Cons. Stato Sez. III, Sent., 26-05-2011, n. 3183 Giurisdizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. L’attuale appellante, già ricorrente in primo grado, espone di essere medico adibito, con incarico a tempo indeterminato, ai servizi di emergenza sanitaria territoriale "118" nell’ambito del servizio sanitario della Regione Puglia.

Espone altresì di avere fatto istanza per essere inquadrato in organico, avvalendosi del disposto della legge regionale pugliese n. 26/2006, art. 3, comma 8, che prevede appunto tale beneficio per i medici adibiti ai suddetti servizi, che abbiano maturato cinque anni nella posizione di incarico a tempo indeterminato.

Poiché la Regione non ha dato alcuna risposta, l’interessato ha esperito la procedura del silenziorifiuto e quindi ha proposto al T.A.R. Puglia il ricorso per l’accertamento dell’obbligo di provvedere.

2. Il T.A.R. Puglia si è pronunciato con la sentenza ora appellata. In primo luogo il T.A.R. ha osservato che si potrebbe porre un problema di giurisdizione, ove si consideri che la controversia attiene ad un rapporto di lavoro privatizzato.

Tuttavia, il T.A.R. ha ritenuto di potersi esimere dall’approfondire la questione della giurisdizione, in quanto il ricorso appariva (a suo giudizio) manifestamente infondato nel merito.

A questo proposito, il T.A.R. ha osservato che la norma invocata (art. 3, comma 8, della l.r. n. 26/2006) va interpretata nel senso che il beneficio è concesso "una tantum" a coloro che abbiano maturato il requisito (cinque anni di servizio in posizione di incaricato) entro la data di entrata in vigore della stessa legge regionale. E’ invece pacifico che l’attuale ricorrente abbia maturato il quinquennio di servizio solo alquanto tempo dopo quella data. Donde l’infondatezza della pretesa sostanziale e dunque (sempre a giudizio del T.A.R.) l’inesistenza dell’obbligo di provvedere.

3. L’interessato appella la sentenza del T.A.R. deducendo innanzi tutto che quest’ultimo doveva pronunciarsi esclusivamente sull’obbligo di provvedere, lasciando le altre questioni all’amministrazione regionale.

In secondo luogo l’appellante espone diffuse argomentazioni rivolte a sostenere che la legge regionale va interpretata altrimenti, e cioè nel senso che il beneficio spetta a tutti coloro che via via maturano il quinquennio di servizio, ancorché ciò si verifichi dopo l’entrata in vigore della legge.

La Regione si è costituita opponendosi argomentatamente all’accoglimento dell’appello.

4. Esaminando l’appello, questo Collegio ritiene che non si possa prescindere dalla questione di giurisdizione, non solo perché essa è logicamente prioritaria, ma anche perché decidere il merito in carenza di giurisdizione equivale a sottrarre, di fatto, la controversia al suo giudice naturale, pregiudicando l’una o l’altra delle parti.

D’altronde, il difetto di giurisdizione può e deve essere rilevato anche d’ufficio in ogni grado, salvo che si sia formato un giudicato, almeno implicito, sul punto. In questo senso va interpretato l’art. 9 del c.p.a.. La disposizione appare coerente con la giurisprudenza anteriore (Ad. plen., 30 agosto 2005, n. 4; sez. V, n. 5786 del 7.11.2007 e n. 365 del 6.2.2008; sez. IV, n. 6446 del 27.10.2006; Ad. Plen. 30 luglio 2008, n. 4, etc.).

Resta semmai il problema di stabilire quando si possa dire che vi sia stata una decisione "implicita" sulla giurisdizione (in senso affermativo). Secondo una certa linea giurisprudenziale, la decisione implicita si ravviserebbe solo nelle sentenze di accoglimento, in quanto logicamente incompatibili con un supposto difetto di giurisdizione, mentre non si ravviserebbe nelle sentenze comunque sfavorevoli alla parte ricorrente (incluse quelle di rigetto di ricorso nel merito). Secondo un’altra linea giurisprudenziale, ogni sentenza che decida la causa nel merito (anche nel senso del rigetto) sottintenderebbe una decisione affermativa della giurisdizione; ne rimarrebbero fuori solo le sentenze che dichiarino il ricorso inammissibile per vizi di rito, e simili.

In questo caso però il problema non si pone, perché il T.A.R. ha esplicitamente dichiarato di ritenersi dispensato dalla questione di giurisdizione, stante la (asserita) manifesta infondatezza del ricorso nel merito.

5. Tanto premesso, si passa dunque all’esame della questione di giurisdizione.

Viene in considerazione l’art. 63, comma 1, del t.u. n. 165/2001, che dispone: "Sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (…) incluse le controversie concernenti l’assunzione al lavoro (…) ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti".

Nel caso in esame, tuttavia – come esposto dal difensore dell’appellante invitato dal Collegio a dedurre sul punto – il beneficio invocato dalla parte interessata presuppone il previo esercizio di poteri organizzativi da parte dell’amministrazione. Invero l’art. 3, comma 8, della legge regionale pugliese n. 26/2006 rinvia all’art. 11 della legge regionale n. 14/2004 e quest’ultima disposizione, in effetti, prefigura un procedimento complesso solo al cui esito avranno luogo gli inquadramenti degli interessati.

