T.A.R. Puglia Lecce Sez. I, Sent., 25-05-2011, n. 958 Orario di vendita e turni di apertura

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Mormandi, Ponzo, Astuto, in sostituzione di Marsano, e Zacà.;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La società ricorrente è titolare di esercizi commerciali di medie strutture di vendita ubicate nei Comuni di Casarano e Parabita, ovvero a pochi chilometri dall’area commerciale della zona PIP del Comune di Matino.

Con ordinanza n. 22 del 25 giugno 2010 il Comune di Matino disponeva l’apertura degli esercizi commerciali per tutte le domeniche dell’anno, fatta eccezione per alcune festività (Ferragosto, Natale e Santo Stefano).

2. L’ordinanza veniva impugnata per violazione della normativa statale ( d.lgs. n. 114 del 1998) e regionale (L.R. n. 11 del 2003) in subiecta materia, nella parte in cui non sarebbero state adeguatamente coinvolte, a tal fine, le associazioni di imprenditori e consumatori e le organizzazioni dei lavoratori.

Veniva formulava al riguardo anche istanza di risarcimento dei danni subiti.

3. Si costituivano in giudizio il Comune di Matino ed alcuni dei controinteressati. In particolare: a) veniva sollevata eccezione di inammissibilità per difetto di interesse a ricorrere, dato che la ditta ricorrente svolge la sua attività in un territorio diverso da quello del Comune di Matino; b) veniva sollevata eccezione di improcedibilità per omessa notifica a tutti gli altri soggetti controinteressati; c) nel merito, si eccepiva la sussistenza di un orientamento di questo TAR diretto a sostenere la disapplicazione della normativa regionale nella parte in cui non si consentirebbe la libera (e totale) apertura degli esercizi commerciali in tutte le domeniche dell’anno; d) quanto poi al mancato coinvolgimento delle associazioni/organizzazioni di categoria, queste sarebbero state regolarmente convocate alla riunione indetta al riguardo dal Comune, riunione alla quale avrebbero poi deciso di non partecipare.

4. Venivano successivamente proposti motivi aggiunti, o meglio integrativi, con particolare riferimento al mancato raggiungimento di un "accordo" con le categorie interessate, come previsto dalla normativa regionale in materia.

5. Con ordinanza n. 837 in data 4 novembre 2010 veniva respinta, sotto il profilo della assenza del periculum in mora, l’istanza di tutela cautelare.

6. Alla pubblica udienza del 9 febbraio 2011 le parti rassegnavano le proprie rispettive conclusioni ed il ricorso veniva infine trattenuto in decisione.

7. Tutto ciò premesso vanno preliminarmente respinte le eccezioni di rito sollevate dalla difesa dell’amministrazione comunale. Ed infatti:

A) Quanto all’interesse a ricorrere, per giurisprudenza pressoché pacifica (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20 febbraio 2009, n. 1032; TAR Veneto, sez. III, 26 gennaio 2010, n. 137) ai fini del riconoscimento della legittimazione attiva dei commercianti ad impugnare atti concernenti autorizzazioni commerciali rivolte ad operatori concorrenti è sufficiente il requisito della vicinitas, ovvero la constatazione che tanto l’attività del ricorrente quanto quella dei concorrenti siano in grado di attrarre lo stesso bacino di utenza, per vicinanza territoriale e analogia dell’offerta commerciale.

Circostanza questa dimostrata dalla ricorrente e non altrimenti smentita, sullo specifico punto, dall’amministrazione comunale e dai soggetti controinteressati.

In siffatto contesto l’impatto economico della decisione comunale di tenere aperti gli esercizi commerciali la domenica non può essere infatti ristretto ai soli commercianti siti nell’area nella quale si trovano le strutture autorizzate a restare aperte, riverberandosi inevitabilmente tale impatto anche sugli esercenti dei Comuni viciniori, ai quali va di conseguenza riconosciuta la legittimità ad insorgere avverso il provvedimento che ne ha autorizzato l’apertura.

Il carattere lesivo del provvedimento impugnato risiede poi, in particolare, nel fatto di costituire decisione idonea a determinare un incremento del fatturato degli esercizi autorizzati ad aprire la domenica, con un correlativo – perlomeno potenziale – sviamento di clientela ai danni di esercizi come quelli degli odierni ricorrenti, in modo tale da arrecare, a questi ultimi, quel pregiudizio che la giurisprudenza amministrativa richiede per giudicare sussistente l’interesse a ricorrere.

