T.A.R. Lombardia Milano Sez. I, Sent., 25-05-2011, n. 1316

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La ricorrente vanta la disponibilità di aree municipali per l’esercizio di attività estrattiva (in virtù di autorizzazione regionale dell’8.4.1986 rilasciata per quattro anni e successivamente prorogata dalla Provincia di Milano sino al 1994) in forza di una convenzione stipulata con il Comune di Milano il 16.9.1971.

Rilevate violazioni in materia ambientale a seguito di accertamenti esperiti dalla Polizia Municipale (cui seguiva un procedimento penale definito con sentenza di condanna a carico dei responsabili della società ricorrente), l’Amministrazione, con ordinanza del 30.7.1997 ha disposto, a cura della ricorrente, gli interventi necessari (caratterizzazione dei rifiuti e redazione di un piano di indagine del sottosuolo) e, con provvedimento del 30 marzo 1998, PG 2.732.020/11.469 R.I. aree 1997 (impugnato innanzi a questo TAR con ricorso iscritto al n. 2231/1998) ha disposto la revoca della concessione (confermata con atto datato 29 maggio 2001, fatto oggetto di impugnazione con motivi aggiunti)

Il relativo giudizio è stato definito con sentenza n. 2334 del 5.6.2002 di inammissibilità per difetto di giurisdizione sul rilievo che:

"- le cave fanno parte del patrimonio indisponibile statale o regionale solo quando, a scopo estrattivo, ne sia sottratta la disponibilità al proprietario del fondo, rientrando negli altri casi nel privato dominio del titolare del suolo, e dunque, se questo è un comune, nel patrimonio disponibile del medesimo, con conseguente soggezione dei relativi negozi al regime privatistico (Cons. Stato VI, 13.6.00 n. 3291);

– la convenzione 16 settembre 1991, nonostante l’uso di una terminologia fuorviante (concessione, concessionario), si connota come negozio di diritto privato, non avendo ad oggetto alcun bene che possa qualificarsi – per l’appartenenza ad una categoria pubblicistica o per la destinazione in atto a un pubblico servizio – come bene pubblico;

– nella c.d. revoca della concessione, cui il Comune si è determinato in seguito ad asseriti abusi e inadempienze della "concessionaria", non è ravvisabile esercizio di pubbliche potestà, bensì esercizio di facoltà che competono a qualsiasi contraente privato che addebiti alla controparte la violazione di clausole contrattuali;".

L’Amministrazione comunale ha quindi convenuto la ricorrente innanzi al Tribunale civile di Milano onde ottenere, in un primo tempo, la convalida della licenza di finita locazione ed il rilascio dell’area e, dopo la conversione del rito disposta da quel giudice ex art. 180 c.p.c., l’accertamento dell’intervenuta estinzione del rapporto vigente fra le parti; in subordine, ha avanzato domanda di accertamento del rapporto ex art. 1616 c.c., qualificandolo come affitto senza determinazione di tempo, e infine, in ulteriore subordine, ha richiesto la risoluzione del contratto per inadempimento.

Il giudice adito, con sentenza n. 867/2009, accogliendo specifica eccezione della convenuta odierna ricorrente ha respinto la qualificazione del rapporto quale locazione, lo ha inquadrato nella fattispecie dell’affitto senza determinazione di tempo ex art. 1616 c.c., ha riconosciuto all’atto di recesso comunicato in data 28.5.2002 efficacia in ordine all’estinzione del contratto di affitto con effetto dal 30.7.2003 e, infine, ha condannato la convenuta al rilascio del bene.

La Corte d’appello di Milano, con ordinanza del 20.10.09, ha sospeso la sentenza di primo grado, ritenendo da riesaminare la questione relativa alla qualificazione del contratto.

Nel frattempo l’Amministrazione, sul presupposto che l’attività della ricorrente determinasse la produzione di residui inquinanti, con l’atto impugnato, ha intimato di procedere:

– ad indagini ambientali "finalizzate ad accertare se nell’ambito delle aree (di interesse) risultanti dall’imbonimento: siano giacenti rifiuti da cui possa derivare un concreto pericolo di inquinamento dall’acqua di falda; siano giacenti rifiuti pericolosi";

– ad interventi sullo strato superficiale del terreno per assicurare che il medesimo, al momento della restituzione al Comune, si presenti "dal livello del piano d campagna e fino alla profondità di meno cinquanta centimetri composto da terreno di coltura;dalla profondità di meno cinquanta centimetri alla profondità di meno di 100 centimetri, da terreni di scavo che contengano al massimo il 10% in volume dei rifiuti i cui codici siano compatibili con le attività di recupero ai sensi del D.M. 5/02/98".