Con il ricorso in primo grado, l’attuale appellante non ha chiesto l’accertamento del proprio titolo a conseguire l’inquadramento, ma solo l’accertamento dell’obbligo di provvedere, ossia di avviare il procedimento di cui sopra, che include, come già detto, anche momenti di discrezionalità organizzativa, dai quali risulta condizionato il conseguimento del beneficio sostanziale cui aspira la parte interessata.

Si può dunque concludere nel senso che tale domanda rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo.

6. Nel merito, l’appellante deduce che il T.A.R. si sia pronunciato al di fuori della materia del contendere, quando ha affermato che esso appellante non ha titolo per conseguire l’inquadramento.

La tesi dell’appellante è che la domanda giudiziale riguardava solo l’accertamento dell’obbligo di provvedere ossia di avviare un complesso procedimento che – come già detto – include anche valutazioni discrezionali e organizzative, lasciandone allo stato impregiudicato l’esito. Il T.A.R. dunque si sarebbe spinto troppo oltre.

7. Il Collegio osserva che, al contrario, il T.A.R. si è correttamente mantenuto entro i limiti dell’accertamento dell’obbligo di provvedere.

Esso infatti ha ritenuto decisiva la considerazione che il meccanismo d’inquadramento istituito dalla legge regionale n. 26/2006, art. 3, comma 8, riguardi solo gli interessati che abbiano maturato il presupposto fondamentale (e cioè cinque anni di servizio) entro la data di entrata in vigore della legge; requisito, peraltro, che l’appellante pacificamente non possiede, avendo maturato il quinquennio in una data successiva.

Sembra dunque evidente che se la parte interessata manca di un requisito essenziale, essa non ha titolo neppure ad esigere l’avvio del procedimento – o per dir meglio ad esigere che esso venga riavviato, in quanto è ragionevole presumere che si sia già svolto dopo l’entrata in vigore della legge regionale n. 26/2006, a beneficio di coloro che ne avevano titolo.

Sotto questo profilo, la sentenza va confermata.

8. Resta ora da affrontare il punto centrale della controversia: e cioè se il beneficio di cui alla legge regionale n. 26/2006, articolo 3, comma 8, spetti solo a chi ne avesse maturati i requisiti entro la data di entrata in vigore della norma, ovvero anche a chi li maturi in seguito, senza limiti di tempo.

In proposito, il Collegio osserva che, in effetti, la disposizione in esame non contiene un esplicito riferimento ad una data entro la quale debba essere maturato il requisito. Nondimeno, ciò non basta a far ritenere che il legislatore regionale abbia inteso istituire un meccanismo permanente per l’inquadramento in organico di tutti coloro che, di anno in anno, raggiungano l’anzianità di cinque anni di incarico.

E’ rilevante la considerazione che un meccanismo così congegnato, se permanente, sarebbe incostituzionale per violazione del principio per cui ai pubblici impieghi si accede, di norma, solo per concorso.

D’altra parte, la disposizione in esame, della legge regionale pugliese n. 23/2006 va letta in connessione con le corrispondenti (e da essa richiamate) disposizioni della legge regionale n. 14/2004 (art. 11) e del decreto legislativo n. 502/1992 (art. 8, comma 1bis).

Queste ultime due disposizioni hanno pacificamente carattere transitorio, in quanto in esse è esplicito lo sbarramento cronologico. E’ perciò ragionevole ritenere, come ha fatto il T.A.R., che nel 2006 il legislatore regionale abbia semplicemente inteso reiterare il beneficio a vantaggio di nuovi destinatari, mantenendo invariato il carattere dell’istituto, transitorio e non permanente.

9. L’appellante prospetta una questione di costituzionalità: la disposizione in discorso sarebbe incostituzionale, per violazione del principio dell’uguaglianza, ove fosse da interpretare nel senso restrittivo. Vi sarebbe cioè ingiusta discriminazione fra chi abbia maturato il quinquennio entro una certa data e chi lo maturi successivamente.

Il Collegio osserva che una simile discriminazione è connaturata a qualunque disposizione di carattere transitorio e specialmente in tutte quelle di sanatoria, condono, inquadramenti ope legis e via dicendo. Si tratta sempre di disposizioni apertamente eccezionali, e proprio tale eccezionalità giustifica la discriminazione. Resta salvo, in ogni caso, il sindacato con riferimento al parametro della ragionevolezza.

Nel caso in esame, peraltro, si è già detto che una ipotetica norma che istituisse in via permanente e a tempo illimitato un siffatto meccanismo d’inquadramento sarebbe incostituzionale per violazione del principio del concorso pubblico. Perciò, dato e non concesso che la legge regionale in esame sia censurabile a motivo di una irragionevole discriminazione, l’esito non potrebbe comunque essere quello di una sentenza di costituzionalità "additiva" – intendendosi per tale la pronuncia che estende l’area di applicazione della norma. La norma risultante, invero, benché emendata di un profilo incostituzionalità, sarebbe incostituzionale ad altro titolo.

In questa situazione, il supposto vizio di costituzionalità potrebbe essere emendato unicamente mediante una sentenza abrogante l’intera norma. Ma a questo tipo di pronuncia l’attuale appellante chiaramente non ha interesse e pertanto la questione non si pone.

10. In conclusione, l’appello va respinto. Si ravvisano giusti motivi per compensare le spese.

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P.Q.M.

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Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) rigetta l’appello. Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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