Nei termini suddetti l’eccezione di inammissibilità deve dunque essere respinta.

B) Quanto invece alla omessa notifica nei confronti di tutti gli altri controinteressati, l’eccezione è di fatto superata dalla notifica, effettuata nei confronti dei medesimi, dell’atto di gravame integrativo in data 24 settembre 2010, dunque nei termini decadenziali previsti per il ricorso originario, tenuto conto della avvenuta conoscenza dell’atto impugnato in data 19 luglio 2010 e considerata altresì la sospensione dei termini nel periodo feriale.

08. Nel merito il ricorso è fondato nei sensi e nei limiti di seguito indicati.

8.1. Si richiama al riguardo la decisione di questo Tribunale amministrativo n. 639 in data 11 aprile 2011, la quale può essere così sintetizzata.

A) Con riferimento alla problematica delle aperture domenicali e festive degli esercizi commerciali, la Sezione ha già seguito (con la sentenza 1° luglio 2009 n. 1752 e con le sentenze in forma semplificata 9 giugno 2010, n. 1385 e n. 1386) un percorso ricostruttivo che è approdato alla disapplicazione dell’art. 18 della legge regionale n. 11 del 2003 (il quale regolamenta la suddetta tematica nella Regione Puglia) per contrasto con il diritto comunitario e, in particolare, con le previsioni in materia di libertà di concorrenza;

B) L’intera problematica deve però essere rimeditata alla luce di una più approfondita ricostruzione sia del diritto comunitario, sia delle novità giurisprudenziali (in particolare, Corte cost. 8 ottobre 2010, n. 288) e normative (il d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59, di attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno, nonché la introduzione di un comma 8octies all’interno del citato art. 18 della legge regionale n. 11 del 2003) nel frattempo intervenute;

C) Sul versante del diritto comunitario, la giurisprudenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea ha seguito nel tempo percorsi ricostruttivi sostanzialmente divergenti da quelli proposti dalla Sezione con il citato orientamento.

In particolare è stato affermato (cfr. Corte giust. CE 20 giugno 1996, n. 418, nonché 16 dicembre 1992, in causa C169/91) che: a) va escluso il possibile contrasto tra una normativa limitativa delle aperture domenicali e festive degli esercizi commerciali e le disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi, dal momento che non si ravvisa una disparità di trattamento tra prodotti nazionali e prodotti importati per quanto riguarda l’accesso al mercato; b) le discipline nazionali che limitano l’apertura domenicale di esercizi commerciali costituiscono l’espressione di determinate scelte, rispondenti alle peculiarità socioculturali nazionali o regionali; c) di conseguenza, spetta agli Stati membri effettuare queste scelte attenendosi al rispetto del principio di proporzionalità, ossia mediante un sostanziale bilanciamento di interessi tra le esigenze socioculturali delle collettività interessate e quelle degli operatori economici, e ciò nella misura in cui gli effetti restrittivi della disciplina in questione sugli scambi intracomunitari non eccedano la misura di quanto è necessario per raggiungere lo scopo prefisso;

D) In questa direzione è poi intervenuta, sul piano strettamente normativo, la direttiva 12 dicembre 2006 n. 2006/123/CE (direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi nel mercato interno) recepita nell’ordinamento italiano con il d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59.

Quest’ultima reca una serie di disposizioni tese a regolamentare i "regimi autorizzatori", i quali "possono essere istituiti o mantenuti solo se giustificati da motivi imperativi di interesse generale, nel rispetto dei principi di non discriminazione, di proporzionalità" (art. 14, comma 1, decreto legislativo n. 59 del 2010).

Ai sensi del successivo art. 15, in particolare, "ove sia previsto un regime autorizzatorio, le condizioni alle quali è subordinato l’accesso e l’esercizio alle attività di servizi sono:

a) non discriminatorie;

b) giustificate da un motivo imperativo di interesse generale;

c) commisurate all’obiettivo di interesse generale;

d) chiare ed inequivocabili;

e) oggettive;

f) rese pubbliche preventivamente;

g) trasparenti e accessibili".

A loro volta, i "motivi imperativi di interesse generale" sono individuati dall’art. 8 del citato decreto legislativo nelle "ragioni di pubblico interesse, tra i quali… la tutela dei lavoratori… gli obiettivi di politica sociale e di politica culturale".

