Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 14-04-2011) 26-05-2011, n. 21262 Affidamento in prova

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con ordinanza deliberata in data 7 settembre 2010, depositata in cancelleria il 9 settembre 2010, il Tribunale di Sorveglianza di Palermo rigettava l’istanza avanzata nell’interesse di S.M. della misura alternativa alla detenzione dell’affidamento in prova (in casi particolari) D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ex art. 94. 2. – Avverso il citato provvedimento, tramite il proprio difensore, ha interposto tempestivo ricorso per cassazione il S. chiedendone l’annullamento per violazione di legge. Veniva per vero rilevato che, una volta accertata la condizione di tossicodipendenza del richiedente, di cui peraltro il Tribunale di Sorveglianza dava atto, la custodia cautelare era possibile solo in presenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, nella fattispecie non ricorrenti, non avendo posto in essere il prefato comportamenti che dimostrassero l’assoluta inefficacia di misure cautelari alternative alla detenzione in carcere. Anzi le relazioni comportamentali acquisite e in atti, così come quella di sintesi, hanno dato atto di una condotta intramuraria del S. positiva e collaborativa.
Motivi della decisione

3. – Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.

3.1. – Questa Corte di legittimità ha più volte ribadito il principio secondo cui la pericolosità rende inidonea la misura ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 94. Il legislatore, con la L. n. 49 del 2006, proprio in riferimento all’istituto dell’affidamento terapeutico, disciplinato dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 94, prevede infatti al comma 4 che tale programma debba assicurare la prevenzione dei reati, così uniformandosi alla giurisprudenza di questa Corte, che più volte aveva segnalato come il giudice, ben lungi dall’accettare supinamente il programma stesso, dovesse valutare la pericolosità del condannato, la sua attitudine a intraprendere positivamente un trattamento, al fine di garantire un effettivo reinserimento nel consorzio civile (cfr. Cass., Sez. 1, 4 aprile 2001, Di Pasqua; Sez. 1^, 10 maggio 2006, n. 18517).

La Corte Costituzionale, con sentenza 5 dicembre 1997, n. 377, nel rigettare la questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 32 Cost., della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 67, in relazione alla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 47 bis e successive modificazioni, nonchè al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 94, ha chiarito che la ratio dell’affidamento "terapeutico" di persona tossicodipendente o alcooldipendente, è quella appunto di perseguire la cura del reo, per cui il programma di recupero assume. un ruolo di centralità nella applicazione della misura vista sempre nell’ottica di un affrancamento del soggetto vuoi dalla droga e/o dall’alcool vuoi dal mondo della devianza. A fronte però di una valutazione a priori di pericolosità del condannato, il programma terapeutico diviene di per sè inidoneo ad arginare, per sua natura, le attitudini criminose del soggetto, posto che la riuscita del progetto di recupero dipende dalla collaborazione del medesimo interessato, negata in radice dalla sua stessa condizione di persona pericolosa.

Inoltre va osservato che il testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti ( D.P.R. n. 309 del 1990, art. 94), nelle più recente versione offerta dal D.L. 30 dicembre 2006, n. 272, convertito con modificazioni nella L. 21 febbraio 2006, n. 49, ha sottoposto la concessione dell’affidamento in prova in casi particolari a condizioni sicuramente più rigide rispetto al passato e tali da impedire un ricorso strumentale all’istituto al fine di ottenere benefici altrimenti non concedibili, specie in relazione a scadenze di pena che non consentono la concessione di altre misure alternative. Ferma restando la natura discrezionale del provvedimento, l’art. 94 citato richiede, ai fini dell’ammissione al beneficio, oltre al fatto che la domanda provenga da un condannato tossicodipendente o alcooldipendente, anche che questi abbia in corso un programma di recupero o che ad esso intenda sottacersi e che alla domanda sia allegata una certificazione rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da una struttura privata accreditata attestante lo stato di tossicodipendenza o di alcooldipendenza, la procedura con la quale è stato accertato l’uso abituale di sostanze stupefacenti, psicotrope o alcoliche, l’andamento del programma concordato eventualmente in corso e la sua idoneità ai fini del recupero del condannato (comma 1). E’ del resto giurisprudenza consolidata di questa Corte (Cass., Sez. 1, 24 Maggio 1996, Bartolomeo) ritenere che l’istituto persegua l’obbiettìvo non tanto di creare una nuova figura di misura alternativa, quanto piuttosto di ampliare e parzialmente modificare l’ambito applicativo della ordinaria misura dell’affidamento in prova di cui alla L. n. 354 del 1975, art. 47. 3.2. – Alla luce di questi principi il giudice dell’esecuzione, con motivazione immune da vizi logici e giuridici, ha valutato negativamente la posizione del soggetto che si è reso responsabile in passato di numerosi episodi criminosi anche sotto falso nome, così come risultante dalle acquisite informative di Pubblica Sicurezza, segno evidente questo, secondo il logico argomentare del Tribunale di Sorveglianza, di voler perseguire intenti di recidivanza e nel contempo di sottrazione alla pretesa punitiva dello Stato.

Il giudice ha altresì correttamente ritenuta l’insufficienza e l’inaffidabilità della documentazione prodotta dall’istante (relativa alla collocazione in comunità) ritenendola non solo minusvalente rispetto al quadro valutativo non positivo dianzi indicato, ma anche meramente strumentale ai fini di accedere all’invocato beneficio, giusta la personalità del soggetto e la non ravvisata motivazione di intraprendere un effettivo recupero.

4. – Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi indicativi dell’assenza di colpa (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) alla Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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