Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 08-04-2011) 26-05-2011, n. 21056 Parte civile

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Torino, con sentenza dell’8 aprile 2010, ha confermato la sentenza del Tribunale di Verbania, Sezione Distaccata di Domodossola, del 1 dicembre 2006 che aveva condannato R. A. per il delitto di minacce in danno di M.S..

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, lamentando:

a) la violazione della legge in ordine all’esistenza del reato, con particolare riferimento alla idoneità delle minacce;

b) la manifesta illogicità della motivazione, con particolare riferimento alla liquidazione delle spese per la costituzione della parte civile.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

2. Il primo motivo è ai limiti dell’inammissibilità in quanto ripropone la medesima doglianza svolta avanti la Corte territoriale circa la portata intimidatoria delle frasi pronunciate all’indirizzo della parte offesa.

In ogni caso, come ripetutamente affermato da questa stessa Sezione (v. da ultimo la sentenza 12 maggio 2010 n. 21601), nel reato di minaccia è essenziale la limitazione della libertà psichica mediante la prospettazione del pericolo che un male ingiusto possa essere cagionato alla vittima, senza che sia necessario che uno stato di intimidazione si verifichi in concreto, essendo sufficiente la mera attitudine della condotta ad intimorire e irrilevante l’indeterminatezza del male minacciato, purchè questo sia ingiusto e possa essere desunto dalla situazione contingente.

Nella specie, la minaccia di morte espressa addirittura sotto la casa della vittima integra in pieno la fattispecie normativamente prevista.

3. La seconda censura attiene alla contestazione circa la quantificazione delle spese liquidate alla costituita parte civile.

Anche tale censura non è meritevole di accoglimento. Invero, la giurisprudenza di legittimità consente la sindacabilità dell’avvenuta liquidazione delle spese soltanto allorquando, dall’esame dell’impugnato provvedimento, non sia possibile stabilire il rispetto o meno dei limiti previsti dalle tabelle forensi (v. la giurisprudenza citata nel ricorso).

Tale principio risulta, però, corroborato da ulteriori principi, di recente affermati da questa Corte (sulla scia anche della pacifica giurisprudenza di legittimità civile in tema di controllo del Giudice sulla liquidazione delle spese di lite, v. Cass. Sez. 1^ 12 ottobre 2006 n. 21932), secondo i quali se è vero che il Giudice del merito, nel liquidare le spese di parte civile, non abbia specificato le singole voci, distinguendo tra onorar, competenze e spese, è pur vero che parte ricorrente abbia l’onere d’indicare specificamente le ragioni per le quali la liquidazione sarebbe stata incongrua in ragione della specifica violazione di voci tabellari, ipoteticamente liquidate in forma eccedente ai minimi tariffar (v. Cass. Sez. 5^ 19 marzo 2010 n. 22600).

Inoltre, allorquando l’avvenuta liquidazione sia ictu oculi modesta e nei limiti tabellari la parte ricorrente difetta d’interesse alla sua liquidazione tassativamente secondo tariffe professionali in realtà non violate (v. Cass. Sez. 2^ 16 aprile 2010 n. 24790).

Nella specie in punto di fatto, da un lato, l’evidente non abnormità dell’avvenuta liquidazione e, d’altra parte, la mancata specifica indicazione di concrete violazioni delle tabelle determinano l’infondatezza anche di tale motivo del ricorso.

4. Il ricorso va, in conclusione, rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalla parte civile.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali e a quelle sostenute dalla parte civile in questo grado di giudizio che liquida in complessivi Euro 1.800, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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