In definitiva, ad un esame più approfondito del diritto comunitario emerge un sistema che appare complessivamente lontano dalla valorizzazione esclusiva del solo principio di libertà di concorrenza, il quale deve essere tutelato sì ma alla luce delle citate disposizioni che recepiscono la direttiva 2006/123/CE e, quindi, sulla base di un sostanziale bilanciamento di interessi tra esigenze degli operatori economici e "motivi imperativi di interesse generale", tra i quali senz’altro rientrano quelle "esigenze socioculturali" dei singoli Stati che la Corte di Giustizia CE aveva già provveduto a suo tempo a porre in risalto;

E) In questa prospettiva si colloca l’art. 18 della legge regionale 1° agosto 2003, n. 11 (nuova disciplina del commercio).

Si tratta in particolare di normativa che si inscrive, come evidenziato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 288 del 2010, nella materia "commercio", dunque di competenza residuale regionale.

La citata sentenza ha inoltre affermato che, avendo la promozione della concorrenza "una portata generale, o trasversale, può accadere che una misura che faccia parte di una regolamentazione stabilita dalle Regioni nelle materie attribuite alla loro competenza legislativa, concorrente o residuale, a sua volta abbia marginalmente una valenza procompetitiva. Ciò deve ritenersi ammissibile, al fine di non vanificare le competenze regionali, sempre che tali effetti siano marginali o indiretti e non siano in contrasto con gli obiettivi delle norme statali che disciplinano il mercato, tutelano e promuovono la concorrenza (sentenza n. 430 del 2007)".

In altre parole, la tematica delle aperture domenicali fa parte in linea generale della materia "commercio" ma incide altresì, come del resto sottolineato nella citata sentenza n. 639 del 2011 di questo TAR, su quella della "concorrenza".

In tale ottica, occorre valutare se le disposizioni regionali adottate in materia di commercio non si pongano in contrasto con gli obiettivi delle norme statali che disciplinano il mercato e che tutelano e promuovono la concorrenza, producendo se del caso effetti proconcorrenziali.

Tanto premesso, si osserva come la disposizione di cui all’art. 18 della citata legge regionale (così come integrata dal comma 8octies)si fondi su un coinvolgimento progressivo delle categorie a vario titolo interessate (associazioni imprenditoriali e di consumatori, nonché organizzazioni di lavoratori), secondo un meccanismo c.d. "a gradini" da applicare in funzione del maggior grado di liberalizzazione che si vuole imprimere al sistema delle aperture domenicali.

Più in particolare:

a) nei comuni ordinari (ossia al di fuori delle città d’arte e di quelle a vocazione prevalentemente turistica) le suddette categorie vengono "sentite" qualora si intenda ricorrere ad un grado minimo di apertura (ossia tutte le domeniche del mese di dicembre e una domenica al mese per tutti gli altri) (cfr. comma 5 art. 18);

b) si ricorre al "concerto" con le stesse parti per ulteriori aperture (di grado medio), al pari ossia delle città d’arte e di quelle ad economia turistica (dunque: tutte le domeniche ricomprese nei mesi maggio-settembre e dicembre, nonché una domenica al mese per tutti gli altri) (cfr. commi 5 e 6);

c) si ricorre agli "accordi" con i medesimi soggetti qualora si intenda invece applicare il massimo grado di liberalizzazione possibile (ossia tutte le domeniche dell’anno, ai sensi del comma 8 octies).

Come evidenziato nella citata sentenza di questa sezione "la normativa regionale prevede, in buona sostanza, una gamma di ipotesi che si articola nella liberalizzazione più completa dello svolgimento dell’attività nei giorni domenicali e festivi e via via in limitazioni sempre più stringenti, in funzione della composizione raggiunta dalla pluralità degli interessi coinvolti e, quindi, del rilievo assunto da motivi imperativi di interesse generale" (qui rappresentati dalla tutela dei lavoratori e dalle peculiarità socioculturali del territorio di riferimento).

E ciò anche in applicazione del principio di sussidiarietà di cui all’art. 118, quarto comma, Cost., per cui a maggiori livelli di liberalizzazione (dalla apertura minima a quella massima) risponde un maggior coinvolgimento delle categorie direttamente coinvolte (dalla informativa al concerto, per arrivare all’accordo) (si veda al riguardo quanto affermato dal TAR Bari nella sentenza n. 2713 del 12 novembre 2009).

Inoltre, come sottolineato dalla citata sentenza n. 639 del 2011 di questa sezione il metodo del coinvolgimento progressivo viene applicato facendo ricorso, ove necessario, al criterio della maggioranza, e ciò anche per evitare situazioni di paralisi dell’iter formativo della volontà.

In questa direzione la normativa regionale si rivela rispettosa del principio di proporzionalità nella misura in cui l’amministrazione, al momento di adottare decisioni in materia di aperture domenicali degli esercizi commerciali, prenda in considerazione quale prima opzione percorribile quella che consente il massimo grado di liberalizzazione, per poi intraprendere, qualora non si incontri il favore della maggioranza delle varie categorie, opzioni gradatamente sempre più restrittive.

Come evidenziato nell’ordinanza n. 187 in data 24 febbraio 2011 di questa sezione, infatti, "la corretta attuazione dei principi di cui alla direttiva 2006/123/CE, recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo n. 59 del 2010, impone al Comune di applicare la legge regionale n. 11 del 2003 nel senso di dare priorità, qualora ne ricorrano i presupposti, ai meccanismi di cui all’art. 18, comma 8 octies, i quali consentono in ipotesi di ottenere la più ampia forma di deroga all’obbligo di chiusura domenicale, per poi attivare, in caso di esito negativo, le ulteriori fattispecie normative comunque previste dalla stessa disciplina regionale".

In sostanza si può affermare che la disciplina adottata in materia dalla Regione Puglia ha in concreto "raggiunto, nel corso degli anni e per effetto delle modificazioni normative intervenute, una strutturazione complessa che viene ad integrare un bilanciamento di interessi, accettabile e non discriminatorio a livello comunitario, tra esigenze economiche degli operatori e del mercato e motivi imperativi di interesse generale che militano per una disciplina restrittiva in materia di aperture domenicali e festive degli esercizi commerciali" (cfr. sentenza citata di questa sezione n. 639 del 2011);

F) Ora, è indubbio che la norma statale di cui all’art. 11 del decreto legislativo n. 114 del 1998 si rivela più restrittiva, sul piano della libera concorrenza, rispetto alla disposizione di cui al citato art. 18 della legge regionale n. 11 del 2003: ed infatti, mentre la prima consentirebbe, per i comuni ordinari, una apertura massima pari a circa 12 giornate annue (ossia 4 domeniche di dicembre ed 8 per il resto dell’anno), la seconda consente invece di passare da un minimo di circa 15 giornate ad un massimo di circa 50 giornate di apertura.

E ciò senza dimenticare che la stessa legge n. 131 del 2003, all’art. 1, comma 2, prevede proprio un meccanismo cedevole in base al quale la normativa statale emanata prima della novella costituzionale del 2001 (riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione) è destinata a trovare applicazione, per ciascuna regione, sino alla entrata in vigore di disposizioni regionali emanate in materie appartenenti, per l’appunto, alla competenza regionale: situazione questa che nel caso di specie si è puntualmente verificata con la adozione della citata legge regionale n. 11 del 2003, la quale ha sostituito sul punto (aperture domenicali) quanto previsto nel decreto legislativo n. 114 del 1998.

8.2. Affermata, alla luce di quanto sopra detto, la applicazione nel caso di specie della disciplina regionale di cui all’art. 18 della L.R. n. 11 del 2003, il provvedimento deve di conseguenza ritenersi illegittimo per omesso coinvolgimento delle categorie rispettivamente interessate.

Ed infatti il Comune di Matino, nel voler introdurre il meccanismo di massima liberalizzazione (ossia aperture per tutte le domeniche dell’anno, fatta eccezione per alcune festività) non ha tenuto conto del sistema a tal fine previsto dall’art. 18 della legge regionale n. 11 del 2003, il quale prevede, in siffatti casi, l’obbligo di addivenire alla stipula di un accordo con le categorie dei lavoratori, dei consumatori e degli imprenditori interessati.

Né possono valere al riguardo le convocazioni inviate via email alle suddette associazioni/organizzazioni in data 27 maggio 2010, dato che si tratta di inviti in cui si indicava genericamente l’intenzione di consentire le aperture domenicali, senza specificare l’entità di tale intervento, e soprattutto ove si chiedeva di esprimere soltanto il proprio parere (strumento questo che prelude ad una apertura "minima" degli esercizi, come visto) e non anche forme di assenso più stringenti, quali il concerto o l’accordo previsti dalla legislazione regionale per più ampie tipologie di apertura quali quelle perseguite dall’amministrazione intimata.

Per tali ragioni le suddette note sono dunque inidonee a raggiungere lo scopo delineato dalla norma in questione, dato che l’apertura totale degli esercizi richiede giocoforza l’accordo con associazioni e organizzazioni che in questa sede non sono state adeguatamente coinvolte.

