Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 14-04-2011) 26-05-2011, n. 21212

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con sentenza deliberata in data 16 luglio 2010, depositata in cancelleria il 20 luglio 2010, la Corte di Appello di Palermo, confermava la sentenza del Giudice dell’Udienza preliminare del Tribunale di Agrigento in data 25 giugno 2009 che aveva dichiarato D.P.A., responsabile del reato di tentato omicidio e altro condannandolo, applicate le attenuanti generiche valutate come equivalenti alle contestate aggravanti e alla recidiva, alla pena di anni cinque e mesi quattro di reclusione.

1.1. – Secondo la ricostruzione del fatto operata nella sentenza gravata D.P.A., a seguito di un alterco avuto con M.N. all’interno del bar (OMISSIS) esplodeva al suo indirizzo, con un fucile doppietta cal. 12, più colpi d’arma da fuoco attingendo la vittima alla regione posteriore del torace.

1.2. – Il giudice di merito richiamava, onde pervenire alla formulazione del giudizio di responsabilità, il dato probatorio consistito dalle dichiarazioni della parte offesa che ha riferito del litigio avuto pochi minuti prima con l’imputato e dalle dichiarazioni dei testimoni escussi ( M.C. e F.S.) che avevano assistito al fatto. Il D.P. ha peraltro confessato la propria responsabilità precisando che il movente andava ricercato nei sentimenti di gelosia nutriti nei confronti della convivente.

Infine il perito balistico dott. P. chiariva che la vittima aveva sparato da una distanza di circa dieci metri attraverso il vetro della porta che la vittima prontamente, nello spostarsi a sinistra, aveva frapposto tra sè e lo sparatore, fatto questo che spiegava il perchè le ferite inferte con l’arma da fuoco alla vittima erano state superficiali attingendo solo la parte destra della schiena del M..

2. – Avverso tale decisione, tramite il proprio difensore avv. Antonino Gaziano, ha interposto tempestivo ricorso per cassazione il D.P. chiedendone l’annullamento per violazione di legge e vizi motivazionali. a) con il primo motivo veniva rilevata la violazione dell’art. 582 c.p. ed erronea motivazione, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e); in modo del tutto illogico la Corte territoriale ha ritenuto sussistere il reato di tentato omicidio anzichè quello di lesioni personali stante la carenza di animus necandi. Ciò era avvalorato dalle ferite superficiali riportate dalla parte lesa, segno evidente che il ricorrente non intendeva colpire il M., atteso peraltro che non è stata determinata la distanza da cui è stato esploso il colpo. b) il ricorrente ha altresì eccepito la violazione di legge e il difetto motivazionale in relazione al diniego dell’attenuante della provocazione avendo agito il prevenuto in stato d’ira da fatto ingiusto altrui; il prefato aveva per vero reagito per i pesanti apprezzamenti proferiti alla propria fidanzata da parte del M.. c) illogica e contraddittoria motivazione della sentenza con riferimento alla pena per non essere stata applicata nei minimi edittali.
Motivi della decisione

3. – Il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.

3.1 – Il primo motivo di ricorso, in particolare, è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.

3.1.1 – Per giurisprudenza costante di questa Corte, ai fini della diversa definizione del fatto materiale nel reato di lesioni personali e in quello di tentato omicidio – così come avviene in genere per tutti i casi di reato progressivo – deve aversi riguardo sia al diverso atteggiamento psicologico dell’agente, che alla differente potenzialità dell’azione lesiva. Nel primo reato l’azione esaurisce la sua carica offensiva nell’evento prodotto, mentre nel secondo vi si aggiunge un quidpluris che, andando al di là dell’evento realizzato, tende ed è idoneo a causarne uno più grave in danno dello stesso bene giuridico o di un bene giuridico superiore, riguardanti il medesimo soggetto passivo, non riuscendo tuttavia a cagionarlo per ragioni estranee alla volontà dell’agente (Cass., Sez. 1, 20 maggio 1987, Incamicia, rv. 177610).

