Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 28-04-2011) 26-05-2011, n. 21017

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 17.07.2008 il Tribunale di Belluno condannava A. W. alla pena dell’ammenda per avere esercitato l’uccellagione utilizzando una trappola per uccelli costituita da una rete metallica pieghevole contenente vermi, quali esche, e da due maglie fitte poste verticalmente con estremità agganciate a due tronchi d’albero (in (OMISSIS)).

Proponeva ricorso per cassazione l’imputato denunciando erronea applicazione della legge penale sulla ritenuta contravvenzione di uccellagione in luogo di quella di cattura con mezzi vietati di caccia.

Esponeva che quest’ultima fattispecie criminosa era configurabile alla stregua della descrizione, riportata in sentenza, delle reti (mt. 1,5×2 con maglia larga cm. di 2 x 2) e della trappola a scatto, conformata in modo da dovere essere azionata manualmente con un cordino quando un volatile si fermava nel suo raggio di azione, sicchè si poteva catturare di volta in volta un singolo esemplare.

Conseguentemente la contravvenzione, punibile con la pena dell’ammenda, era prescritta. Chiedeva l’annullamento della sentenza.

Questa Corte ha affermato che l’uccellagione può essere esercitata anche adoperando congegni rudimentali e di limitata grandezza, idonei, in particolari condizioni di luogo e specifiche modalità e con sistemi fissi non puramente di uso momentaneo, a conseguire l’indiscriminata cattura di volatili.

Il depauperamento della fauna avicola consegue, quindi, dalle particolari modalità dell’esercizio venatario e dall’adozione di particolari mezzi, aventi una potenzialità offensiva indeterminata.

Il reato d’uccellagione (che mira a tutelare la conservazione della specie) vieta, quindi, ogni cattura o uccisione sottratta a limiti temporali e di controllo, con possibilità di colpire ogni specie di volatile (Cassazione Sezione 3, n. 1713/1995, RV. 204727; n. 35630/2007).

Nel caso in esame è stato accertato che l’imputato predisponeva una trappola a scatto, di dimensioni ragguardevoli, adottando modalità di posizionamento degli apparati idonee alla cattura indiscriminata degli uccelli.

E’ quindi corretta la qualificazione del fatto operata dal tribunale che non ha ravvisato un caso di caccia con un mezzo vietato dalla citata Legge, ex art. 30, lett. h) che ha lo scopo di evitare che, con l’uso di modalità non consentite, vengano inflitte agli animali inutili sofferenze.

Ne consegue che il motivo in punto di affermazione di responsabilità è manifestamente infondato, avendo il tribunale ritenuto, con argomentazioni immuni da censure, che l’imputato ha commesso uccellagione.

L’inammissibilità del ricorso dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto d’impugnazione e preclude la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p. (Cassazione SU n. 32/2000, De Luca, RV. 217266).

Grava, quindi, sul ricorrente l’onere delle spese del procedimento e del versamento alla cassa delle ammende di una somma che va equitativamente fissata in Euro 1.000.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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