formula, del tutto equivoca, contenuta nell’atto di citazione, con la quale si chiedeva "la corresponsione dei canoni di locazione o comunque di un corrispettivo per il godimento" per le strutture messe a disposizione del comune, fosse idonea a radicare in via subordinata la domanda di indebito) è inammissibile in rito.

Esso si conclude, difatti, con tre quesiti di diritto che pongono tra loro questioni del tutto difformi, il primo di essi lamentando, nella sostanza una omessa pronuncia sub specie del travisamento del fatto – ciò che postula l’adozione di un diverso mezzo di impugnazione – , come esplicitato nella stessa rubrica del motivo in esame; Il secondo invocando dal giudice di legittimità un’attività di interpretazione della domanda giudiziale che, come da costante giurisprudenza di questa corte regolatrice, rientra negli esclusivi poteri del giudice di merito e non è in questa sede censurabile volta che – come nella specie – tale attività risulti del tutto scevra da vizi logico- giuridici; il terzo ponendosi – addirittura su di un piano subordinato al precedente – nella (totalmente difforme) ottica dell’ammissibilità in appello della domanda di ingiustificato arricchimento non proposta in prime cure ma fondata sulle medesime circostanze di fatto.

Tutto ciò in aperto contrasto con quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa corte sul tema dell’interpretazione dell’art. 366 bis c.p.c..

Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1988 c.c..

Il motivo si conclude con i seguenti quesiti di diritto:

Dica la corte di cassazione, di fronte ad un riconoscimento di debito in assenza di contestazione del rapporto principale da parte dell’autore, che non può il giudicante, ex officio, esaminare il rapporto fondamentale e dichiararne la nullità con conseguente declaratoria di inesistenza dell’obbligazione di cui alla dichiarazione ricognitiva.

Dica la corte di cassazione che il riconoscimento di debito effettuato con riferimento a un rapporto fondamentale in assenza di contestazione dello stesso a parte dell’autore conserva efficacia anche quando la somma riconosciuta risulti comunque dovuta per la medesima fattispecie ma per un titolo diverso.

Ai quesiti (che possono essere in questa sede esaminati attesane la sostanziale omogeneità, che impedisce loro di cadere sotto la scure dell’inammissibilità) deve fornirsi risposta negativa, atteso che, da un canto, il comune di Lecce ha sempre contestato il rapporto fondamentale, sia in primo che in secondo grado, dichiarandosi estranea al contratto di appalto, dall’altro, che, non essendosi dibattuto in primo grado, nè esplicitamente nè per implicito, la questione della validità del contratto intercorso tra la PA e l’impresa oggi ricorrente, del tutto legittimamente il giudice di appello, nell’esercizio dei suoi poteri officiosi, poteva rilevarne la nullità, come avvenuto nel caso di specie.

Il ricorso è pertanto rigettato.

La disciplina delle spese segue – giusta il principio della soccombenza – come da dispositivo.
P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 5200,00, di cui Euro 200,00 per spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *