T.A.R. Lombardia Milano Sez. I, Sent., 25-05-2011, n. 1308 Legittimità o illegittimità dell’atto Carenza di interesse sopravvenuta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La ricorrente è proprietaria di un complesso produttivo sito nel Comune di Trezzo sull’Adda, deputato all’esercizio dell’attività di trattamento rifiuti.

In data 5.8.1999 ha presentato alla Regione Lombardia istanza di autorizzazione ex art. 28 del D.Lgs. n. 22/97 ("Autorizzazione all’esercizio delle operazioni di smaltimento e recupero") per il trattamento di sostanze pericolose nel proprio impianto sito di Trezzo sull’Adda.

Riferisce, inoltre, la ricorrente di aver costituito un raggruppamento temporaneo di imprese con Logica S.r.l. e con S. S.r.l. "con l’obiettivo di proporre lo smaltimento di rifiuti" appartenenti a quest’ultima e ubicati nei pressi del proprio stabilimento. L’attività di smaltimento rifiuti da porsi in essere nell’ambito del raggruppamento sarebbe del tutto distinta ed autonoma rispetto a quella per cui è stata richiesta la citata autorizzazione ex art. 28 del D.Lgs. n. 22/97.

In data 8.11.1999 la Regione Lombardia ha convocato una conferenza di servizi ex art. 27 del D.Lgs. n. 22/97 ("Approvazione del progetto e autorizzazione alla realizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti"), a conclusione della quale si è statuito, tra l’altro, "che la Regione predisporrà un provvedimento autorizzatorio ex art. 28 D.Lgs. n. 22/97, condizionato nella durata e nei termini alla conclusione dell’iter ex art. 17 D.Lgs. n. 22/97".

Con D.G.R. 24.2.2000, n. 48541 la Regione Lombardia ha, poi, autorizzato l’esercizio dell’impianto richiesto per la durata di soli 18 mesi.

Espone la ricorrente che, nelle more del giudizio, l’autorizzazione de quo è stata di volta in volta rinnovata, sebbene sempre per un periodo di 18 mesi (delibere nn. 5999 del 2.8.2001 e 10242 del 6.8.2002).

Con un unico articolato motivo l’istante ha censurato i provvedimenti impugnati per violazione dell’art. 28 c. 3 del D.Lgs. n. 22/97, per il quale l’autorizzazione ivi menzionata "è concessa per un periodo di cinque anni", per cui sarebbe precluso all’Amministrazione Regionale di ridurre il predetto termine.
Motivi della decisione

1) Il ricorso è improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

Nella memoria depositata in vista dell’udienza pubblica, la stessa ricorrente si duole di come "l’Amministrazione ha rinnovato l’autorizzazione di volta in volta, tuttavia reiterando la prescrizione di provvedere allo smaltimento dei rifiuti S., che è stata per la prima volta illegittimamente introdotta con il provvedimento di cui è causa".

La ricorrente non ha, tuttavia, esteso l’impugnazione alle autorizzazioni successive.

Osserva il Collegio come nell’ambito del fenomeno dell’invalidità derivata vi è una distinzione tra la figura della cosiddetta invalidità ad effetto caducante e quella ad effetto viziante; l’invalidità ad effetto caducante può essere ravvisata solo quando tra due provvedimenti sussista uno stretto rapporto di presupposizione (intesa come consequenzialità immediata, diretta e necessaria), nel senso che l’atto successivo si ponga come inevitabile conseguenza di quello precedente, perché non vi sono nuove ed ulteriori valutazioni di interessi, né del destinatario dell’atto presupposto, né di altri soggetti; quando l’atto successivo, pur facendo parte della stessa sequenza procedimentale in cui si colloca l’atto precedente, non ne costituisca conseguenza inevitabile, perché la sua adozione implichi nuove e ulteriori valutazioni di interessi, l’impugnazione dell’atto presupponente non fa venire meno la necessità di impugnare quello successivo, a pena di improcedibilità del primo ricorso (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII 25 marzo 2008, n. 1526).

L’omessa impugnazione dei provvedimenti successivi a quello impugnato, aventi effetti analoghi ed incidenti sulla medesima pretesa del ricorrente, determina pertanto l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse (C.S. Sez. VI 18.3.2008, n. 1124). L’annullamento dell’autorizzazione impugnata non si estenderebbe, infatti, ai provvedimenti successivi, che rimarrebbero validi ed efficaci, da cui l’assenza di interesse del ricorrente ad ottenere una pronuncia demolitoria.

2) Avendo, tuttavia, la ricorrente manifestato un interesse all’ottenimento di una pronuncia di accertamento dell’illegittimità dei provvedimenti impugnati, ex art. 34 comma 3 c.p.a., il Collegio ritiene di dar egualmente corso all’esame del merito del ricorso, che è tuttavia infondato.

2.1) Si osserva preliminarmente che, fin dalla lettura dell’oggetto del provvedimento impugnato, appare evidente il suo duplice contenuto, essendo, da una parte menzionato il conferimento della "autorizzazione all’esercizio delle operazioni di messa in riserva, deposito e trattamento di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi presso l’impianto sito in Trezzo sull’Adda", cui si aggiungevano "determinazioni in merito alla messa in sicurezza dei rifiuti derivanti dalla attività della ditta Z. S.r.l. insistenti sull’area della società S. S.r.l.".

A seguito della presentazione di un’istanza ex art. 28 del D.Lgs. n. 22/’97 da parte della ricorrente, l’Amministrazione ha, infatti, contestualmente adottato anche un provvedimento ex art. 17 del medesimo D.Lgs.

In particolare, con la richiamata delibera della Giunta regionale n. 48541/2000 è stato richiamato il fatto che sull’area adiacente a quella dell’impianto autorizzando insistevano due ammassi di rifiuti pericolosi (fanghi), che "rappresentano un potenziale pericolo ambientale", il che rendeva, quindi, necessario "un intervento di messa in sicurezza/bonifica del sito contaminato ai sensi dell’art. 17 D.Lgs. n. 22/97", con obbligo di presentare entro 90 giorni dalla notifica del provvedimento "un progetto di messa in sicurezza/bonifica ex art. 17 D.Lgs. n. 22/97 degli ammassi di rifiuti pericolosi" e di concludere entro un anno l’iter ex art. 17.

Nel quadro delle disposte prescrizioni la Giunta ha, inoltre, stabilito i termini per lo smaltimento dei rifiuti "al fine di riportare alla normalità lo stoccaggio dei rifiuti insistenti presso l’insediamento", il che è stato contestato dalla ricorrente "nella sola parte in cui fissa il termine di durata della autorizzazione medesima al 31 agosto 2001" in luogo del termine quinquennale previsto dall’28 comma 3 dello stesso D.Lgs. n. 22/97.

Rileva il Collegio che, a fronte di un provvedimento ex art. 17 adottabile anche ad iniziativa d’ufficio, la ricorrente non ha contestato l’esistenza dei presupposti previsti per la sua adozione, essendo le censure proposte dirette a dimostrare la sola violazione dell’art. 28, comma 3 senza alcuna concorrente contestazione dell’assenza dei presupposti per l’esercizio dei poteri di cui all’art. 17.

E’ stato, infatti, soltanto nella memoria non notificata depositata in vista dell’udienza pubblica che la ricorrente ha genericamente fatto riferimento a fatti potenzialmente capaci di dimostrare la violazione dell’art. 17, ammettendo, tuttavia, che "parte ricorrente non aveva stimato necessaria la produzione di tali documenti".

Ad una siffatta cognizione osta, tuttavia, il principio dell’onere della prova nel concorso con quello acquisitivo, che governa il giudizio nella sede della giurisdizione di legittimità. L’Amministrazione è tenuta su tale fondamento a dimostrare l’avvenuto compimento un’istruttoria sufficiente e adeguata a sostenere le conclusioni da essa raggiunte: una volta che emerga un grado sufficiente di plausibilità spetta al ricorrente allegare e provare, anche con un principi di prova, fatti e circostanze che possano valere ad inficiare le conclusioni a cui è pervenuta l’Amministrazione (T.A.R. Milano, Lombardia Sez. III 6 aprile 2010 n. 984).

Conclusivamente, contenendo il provvedimento impugnato un duplice ordine rivolto al privato sul fondamento degli artt. 28 e 17 del D.Lgs. n. 22/97, la contestazione della violazione del termine quinquennale di cui all’art. 28 c. 3 DLgs. n. 22/97 resta conoscibile in questa sede, dovendo ritenersi inoppugnato il secondo.

2.2) Anche la denunciata violazione dell’art. 28 deve essere, tuttavia, disattesa.

Tale norma prevede che "l’autorizzazione individua le condizioni e le prescrizioni necessarie per garantire l’attuazione dei principi di cui all’articolo 2", i quali a loro volta prevedono che "i rifiuti devono essere recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente e, in particolare, senza determinare rischi (lett. a)".

La giurisprudenza ha valutato positivamente la possibilità di subordinare le autorizzazioni di che trattasi al rispetto di determinate disposizioni poste a presidio dei suddetti principi, affermando, ad esempio, che tali provvedimenti possano "contenere prescrizioni che regolino l’attività del gestore dell’impianto mobile di smaltimento e recupero, in coerenza con i principi di cui al precedente art. 2 e nel rispetto della normativa tecnica di settore, prescrizioni poi eventualmente integrate nelle singole campagne in relazione alle peculiarità del sito in cui l’impianto venga di volta in volta ad operare" (T.A.R. Emilia Romagna, Parma, Sez. I 1 aprile 2008, n. 206); che non appare irrazionale l’apposizione, ai sensi dell’art. 28 del D.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, di un limite quantitativo allo smaltimento dei rifiuti da parte della relativa autorizzazione, considerata la necessità di assicurare un regolare ed efficace procedimento di messa in sicurezza del rifiuto trattato, tenuto conto dei tempi di lavorazione e di stoccaggio" (T.A.R. Puglia Lecce Sez. II 14 luglio 2003, n. 4749).

Venendo alla vicenda per cui è causa, pare al Collegio che, con l’art. 28 comma 3 il Legislatore non abbia inteso introdurre una durata minima inderogabile dell’autorizzazione, a pena di illegittimità della stessa, trattandosi piuttosto di un termine di durata ordinario, che comunque non può essere superato, salva l’adozione di un provvedimento espresso di rinnovo.

Dal che si ricava che restano da esaminare le condizioni addotte dall’Amministrazione a fondamento della riduzione della durata quinquennale dell’autorizzazione per verificarne la congruità e la sufficienza.

Alla luce dei richiami alla pericolosità dei rifiuti insistenti sull’area della ricorrente e su quella adiacente, non pare irragionevole l’aver richiesto alla ricorrente di rispettare una stretta sequenza temporale: il che rende invero evidente l’intento della Regione di esercitare un attento controllo del suo rispetto, essendo palese che, in caso di una sua violazione, l’autorizzazione non sarebbe stata rinnovata.

Il ricorso va conclusivamente dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

Sussistono, tuttavia, giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio, in relazione alle peculiarità delle questioni dedotte.
P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione I definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

Spese compensate.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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