Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 14-04-2011) 26-05-2011, n. 21015 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il GIP presso il Tribunale di Napoli, con ordinanza del 01.07.2010, applicava la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di: D.D.G. e S.A.: perchè indagati, unitamente ad altri, per i reati di estorsione continuata consumata e tentata in danno di vari imprenditori di (OMISSIS), con l’aggravante ex L. n. 203 del 1991, art. 7, avendo commesso il fatto avvalendosi della forza intimidatrice dei "clan Ascione-Papale". Gli indagati proponevano impugnazione ma il Tribunale per il riesame di Napoli, con ordinanza del 21.07.2010, respingeva il reclamo, confermando il provvedimento impugnato.

Avverso tale decisione del Tribunale della libertà, ricorre per cassazione il difensore degli indagati D.D. e S. con ricorsi sostanzialmente sovrapponigli, deducendo:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

Il ricorrente censura la decisione impugnata per illogicità della motivazione e lamenta che il Tribunale non avrebbe proceduto al vaglio critico delle emergenze processuali insufficienti a dimostrare sia i reati contestati che l’aggravante ex L. n. 203 del 2010, art. 7; in particolare: – gli elementi di accusa si sostanzierebbero nelle dichiarazioni delle parti offese che, però, non sarebbero sufficienti ai fini della prova in quanto non riscontrate dalle intercettazioni telefoniche effettuate; – inoltre la penale responsabilità degli indagati non potrebbe utilmente fondarsi sulla constatazione di semplici rapporti di parentela tra gli indagati;

CHIEDONO pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
Motivi della decisione

I motivi di ricorso sono totalmente infondati.

Le doglianze mosse dal ricorrente non tengono conto del fatto che il provvedimento impugnato, contiene una serie di valutazioni ancorate a precisi dati fattuali ed appaiono immuni da vizi logici o giuridici.

In proposito va ricordato che, in tema di misure cautelari personali, il controllo di legittimità è circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, risultanti "prima facie" dal testo del provvedimento impugnato, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (Cassaz. Pen., sez. 4, 06.07.2007 n. 37878).

Il Tribunale ha ampiamente, congruamente e logicamente motivato in ordine alle ragioni, in punto di fatto, per le quali ha ritenuto raggiunti i gravi indizi di colpevolezza, osservando:

– che agli atti erano acquisiti chiari elementi probatori in ordine al "clan Ascione-Papale";

– che gravi indizi di responsabilità a carico degli indagati ricorrenti erano emersi dalle dichiarazioni delle persone offese, pienamente attendibili perchè riscontrate: – sia dal collaboratore di giustizia S.F. e: – sia dal sequestro di appunti manoscritti trovati in casa di D.G.; – che, in particolare, riguardo al S. ed al D.D., il compendio indiziario in ordine all’estorsione in danno di C.V., rinveniva dalle dichiarazioni di quest’ultimo, che aveva riconosciuto in fotografia gli indagati e che trovava riscontro nelle dichiarazioni del fratello C.S. oltre che nelle captazioni effettuate; -che la condotta adottata, per le sue modalità ed il contesto ambientale del quale si erano avvalsi gli indagati, evidenziava anche gli estremi dell’aggravante ex L. n. 203 del 1991, art. 7;

Il Tribunale compie così una valutazione di puro fatto, in ordine alla sussistenza dei gravi indizi, che appare congruamente motivata, con richiami a specifici rilievi fattuali, priva di illogicità evidenti, avendo evidenziato come dalla vicenda emerge con chiarezza che la richiesta di denaro era stata effettuata dal D.D., spalleggiato dal S. e dal coindagato De. e come tali condotte erano dimostrative del loro inserimento nel contesto dell’ambiente malavitoso del Clan egemone nella zona;

Il ricorrente individua, al contrario, la serie di illogicità riportate nella parte descrittiva del ricorso ma al riguardo si deve rammentare, quanto al vizio di "manifesta illogicità", che il ricorrente deve dimostrare in tale sede che l’iter argomentativo seguito dal giudice è assolutamente carente sul piano logico. Ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, ancorchè munite, in tesi, di eguale crisma di logicità. A ciò dovendosi aggiungere che l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), è quella "evidente", cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi" senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali. Cassazione penale. sez. 4, 12 giugno 2008, n. 35318.

Quella del Tribunale è una motivazione sufficiente in questa fase cautelare, ove la valutazione del peso probatorio degli indizi è compito riservato al giudice di merito e, in sede di legittimità, tale valutazione può essere contestata unicamente sotto il profilo della sussistenza, adeguatezza, completezza e logicità della motivazione, mentre sono inammissibili, viceversa, le censure che, pure investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già esaminate da detto giudice. (Cass. pen. Sez. 4, 06.07.2007 n. 37878).

Consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Ai sensi dell’art 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, gli indagati che lo hanno proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità- ciascuno al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Si provveda ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *