T.A.R. Puglia Lecce Sez. I, Sent., 25-05-2011, n. 959 Licenza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ricato.;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. A seguito delle sentenze n. 1385 e n. 1386 del 2010 di questa sezione, con le quali si disponeva l’annullamento degli atti comunali che disciplinavano le aperture domenicali degli esercizi commerciali, il Comune di Taranto ha adottato una nuova ordinanza, la n. 90 dell’8 ottobre 2010, con la quale, in dichiarata applicazione dell’art. 11 del decreto legislativo n. 114 del 1998, si disponeva una apertura domenicale per il mese di novembre e l’apertura di tutte le domeniche del mese di dicembre.

2. Tale provvedimento veniva impugnato dalla società O. per i seguenti motivi:

a) violazione e falsa applicazione del richiamato art. 11, il quale prvederebbe un limite minimo di apertura domenicale (tutto dicembre + otto domeniche nel resto dell’anno) ma non anche un limite massimo, e ciò anche per evitare ingiustificate disparità di trattamento rispetto ad altre categorie di esercizi commerciali (rivendite mobili, articoli da giardinaggio, libri, dischi, etc.) le quali non soggiacciono invece ai suddetti limiti di apertura;

b) violazione in ogni caso delle disposizioni del trattato CE in materia di libera concorrenza, contrasto che avrebbe dovuto indurre la PA a disapplicare il suddetto art. 11 e consentire di conseguenza l’apertura indistintamente per tutte le domeniche dell’anno.

3. Si costituiva in giudizio il Comune di Taranto per chiedere il rigetto del gravame.

4. Alla pubblica udienza del 23 febbraio 2011 le parti rassegnavano le proprie rispettive conclusioni ed il ricorso veniva infine trattenuto in decisione.

05. Tutto ciò premesso, il ricorso è fondato nei sensi e nei limiti di seguito indicati.

5. Si richiama al riguardo la decisione di questo Tribunale amministrativo n. 639 in data 11 aprile 2011, la quale può essere così sintetizzata.

A) Con riferimento alla problematica delle aperture domenicali e festive degli esercizi commerciali, la Sezione ha già seguito (con la sentenza 1° luglio 2009 n. 1752 e con le sentenze in forma semplificata 9 giugno 2010, n. 1385 e n. 1386) un percorso ricostruttivo che è approdato alla disapplicazione dell’art. 18 della legge regionale n. 11 del 2003 (il quale regolamenta la suddetta tematica nella Regione Puglia) per contrasto con il diritto comunitario e, in particolare, con le previsioni in materia di libertà di concorrenza;

B) L’intera problematica deve però essere rimeditata alla luce di una più approfondita ricostruzione sia del diritto comunitario, sia delle novità giurisprudenziali (in particolare, Corte cost. 8 ottobre 2010, n. 288) e normative (il d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59, di attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno, nonché la introduzione di un comma 8octies all’interno del citato art. 18 della legge regionale n. 11 del 2003) nel frattempo intervenute;

C) Sul versante del diritto comunitario, la giurisprudenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea ha seguito nel tempo percorsi ricostruttivi sostanzialmente divergenti da quelli proposti dalla Sezione con il citato orientamento.

In particolare è stato affermato (cfr. Corte giust. CE 20 giugno 1996, n. 418, nonché 16 dicembre 1992, in causa C169/91) che: a) va escluso il possibile contrasto tra una normativa limitativa delle aperture domenicali e festive degli esercizi commerciali e le disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi, dal momento che non si ravvisa una disparità di trattamento tra prodotti nazionali e prodotti importati per quanto riguarda l’accesso al mercato; b) le discipline nazionali che limitano l’apertura domenicale di esercizi commerciali costituiscono l’espressione di determinate scelte, rispondenti alle peculiarità socioculturali nazionali o regionali; c) di conseguenza, spetta agli Stati membri effettuare queste scelte attenendosi al rispetto del principio di proporzionalità, ossia mediante un sostanziale bilanciamento di interessi tra le esigenze socioculturali delle collettività interessate e quelle degli operatori economici, e ciò nella misura in cui gli effetti restrittivi della disciplina in questione sugli scambi intracomunitari non eccedano la misura di quanto è necessario per raggiungere lo scopo prefisso;

D) In questa direzione è poi intervenuta, sul piano strettamente normativo, la direttiva 12 dicembre 2006 n. 2006/123/CE (direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi nel mercato interno) recepita nell’ordinamento italiano con il d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59.

Quest’ultima reca una serie di disposizioni tese a regolamentare i "regimi autorizzatori", i quali "possono essere istituiti o mantenuti solo se giustificati da motivi imperativi di interesse generale, nel rispetto dei principi di non discriminazione, di proporzionalità" (art. 14, comma 1, decreto legislativo n. 59 del 2010).

