Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 14-04-2011) 26-05-2011, n. 21263 Esecuzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con ordinanza deliberata in data 23 settembre 2010, depositata in cancelleria il 24 settembre 2010, il Tribunale di Sorveglianza di Milano rigettava l’istanza avanzata nell’interesse di V. F., in espiazione della pena dell’ergastolo, volta a ottenere il differimento dell’esecuzione della pena ai sensi dell’art. 684 c.p.p., comma 2. Il giudice, in particolare, rilevava non sussistere i presupposti nè per l’applicabilità dell’art. 146 c.p., nè per l’applicabilità dell’art. 147 c.p., neppure nelle forme della detenzione domiciliare sussistendo evidenti profili di pericolosità sociale del soggetto.

2. – Avverso il citato provvedimento, tramite il proprio difensore, ha interposto tempestivo ricorso per cassazione il V. chiedendone l’annullamento per violazione di legge e vizi motivazionali. Veniva premesso che il prefato era stato avviato dal 10 ottobre 2008 al 10 aprile 2009 alla detenzione domiciliare ex art. 147 c.p.p. essendo stata riconosciuta la grave situazione clinica del soggetto, periodo trascorso nel rispetto delle prescrizioni imposte sicchè, in costanza di un peggioramento delle condizioni di salute, come evidenziate dalle relazioni sanitarie aggiornate non prese in considerazione dal giudice, il provvedimento gravato si è posto in contrasto con la precedente decisione. La motivazione dell’ordinanza si profilava dunque incongrua, illogica e contrad-dittoria soprattutto là ove si è affermato che non vi fosse per l’odierno ricorrente pericolo di vita, nè il Tribunale si è espresso sulla adeguatezza del trattamento sanitario in regime detentivo.
Motivi della decisione

3. – Il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.

3.1 – E’ noto che, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, il differimento facoltativo della pena per motivi di salute può essere concesso solo se sia stata diagnosticata una "grave infermità fisica" e ricorra un serio e conclamato pericolo quoad vitam (cfr.

Cass., Sez. 1, 22 novembre 2000, n. 8936, rv. 21829, Piromalli;

Cass., Sez. 1, 24 giugno 2008, n. 27313, rv. 240877, Commisso) o venga accertata l’impossibilità di praticare utilmente in ambiente carcerario le cure necessarie nel corso dell’esecuzione della pena.

In quest’ultimo caso poi occorre valutare se le condizioni di salute del condannato siano o meno compatibili con le finalità rieducative proprie della pena e con le concrete possibilità di reinserimento sociale del condannato, conseguenti all’attività rieducativa svolta, cosicchè l’espiazione della pena debba essere legittimamente differita solo se, per la natura particolarmente grave dell’infermità del condannato, l’esecuzione della pena possa ritenersi come avvenuta in aperto dispregio del diritto alla salute e del senso d’umanità, al quale deve essere improntato il trattamento dei detenuti, per le eccessive ed ingiustificate sofferenze che essa possa arrecare al condannato (cfr. Cass., Sez. 1, 18 giugno 2008, n. 28555, rv. 240602; Sez. 1 23 settembre 1996, n. 4690, rv. 205750) e le cure necessarie non siano praticabili in istituto, considerando peraltro che le eventuali situazioni acute e di crisi ben possono essere fronteggiate con il ricovero esterno, L. 26 luglio 1975, n. 354, ex art. 11 (Cass., Sez. 1, 28 settembre 2005, n. 36856, rv.

232511, La Rosa).

3.2. – Ciò posto si osserva che il ricorso, largamente volto a non consentita rilettura in fatto, pur deducendo (per valutazione soggettiva) una situazione sanitaria più grave di quella accertata in atti, non invoca nè un pericolo quoad vitam, nè un’effettiva incompatibilità con l’ambiente carcerario, e neppure scadimento al disotto della soglia minima di dignità umana, limitandosi a rilevare alcune difficoltà psicologiche del detenuto che, al più, investono i limiti discrezionali delle opportunità trattamentali degli operatori di Istituto. Correttamente peraltro il giudice di merito ha dato adeguatamente conto, con motivazione immune da errori logici e giuridici, delle specifiche ragioni che hanno portato a ritenere la compatibilità delle condizioni di salute lamentata dal V. con il regime carcerario in atto ribadendo che il trattamento intra moenia non costituisce allo stato ostacolo alla sottoposizione ad adeguate cure ovvero potendo il condannato essere appoggiato eventualmente ad altre strutture facenti sempre parte dell’amministrazione penitenziaria o in luoghi esterni ai sensi della L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 11 peraltro di pronta fruibilità.

Il giudice di merito ha inoltre in modo del tutto condivisibile preso in considerazione la specifica qualità della patologia lamentata dal richiedente rilevando che la medesima, pur nella sua gravità, non è concretamente tale da far ritenere sussistente l’incompatibilità lamentata per l’intervenuta stabilità e la non rilevata ingravescenza. Nella fattispecie, come implicitamente ha fatto valere il Tribunale di Sorveglianza, il regime carcerario, per le potenzialità rappresentate dalle strutture disponibili e le conseguenti fattive possibilità di valida ed efficace terapia, non costituisce di per sè, in rapporto alle condizioni di salute del ricorrente delineate dai sanitari, un fattore di aggravamento e di rischio per l’integrità fisica del malato; va ritenuto, infatti, che la detenzione in sè, a prescindere dalle conseguenze fisio- psicologiche tipiche della privazione della libertà, non è ragione di deterioramento dello stato di salute dell’individuo.

3.3. – Va infine negativamente evidenziata, come ha sottolineato il Tribunale di Sorveglianza, la rilevata assenza di "compliance" del ricorrente (condotta non collaborante) che ha assunto un atteggiamento di rifiuto nei confronti delle cure prescritte, circostanza questa che ha di fatto peggiorato da un lato le sue condizioni fisiche, alterando il quadro di riferimento e, dall’altro, sottolineando un intento di strumentalizzazione della propria salute onde ottenere quanto richiesto. E’ ben vero quindi che questa Corte ha ritenuto in altre circostanze che lo stato di salute incompatibile con il regime carcerario, idoneo a giustificare il differimento dell’esecuzione della pena per infermità fisica o la applicazione della detenzione domiciliare, non è limitato alla patologia implicante un pericolo per la vita, dovendosi avere riguardo ad ogni stato morboso o scadimento fisico capace di determinare una situazione di esistenza al di sotto di una soglia di dignità da rispettarsi pure nella condizione di restrizione carceraria (Cass., Sez. 1, 8 maggio 2009, n. 22373, Aquino, rv. 244132) ma è anche certo che la volontà del soggetto di non sottoporsi a idonea terapia o di sottoporvisi in modo discontinuo e inefficace, è ragione della avvertita incompatibilità da parte del ricorrente e della sussistenza di una più che sospetta strumentalizzazione del proprio status di malato, nè, come evidenzia il Tribunale di Sorveglianza, può applicarsi l’art. 146 c.p., n. 3 che presuppone la collaborazione del detenuto-paziente.

Nessuna contraddizione è pertanto ravvisabile in relazione alla precedente decisione che aveva applicato per il V. la detenzione domiciliare per ragioni di salute, posto che, ciò che andava esaminata, così come in concreto è stato fatto, non è la situazione clinica del soggetto nel periodo di fruizione della misura alternativa, bensì quella successiva lumeggiata dalla documentazione clinica scrutinata e rilevante ai fini dell’applicazione della nuova misura.

4. – Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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