Con il medesimo atto è stato altresì chiesto di effettuare "anche le analisi delle acque di lago allo scopo di verificare che la qualità delle stesse non risulti variata rispetto a quella attestata dalle certificazioni già effettuate" comunicando la sequenza temporale dei prelievi onde consentire la partecipazione dell’Amministrazione alle operazioni di campionamento.

Pur dubitando, come la stessa ammette, della natura provvedimentale dell’atto, la ricorrente lo ha comunque impugnato in via prudenziale deducendo:

1. vizio di incompetenza e difetto di motivazione;

2. eccesso di potere per illogicità, indeterminatezza, difetto di istruttoria, travisamento dei presupposti di fatto e di diritto e sviamento;

3. violazione dell’art. 3 della L. n. 241/1990 nella parte in cui non prevede l’indicazione del termine e dell’autorità innanzi alla qual ricorrere.

L’Amministrazione si è costituita in giudizio, eccependo l’inammissibilità del ricorso stante l’assenza di spessore provvedimentale dell’atto impugnato che non porrebbe alcun obbligo a carico della ricorrente.

Nel merito ha contestato le avverse doglianze chiedendo la reiezione del ricorso.

Alla pubblica udienza del 4.5.2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

In via preliminare deve dichiararsi l’infondatezza della questione di inammissibilità sollevata da entrambe le parti sul presupposto del difetto di spessore provvedimentale dell’atto impugnato.

L’atto specifica un facere posto a carico della ricorrente conseguente ad un mutamento della destinazione urbanistica dell’area ("in parte a V.I., aree per spazi pubblici a livello intercomunale, e in parte a V.A., verde agricolo compreso nei parchi pubblici urbani e territoriali" – nota del Comune di Milano datata 29.5.2001) che, come ammesso dalla stessa Amministrazione, è preliminare ai successivi interventi da effettuarsi sul sito in conseguenza dell’inserimento del Parco Cava di Prezzano (sul quale insiste la cava) nell’ambito del programma opere pubbliche del 2002.

Ne deriva che "l’invito a provvedere" contenuto all’atto impugnato deve essere ricondotto all’area delle determinazioni aventi natura provvedimentale trattandosi di manifestazione di volontà a carattere ordinatorio promanante da una pubblica Autorità nell’esercizio di una potestà amministrativa.

L’individuata qualificazione dell’atto quale provvedimento, cui deve ascriversi la funzione di atto di gestione, determina l’infondatezza del primo motivo di ricorso in virtù della pacifica competenza dell’organo dirigenziale all’adozione del medesimo.

Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente deduce:

– l’indeterminatezza degli adempimenti richiesti;

– l’infondatezza del presupposto rappresentato dalla inottemperanza a precedente ordinanza del 30.7.1997;

– la singolarità della precisazione delle caratteristiche del terreno da assicurare al momento della riconsegna dell’area, posto che la concessione non avrebbe una scadenza prefissata e che la cava non si sarebbe ancora esaurita;

– l’estraneità degli interventi di bonifica agli obblighi convenzionalmente assunti.

Le esposte doglianze sono infondate in quanto il provvedimento impugnato esplicita con estrema chiarezza gli adempimenti posti a carico della ricorrente indicando nel dettaglio gli interventi da operare e specificando le fonti normative di riferimento.

Quanto alla pretesa illegittimità degli interventi richiesti, compresa la bonifica del sito, si rileva che "il ripristino e/o bonifica dello stato dei luoghi, se non già eseguito, da effettuarsi a carico degli imputati nei modi e con i tempi indicati dall’Autorità amministrativa competente" rientra negli obblighi imposti dal Tribunale penale di Milano con la sentenza di n. 6802 del 18.2.2000 di condanna a carico dei rappresentanti della ricorrente.

Inammissibile è, infine, il terzo motivo di ricorso con il quale viene rilevata l’omessa indicazione del termine e dell’autorità innanzi alla quale ricorrere.

La tempestiva proposizione del ricorso innanzi al giudice competente elide, infatti, ogni profilo di pregiudizio determinando il venir meno dell’interesse alla formulazione della presente censura.

Per quanto precede il ricorso deve essere in parte respinto ed in parte dichiarato inammissibile.

Sussistono, tuttavia, in virtù della particolarità delle questioni trattate, giuste ragioni per compensare le spese.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione I)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara inammissibile ed in parte lo respinge nei termini di cui in motivazione.

Spese compensate.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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