3.1.2 – Il giudice di secondo grado è stato ossequioso di questi principi avendo esaustivamente dato conto delle ragioni della mancata derubricazione del fatto, giuste le considerazioni esposte in punto di sede corporea attinta dal prevenuto (il torace), dell’idoneità dell’arma impiegata (un fucile), della reiterazione dei colpi assestati alla vittima (ben tre), nonchè delle stesse modalità reiterative dell’atto lesivo, traendone un convincimento non contraddittorio e logico. In particolare il giudice del merito ha fatto valere una valutazione ex ante in coordinazione di tutti gli altri elementi circostanziali del fatto ravvisando la sussistenza di indici di alta potenzialità lesiva e dunque di sussistenza dell’animus necandi in ottemperanza del resto del consolidato orientamento di questa Corte di legittimità secondo cui in tema omicidio volontario, in mancanza di circostanze che evidenzino ictu oculi l’animus necandi, la valutazione dell’esistenza del dolo omicidiario può essere raggiunta attraverso un procedimento logico d’induzione da altri fatti certi, quali i mezzi usati, la direzione e l’intensità dei colpi, la distanza del bersaglio, la parte del corpo attinta, le situazioni di tempo e di luogo che favoriscano l’azione cruenta (Cass., Sez. 1, 8 giugno 2007, n. 28175, Marin, rv. 237177).

3.1.3. – Poco rileva la circostanza che le ferite inferte alla vittima siano state superficiali, posto che il giudice del merito ha fatto specifico riferimento alle risultanze peritali che hanno concluso per la sussistenza della posizione ravvicinata dello sparatore rispetto alla vittima e il fatto che il colpo che ha attinto il M. non solo è stato attutito e deviato dal vetro della porta prontamente da quest’ultima frapposta nel corso dell’aggressione, ma non ha raggiunto appieno l’obbiettivo per il fatto che la vittima si sia spostata da un lato poco prima dello sparo. Se tali fattori disturbanti non fossero intervenuti l’esplosione del colpo avrebbe potuto essere per la parte lesa letale, come riferito dal perito.

3.2 – Anche il secondo motivo di gravame è privo di pregio e va rigettato.

3.2.1 – Il ricorso (incentrato su censure attinenti all’attenuante della provocazione ai sensi dell’art. 62 c.p., n. 2) non è fondato e deve essere respinto. La circostanza attenuante della provocazione si configura qualora si sia in presenza di tre elementi: a) un fatto ingiusto altrui, realmente verificatosi; b) lo stato d’ira suscitato in relazione al tempo e al luogo in cui è avvenuto il fatto e alla persona in cui insorge: c) l’esistenza di un nesso di causalità psicologica tra l’offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzione tra di essi. Ne consegue che, se manca uno di questi elementi, la predetta attenuante non può essere concessa.

3.2.2 – Nella giurisprudenza di questa Corte è stato altresì chiarito che lo "stato d’ira" può consistere anche in un’alterazione emotiva che si protrae nel tempo, pur se manchi un rapporto di immediatezza col "fatto ingiusto altrui" (Cass., Sez. 1, 22 gennaio 1996, Giampieri), con la precisazione che il fatto che ha determinato la reazione dell’imputato deve essere connotato dal carattere della ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate doverose nell’ambito di una determinata collettività in un dato momento storico, e non con riferimento alle convinzioni dell’imputato e alla sua sensibilità personale (cfr. Cass., Sez. 1, 1 luglio 1996, Curcas; Sez. 1, 28 ottobre 1993, Recchi). E’ stato, inoltre, stabilito che il reato può considerarsi commesso in un vero e proprio stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui anche in assenza di un rapporto di proporzionalità, a condizione, tuttavia, che sia pur sempre riscontrabile una qualche adeguatezza tra reazione e offesa, dato che una reazione palesemente smisurata e sproporzionata rivela l’esistenza di un nesso di mera occasionalità, e non di causalità psicologica, tra i due fatti (Cass., Sez. 1, 8 aprile 1998, n. 5318, rv. 210574, Vranesi; Sez. 1, 30 novembre 1995, Ali; Cass., 5 luglio 1993, Angelucci).

3.2.3 – In applicazione di questi principi correttamente la sentenza impugnata ha escluso l’applicabilità dell’attenuante in presenza della violenta aggressione posta in essere dal D.P. senza che fosse stata in alcun modo provata la condotta provocatrice del M.. Manca inoltre del tutto l’adeguatezza tra reazione e offesa posto che, anche qualora la vittima avesse rivolto frasi irriguardose nei confronti della fidanzata del prefato, quest’ultimo ha posto in essere una reazione squilibrata rispetto al bene ritenuto offeso, non avendo infatti quello esitato a imbracciare un fucile e a sparare per ben tre volte nei confronti dell’offensore.

3.3 – Parimenti destituito di fondamento è il terzo motivo di impugnazione formulato in punto di dosimetria della pena.

Contrariamente a quanto assunto in gravame il giudice del merito da conto delle ragioni concernenti la pena richiamando le modalità del fatto, la personalità pericolosa del soggetto quale evidenziata dai precedenti penali anche specifici.

4. – Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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