8.3. Lo specifico motivo deve dunque trovare ingresso, con conseguente accoglimento del ricorso, assorbita ogni altra censura, sotto il profilo dell’azione impugnatoria.

9. Quanto invece all’istanza risarcitoria, essa si fonda: a) sul danno derivante dalla mancata apertura domenicale da parte di D. nelle domeniche in cui era invece consentito agli esercizi di Matino di restare aperti (danno quantificato in oltre 448 mila euro); b) sul danno da sviamento di clientela, e dunque per i mancati incassi, a seguito della apertura degli esercizi commerciali di Matino nella giornata di domenica, danno calcolato sulla asserita contrazione dei consumi nei lunedì successivi (in quanto gli stessi avrebbero risentito degli acquisti effettuati dalla clientela nelle varie domeniche presso le strutture di Matino) e quantificato in oltre 100 mila euro.

In disparte ogni considerazione circa la sussistenza dell’errore scusabile (stante la complessità della normativa e delle oscillazioni giurisprudenziali in materia), entrambi le voci di danno non sono comunque ammissibili per le ragioni di seguito indicate.

La prima in quanto manca il nesso causale tra il danno asseritamente subito (da mancata apertura domenicale) e la condotta tenuta dalla amministrazione intimata, dato che la mancata apertura degli esercizi di Casarano, tra cui anche quello della ricorrente, non può certo essere ascrivibile al comportamento tenuto dal Comune di Matino. E ciò anche nella considerazione che, avendo la ricorrente impugnato i soli atti del predetto Comune di Matino, l’interesse a ricorrere è dato dall’unico obiettivo di mantenere inalterate le chiusure domenicali di tutti gli altri esercizi che gravitano nelle vicinanze, pur se riconducibili ad altri territori comunali.

La seconda voce di danno è stata invece calcolata in modo alquanto incompleto e lacunoso, come tale inammissibile, atteso che non viene fornito un adeguato parametro di riscontro con riferimento alle perdite subite nei lunedì successivi alle domeniche di apertura.

Ciò in quanto si assume in via del tutto generica che nei mesi interessati dalle aperture nel Comune di Matino (giugno – novembre 2010) l’interessata avrebbe subito una flessione dei propri incassi senza tuttavia comparare questi ultimi con quelli relativi agli stessi mesi dell’anno precedente o, comunque, con quelli del periodo antecedente alla adozione della ordinanza qui impugnata: tale analisi è stata dunque svolta in assenza di un valido parametro di riferimento e di raffronto.

È mancata in altre parole una circostanziata analisi storica della redditività dello specifico punto vendita di Casarano, da svolgersi attraverso la ricognizione dei redditi e dei bilanci conseguiti prima e dopo l’evento.

In sostanza non è stata raggiunta per tale specifica voce di risarcimento la prova del danno subito, il che rende peraltro impossibile addivenire, per giurisprudenza costante, ad una valutazione equitativa del danno ai sensi dell’art. 1226 c.c., come richiesto dalla difesa di parte ricorrente.

Ed infatti "l’attore, che abbia proposto una domanda di condanna al risarcimento dei danni da accertare e liquidare nel medesimo giudizio, ha l’onere di fornire la prova certa e concreta del danno, così da consentirne la liquidazione, oltre che la prova del nesso causale tra il danno ed i comportamenti addebitati alla controparte; può, invero, farsi ricorso alla liquidazione in via equitativa, allorché sussistano i presupposti di cui all’art. 1226 cod. civ., solo a condizione che l’esistenza del danno sia comunque dimostrata, sulla scorta di elementi idonei a fornire parametri plausibili di quantificazione" (Cass. Civ., Sez. I, 15 febbraio 2008, n. 3794; cfr. anche, in questa stessa direzione, Cass. Civ., sez. II, 21 novembre 2006, n. 24680; Sez. III, 12 aprile 2006, n. 8615; Sez. Lav., 26 gennaio 1983, n. 733).

Per le ragioni suddette va dunque respinta l’azione risarcitoria, sia per carenza dei presupposti (mancanza del nesso causale in relazione al danno da mancata apertura) sia per mancata prova del danno subito (quanto allo sviamento di clientela verificatosi nelle giornate di lunedì).

10. Stante la complessità e la novità delle questioni esaminate sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce – Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

a) accoglie l’istanza impugnatoria, con conseguente annullamento dell’ordinanza sindacale n. 22 del 25 giugno 2010;

b) respinge l’istanza risarcitoria.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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