Ai sensi del successivo art. 15, in particolare, "ove sia previsto un regime autorizzatorio, le condizioni alle quali è subordinato l’accesso e l’esercizio alle attività di servizi sono:

a) non discriminatorie;

b) giustificate da un motivo imperativo di interesse generale;

c) commisurate all’obiettivo di interesse generale;

d) chiare ed inequivocabili;

e) oggettive;

f) rese pubbliche preventivamente;

g) trasparenti e accessibili".

A loro volta, i "motivi imperativi di interesse generale" sono individuati dall’art. 8 del citato decreto legislativo nelle "ragioni di pubblico interesse, tra i quali… la tutela dei lavoratori… gli obiettivi di politica sociale e di politica culturale".

In definitiva, ad un esame più approfondito del diritto comunitario emerge un sistema che appare complessivamente lontano dalla valorizzazione esclusiva del solo principio di libertà di concorrenza, il quale deve essere tutelato sì ma alla luce delle citate disposizioni che recepiscono la direttiva 2006/123/CE e, quindi, sulla base di un sostanziale bilanciamento di interessi tra esigenze degli operatori economici e "motivi imperativi di interesse generale", tra i quali senz’altro rientrano quelle "esigenze socioculturali" dei singoli Stati che la Corte di Giustizia CE aveva già provveduto a suo tempo a porre in risalto.

E) In questa prospettiva si colloca l’art. 18 della legge regionale 1° agosto 2003, n. 11 (nuova disciplina del commercio).

Si tratta in particolare di normativa che si inscrive, come evidenziato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 288 del 2010, nella materia "commercio", dunque di competenza residuale regionale.

La citata sentenza ha inoltre affermato che, avendo la promozione della concorrenza "una portata generale, o trasversale, può accadere che una misura che faccia parte di una regolamentazione stabilita dalle Regioni nelle materie attribuite alla loro competenza legislativa, concorrente o residuale, a sua volta abbia marginalmente una valenza procompetitiva. Ciò deve ritenersi ammissibile, al fine di non vanificare le competenze regionali, sempre che tali effetti siano marginali o indiretti e non siano in contrasto con gli obiettivi delle norme statali che disciplinano il mercato, tutelano e promuovono la concorrenza (sentenza n. 430 del 2007)".

In altre parole, la tematica delle aperture domenicali fa parte in linea generale della materia "commercio" ma incide altresì, come del resto sottolineato nella citata sentenza n. 639 del 2011 di questo TAR, su quella della "concorrenza".

In tale ottica, occorre valutare se le disposizioni regionali adottate in materia di commercio non si pongano in contrasto con gli obiettivi delle norme statali che disciplinano il mercato e che tutelano e promuovono la concorrenza, producendo se del caso effetti proconcorrenziali.

Tanto premesso, si osserva come la disposizione di cui all’art. 18 della citata legge regionale (così come integrata dal comma 8octies) si fondi su un coinvolgimento progressivo delle parti sociali (associazioni imprenditoriali e di consumatori, nonché organizzazioni di lavoratori), secondo un meccanismo c.d. "a gradini" da applicare in funzione del maggior grado di liberalizzazione che si vuole imprimere al sistema delle aperture domenicali.

Più in particolare:

a) nei comuni ordinari (ossia al di fuori delle città d’arte e di quelle a vocazione prevalentemente turistica) le parti sociali vengono "sentite" qualora si intenda ricorrere ad un grado minimo di apertura (ossia tutte le domeniche del mese di dicembre e una domenica al mese per tutti gli altri) (cfr. comma 5 art. 18);

b) si ricorre al "concerto" con le stesse parti sociali per ulteriori aperture (di grado medio), al pari ossia delle città d’arte e di quelle ad economia turistica (dunque: tutte le domeniche ricomprese nei mesi maggiosettembre e dicembre, nonché una domenica al mese per tutti gli altri) (cfr. commi 5 e 6);

c) si ricorre agli "accordi" con i medesimi soggetti qualora si intenda invece applicare il massimo grado di liberalizzazione possibile (ossia tutte le domeniche dell’anno, ai sensi del comma 8octies).

Come evidenziato nella citata sentenza di questa sezione "la normativa regionale prevede, in buona sostanza, una gamma di ipotesi che si articola nella liberalizzazione più completa dello svolgimento dell’attività nei giorni domenicali e festivi e via via in limitazioni sempre più stringenti, in funzione della composizione raggiunta dalla pluralità degli interessi coinvolti e, quindi, del rilievo assunto da "motivi imperativi di interesse generale" (qui rappresentati dalla tutela dei lavoratori e dalle peculiarità socioculturali del territorio di riferimento).

E ciò anche in applicazione del principio di sussidiarietà di cui all’art. 118, quarto comma, Cost., per cui a maggiori livelli di liberalizzazione (dalla apertura minima a quella massima) risponde un maggior coinvolgimento delle parti sociali direttamente coinvolte (dalla informativa al concerto, per arrivare all’accordo) (si veda al riguardo quanto affermato dal TAR Bari nella sentenza n. 2713 del 12 novembre 2009).

Inoltre, come sottolineato dalla citata sentenza di questa sezione il metodo del coinvolgimento progressivo viene applicato facendo ricorso, ove necessario, al criterio della maggioranza, e ciò anche per evitare situazioni di paralisi dell’iter formativo della volontà.

In questa direzione la normativa regionale si rivela rispettosa del principio di proporzionalità nella misura in cui l’amministrazione, al momento di adottare decisioni in materia di aperture domenicali degli esercizi commerciali, prenda in considerazione quale prima opzione percorribile quella che consente il massimo grado di liberalizzazione, per poi intraprendere, qualora non si incontri il favore della maggioranza delle parti sociali, opzioni gradatamente sempre più restrittive.

Come evidenziato nell’ordinanza n. 187 in data 24 febbraio 2011 di questa sezione, infatti, "la corretta attuazione dei principi di cui alla direttiva 2006/123/CE, recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo n. 59 del 2010, impone al Comune di applicare la legge regionale n. 11 del 2003 nel senso di dare priorità, qualora ne ricorrano i presupposti, ai meccanismi di cui all’art. 18, comma 8octies, i quali consentono in ipotesi di ottenere la più ampia forma di deroga all’obbligo di chiusura domenicale, per poi attivare, in caso di esito negativo, le ulteriori fattispecie normative comunque previste dalla stessa disciplina regionale".

In sostanza si può affermare che la disciplina adottata in materia dalla Regione Puglia ha in concreto "raggiunto, nel corso degli anni e per effetto delle modificazioni normative intervenute, una strutturazione complessa che viene ad integrare un bilanciamento di interessi, accettabile e non discriminatorio a livello comunitario, tra esigenze economiche degli operatori e del mercato e motivi imperativi di interesse generale che militano per una disciplina restrittiva in materia di aperture domenicali e festive degli esercizi commerciali" (cfr. sentenza citata di questa sezione n. 639 del 2011);

F) Ora, è indubbio che la norma statale di cui all’art. 11 del decreto legislativo n. 114 del 1998 (oggetto di formale applicazione da parte della amministrazione comunale con il provvedimento qui impugnato) si rivela più restrittiva, sul piano della libera concorrenza, rispetto alla disposizione di cui al citato art. 18 della legge regionale n. 11 del 2003: ed infatti, mentre la prima consentirebbe, per i comuni ordinari, una apertura massima pari a circa 12 giornate annue (ossia 4 domeniche di dicembre ed 8 per il resto dell’anno), la seconda consente di passare da un minimo di circa 15 giornate ad un massimo di circa 50 giornate di apertura.

E ciò senza dimenticare che la stessa legge n. 131 del 2003, all’art. 1, comma 2, prevede proprio un meccanismo cedevole in base al quale la normativa statale emanata prima della novella costituzionale del 2001 (riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione) è destinata a trovare applicazione, per ciascuna regione, sino alla entrata in vigore di disposizioni regionali emanate in materie appartenenti, per l’appunto, alla competenza regionale: situazione questa che nel caso di specie si è puntualmente verificata con la adozione della citata legge regionale n. 11 del 2003, la quale ha sostituito sul punto (aperture domenicali) quanto previsto nel decreto legislativo n. 114 del 1998.

6. Ne deriva da quanto sopra riportato che il primo motivo di ricorso, con il quale si lamenta in sostanza violazione di legge nella parte in cui l’amministrazione comunale avrebbe direttamente optato per una soluzione minimale senza intraprendere alcuna iniziativa per ottenere il massimo livello di apertura domenicale e festiva (ossia per tutto l’anno), va accolto una volta ritenuta applicabile, in base al principio iura novit curia, la citata disposizione regionale di cui all’art. 18 della legge Regione Puglia n. 11 del 2003.

Quest’ultima appare infatti essere stata disattesa laddove non è stato previamente esperito ogni utile tentativo al fine di ottenere il massimo grado di liberalizzazione per poi eventualmente giungere, in caso di ampio dissenso all’interno delle parti sociali, ad ipotesi più restrittive quali quelle sopra indicate.

La violazione di legge consiste in altre parole nella parte in cui non sono state vagliate tutte le opzioni (da quella che garantirebbe la massima liberalizzazione sino a quella più restrittiva) previste al riguardo dalla disciplina regionale.

7. In conclusione il ricorso, assorbita ogni altra censura, è fondato nei sensi e nei limiti di cui si è detto e deve essere accolto, con conseguente annullamento dell’ordinanza sindacale in epigrafe indicata.

Stante la complessità e la novità della questione sussistono in ogni caso giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce – Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla l’ordinanza del Comune di Taranto n. 90 in data 8 ottobre 2010.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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