Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 04-05-2011) 26-05-2011, n. 21032 Responsabilità penale

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ale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Cagliari, con sentenza in data 26 settembre 2007, dichiarava P.P.G., nella sua qualità di titolare della omonima impresa individuale, colpevole del reato di cui all’art. 590 c.p., commesso in danno del lavoratore C.G. N., suo dipendente. Il primo giudice assolveva dalla medesima imputazione i coimputati T.P. e S.M., amministratori responsabili della ditta Tocsol s.n.c. che aveva costruito il cancello la cui caduta aveva determinato le lesioni a carico del C.; il Tribunale assolveva, altresì, M.W. e M.S., amministratori responsabili dell’impresa "Fratelli Milia Walter e Eligio s.n.c", impresa che aveva proceduto alla installazione del cancello di che trattasi, alcuni anni prima del verificarsi del sinistro.

2. La Corte di Appello di Cagliari, con sentenza in data 25.11.2010, in riforma della sentenza impugnata, determinava la pena in Euro 200,00 di multa ed escludeva il beneficio della sospensione condizionale.

3. Avverso la richiamata sentenza della Corte di Appello di Cagliari ha proposto ricorso per cassazione l’imputato per mezzo del difensore.

In primo luogo la parte deduce la manifesta illogicità della motivazione posta a fondamento del provvedimento impugnato in ordine alla mancata affermazione di penale responsabilità degli altri imputati nell’ambito del processo, in ragione della predisposizione di un inidoneo sistema di fermo-corsa del cancello. Oltre a ciò, la parte osserva che il proprietario, committente delle opere e gestore del cancello per alcuni anni, neppure figura tra gli imputati.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce l’illogicità della motivazione, per avere la Corte di Appello escluso l’esistenza della insidia; osserva la parte che il fermo-corsa del cancello, come erroneamente posizionato, costituiva una falsa rappresentazione della realtà, idonea ad ingannare l’imputato.

Al terzo motivo di ricorso la parte affida la doglianza relativa all’erronea applicazione della legge penale; osserva, al riguardo, che la Corte territoriale ha richiamato il manuale d’uso relativo alla installazione del cancello e non quello relativo alla elettrificazione. Sotto altro aspetto, l’esponente rileva che la norma di cui al D.P.R. n. 547 del 1955, art. 14, pure richiamata dalla Corte territoriale, regola le porte uscita e non i cancelli.

Oltre a ciò l’esponente rileva che la norma di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 6, comma 3, regola unicamente l’attività di progettisti, installatori e montatori del cancello e di coloro che debbono procedere alla installazione del sistema di automazione.

Con il quarto motivo il ricorrente deduce la mancanza di motivazione in ordine al compiuto apprezzamento circa la capacità del lavoratore infortunato, tecnico esperto di elettrificazione di cancelli, di accertare l’errato posizionamento del fermo corsa. Al riguardo, la parte richiama diffusamente le deposizioni del teste A. e della stessa parte offesa; e rileva che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che gli obblighi di vigilanza che gravano sul datore di lavoro non comportano l’esercizio di una continua vigilanza nella esecuzione di ogni attività.
Motivi della decisione

4. Il ricorso è infondato, per le ragioni di seguito esposte.

4.1 Con riferimento al primo motivo, si osserva che la Corte territoriale ha rilevato l’infondatezza dell’appello proposto dal P. osservando che P. era tenuto, nella sua qualità di datore di lavoro dei dipendenti che dovevano procedere alla installazione del sistema di automazione di un cancello già in opera da anni, a verificare, secondo quanto previsto dal manuale di installazione del sistema di automazione, che il cancello scorrevole, precedentemente costruito ed installato da altre ditte, avesse in dotazione i prescritti requisiti di sicurezza e fosse in concreto idoneo per consentire il montaggio del nuovo dispositivo. La Corte di Appello ha, peraltro, considerato che doveva escludersi la sussistenza del nesso causale tra la condotta dei costruttori e degli installatori del cancello, tenuto conto del tempo trascorso rispetto al momento del sinistro, anche in relazione all’intervenuta rimozione del fermo corsa supplementare originariamente installato. Il Collegio ha evidenziato che, anche ipotizzando una colpa a carico dei predetti soggetti, restava ferma la responsabilità del P., il quale era gravato da un autonomo obbligo di verificare, prima di dare corso alle operazioni di installazione del sistema di movimentazione automatica, che il cancello fosse dotato di un idoneo meccanismo di scorrimento. Sul punto, mette conto rilevare che la pubblica accusa non ha proposto appello avverso le richiamate pronunce assolutorie, di talchè sfugge la rilevanza delle censure afferenti la penale responsabilità degli altri coimputati, dedotte dall’esponente.

Si osserva, inoltre, che la Corte territoriale ha espressamente escluso che potesse attribuirsi alcuna responsabilità dell’accaduto al committente dei lavori, D.G., sia per non avere costui avvertito gli installatori dell’inconveniente rappresentato dall’errore commesso dalla Tocsol nella realizzazione del cancello, con riguardo alla lunghezza del binario a terra, cui avevano posto rimedio gli installatori, apponendo un tondino di ferro in sostituzione del fermo-corsa difettoso; sia per l’eventuale successiva rimozione del predetto tondino. Al riguardo il Collegio ha osservato che la ditta P. aveva chiesto al D. di preparare le tracce per la posa in opera di fili dell’elettrificazione e che proprio tale richiesta avrebbe dovuto indurre l’imputato a verificare l’esistenza di tutti i sistemi di sicurezza, prima di procedere alla installazione del sistema di automazione.

4.2 Del pari infondati risultano il secondo ed il terzo motivo di ricorso, che si esaminano congiuntamente.

La Corte di Appello di Cagliari ha escluso, secondo un conferente percorso logico argomentativo non censurabile in questa sede di legittimità, la sussistenza di una insidia, della quale fosse rimasto vittima il dipendente C.. La Corte territoriale ha, sul punto, chiarito che l’obbligo di verifica in ordine alla fattibilità dell’opera gravava, in via primaria, sul datore di lavoro. Trattasi di rilevo pienamente conforme rispetto al consolidato orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità. Invero, questa Suprema Corte ha chiarito che il datore di lavoro, garante dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità dei prestatori di lavoro, è tenuto ad osservare e a far osservare sia le norme specifiche emanate per la prevenzione degli infortuni, sia le norme generiche dettate dalla comune prudenza (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 23505 del 14/03/2008, dep. 11/06/2008, Rv. 240840). E la Corte di Appello ha precisato che in ordine alla verifica di fattibilità dell’intervento di elettrificazione venivano in rilievo sia le prescrizioni contenute specificamente nel manuale di installazione del sistema di automazione sopra richiamato, sia le disposizioni di cui al D.P.R. n. 547 del 1955, art. 14, comma 12, ove è previsto, in via generale, che le porte scorrevoli siano munite di un dispositivo idoneo ad impedire la fuoriuscita dalle guide o il ribaltamento.

Preme poi evidenziare che sussiste continuità normativa tra le disposizioni di cui al D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 14, comma 12, ora richiamate – benchè formalmente abrogate dal D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 304, Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro – e la vigente normativa antifortunistica. Invero, il contenuto delle predette disposizioni risulta ad oggi recepito dall’art. 63, in combinato disposto con le analitiche prescrizioni di cui all’allegato 4, D.Lgs. n. 81 del 2008, disposizioni che tuttora sanzionano penalmente le cautele antinfortunistiche di cui si tratta. E medesimo ordine di considerazioni si impone con riguardo alle previsioni di cui al D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 6, comma 3, in relazione alle vigenti disposizioni generali in materia di sicurezza dei luoghi di lavoro, di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 62 e ss..

4.3 Il quarto motivo di ricorso risulta infondato.

La Corte territoriale ha precisato che il datore di lavoro, in relazione alla sua posizione di garanzia, a prescindere dall’elevato grado di esperienza del dipendente C., aveva comunque l’obbligo giuridico di verificare la fattibilità dell’opera, di impartire al medesimo dipendente le prescritte disposizioni e di vigilare sull’osservanza delle norme antinfortunistiche. Quanto alla condotta della vittima, il Collegio ha chiarito che – tenuto conto del tempo trascorso dall’originaria posa in opera del cancello – il dipendente prima di procedere alla installazione del sistema di automazione aveva il preciso dovere di verificare la presenza di un idoneo sistema di sicurezza atto ad evitare la fuoriuscita del cancello dalle guide; e che pertanto, C. non poteva fare affidamento sull’esistenza di un fermo corso, in realtà non funzionante. Non di meno, la Corte di Appello ha tuttavia del tutto legittimamente considerato che l’individuato profilo di imprudenza del lavoratore non escludeva, nel caso, la responsabilità del datore di lavoro. Si osserva, al riguardo, che questa Suprema Corte ha chiarito che, nel campo della sicurezza del lavoro, può escludersi l’esistenza del rapporto di causalità unicamente nei casi in cui sia provata l’abnormità del comportamento del lavoratore infortunato e sia provato che proprio questa abnormità abbia dato causa all’evento.

Nella materia che occupa deve, cioè, considerarsi abnorme il comportamento che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro. E la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che l’eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l’obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica (cfr. Cass., sez. 4, 14 dicembre 1999, n. 3580, Bergamasco, Rv. 215686; Cass., 3 giugno 1999, n. 12115, Grande, rv. 214999; Cass. 14 giugno 1996, n. 8676, Ieritano, Rv. 206012). La Suprema Corte ha pure chiarito che non può affermarsi che abbia queste caratteristiche il comportamento del lavoratore – come pacificamente avvenuto nel caso di specie – che abbia compiuto un’operazione rientrante pienamente, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro espressamente attribuitogli (Cass. Sez. 4, sentenza n. 10121 del 23.01.2007, rv. 236109).

5. Al rigetto del ricorso, che si impone, segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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