Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 14-04-2011) 26-05-2011, n. 21008

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

volgimento del processo

R.P. veniva rinviato a giudizio perchè imputato dei reati di usura ed estorsione tentata e consumata, commessi in danno di D.B.C. e del figlio, perchè: – approfittando dello stato di bisogno del predetto si faceva versare interessi usurari e, successivamente:

– costringeva, con minaccia, il D.B. a versare gli interessi usurari, riuscendo nell’intento solo in parte;

fatti commessi sino all'(OMISSIS);

1)- Il Tribunale di Benevento al termine del giudizio di primo grado condannava l’imputato con sentenza del 29.04.2002 alla pena ritenuta di giustizia ma limitatamente al reato di estorsione, essendo ormai prescritto il delitto di usura;

2)- La Corte di appello di Napoli investita del gravame, con sentenza del 16.10.2003, confermava la decisione impugnata quanto alla responsabilità penale per il delitto di estorsione ma rideterminava la pena, revocava le statuizioni civili sul presupposto che la parte civile avesse rinunciato alla costituzione in sede penale, avendo promosso l’azione risarcito ria in sede civile;

3)- La Corte di Cassazione (sez. 2^) annullava la sentenza della Corte territoriale: – sia riguardo alla condanna per il delitto di estorsione, rilevando il vizio di omessa motivazione in ordine allo stato di bisogno dell’usurato, e: – sia riguardo alla motivazione adottata per la revoca della costituzione di parte civile;

4)- La Corte di appello di Napoli, in sede di rinvio, con decisione del 17.06.2005, rideterminava la pena per il delitto di estorsione, confermando l’estinzione del reato di usura in assenza di elementi che evidenziassero l’innocenza dell’imputato;

revocava nuovamente le statuizioni civili;

5)- la Corte di cassazione, investita per la seconda volta, accoglieva il ricorso dell’imputato con decisione dell’11.12.2008 ed annullava nuovamente la sentenza emessa in sede di rinvio, rilevando l’inosservanza dei principi indicati nella sentenza di annullamento per omessa motivazione sullo stato di bisogno dell’usurato, elemento che la Corte suprema sottolineava essere costitutivo del delitto di usura nella formulazione ante riforma del reato, il cui accertamento era indispensabile al fine dell’inquadramento della condotta posta in essere dal R. nell’ipotesi di estorsione continuata ascrittagli;

– annullava altresì e per la seconda volta la decisione relativamente alla revoca delle statuizioni civili;

6)- la Corte di appello di Napoli, in sede di (nuovo) rinvio, con sentenza del 17.05.2010, in riforma della decisione di primo grado: – confermava la responsabilità dell’imputato per il delitto di estorsione, rideterminando la pena; – revocava la costituzione di parte civile e relative statuizioni, condannando la stessa parte civile alle spese del procedimento;

L’imputato R.P. ricorre per cassazione, deducendo:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e).

1)-il ricorrente censura la decisione impugnata per non avere ottemperato ai principi espressi nella sentenza di annullamento riguardo alla motivazione sullo stato di bisogno della parte offesa, elemento, quest’ultimo, indicato dalla Corte di legittimità come elemento costitutivo del reato di usura, cioè del reato presupposto del delitto di estorsione;

– a parere del ricorrente, anche nella sentenza da ultimo impugnata, difettava completamente la dimostrazione dello stato di bisogno del D.B. avendo, al più, la sentenza impugnata dimostrato uno stato di difficoltà economica, circostanza diversa dallo stato di bisogno;

– la motivazione sarebbe incompleta anche per avere omesso di dimostrare l’elemento intenzionale del reato e cioè la consapevolezza da parte del R. dello stato di bisogno delle parti offese;

– al riguardo sarebbero inutilizzabili le dichiarazioni rese dal D. B. all’udienza del 18.03.02 perchè il medesimo non era stato indicato nella lista dei testi del PM;

– mancava la dimostrazione:

– in ordine all’entità del tasso, asseritamene usurario, – in ordine all’entità dei rapporti di dare ed avere tra le parti, – in ordine ai bilanci della società della parte offesa;

– non era stata assunta alcuna decisione in ordine alla richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale;

2)- con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per non avere rilevato la prescrizione del reato di estorsione atteso che il medesimo era contestato sino all’aprile del 1992, sicchè, tenendo conto dei periodi di sospensione e delle concesse attenuanti generiche (incidenti nel calcolo della prescrizione alla luce della legislazione previgente alla riforma del 2005) era ormai prescritto alla data del 19.10.2008 e cioè in data anteriore alla sentenza qui impugnata, emessa il 17.05.2010.

CHIEDE l’annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione

Il primo motivo, relativo all’affermazione di responsabilità e condanna del R. per il delitto di estorsione è infondato e va respinto.

La Corte di appello ha pienamente ottemperato ai principi espressi nella decisione di annullamento, osservando come dalle dichiarazioni della parte offesa D.B. emergeva in maniera chiara lo stato di crisi di liquidità dell’azienda, sin dal 1989, tanto da essere stato costretto a chiedere prestiti, a tasso usurario, dapprima a tale L., e, poi, all’odierno imputato R.P.;

la sentenza impugnata sottolinea che il R. è intervenuto allorchè la parte offesa si trovava in una situazione di effettiva difficoltà, tanto che era già entrata nel giro usurario.

Riguardo allo stato di bisogno del D.B. la Corte territoriale osserva:

– che il medesimo riceveva dai suoi clienti assegni postdatati, che non poteva scontare in banca perchè protestato;

– che per questo aveva accettato i prestiti del R., a tasso usurario, pari a circa il 3% – 5% mensile;

– che il R. era pienamente a conoscenza di tale situazione, conoscendo la condizione delle società del D.B. ed essendo informato dal medesimo sulla sua situazione;

– che, difatti, il R. aveva poi presentato istanza di fallimento per le società del D.B.;

– che, in tale contesto, il R. gli aveva rivolto continue minacce, anche attraverso altri soggetti, come ad esempio tale R. G., che lo aveva invitato a sottoscrivere una ricognizione di debito con l’avvertimento che esso D.B. stava "giocando una brutta carta";

avvertimenti cui era seguito l’incendio nei locali del figlio del D. B. ed altri segnali ed avvertimenti che la sentenza impugnata descrive compiutamente.

Si tratta di passaggi fondamentali della decisione impugnata con i quali la Corte di appello:

– per un verso – indica in maniera chiara gli elementi costitutivi sia del reato presupposto di usura che di quello principale di estorsione contestato;

– per altro verso – motiva congruamente in ordine allo stato di bisogno, con ciò aderendo pienamente ai principi espressi nella sentenza di annullamento ed evidenziando come tale stato emergeva chiaramente.

– dall’essere intervenuto il R. allorchè la parte lesa era ormai in stato tale di difficoltà economica da essersi rivolto all’ambiente degli usurari e:

– dall’avere accettato le dure condizioni del R. che imponeva tassi del 3% -5% mensili, pari nel massimo ad oltre il 50% annuo.

Si tratta di una motivazione del tutto sufficiente in linea di fatto ed anche in linea di diritto, essendosi affermato che:

– lo stato di bisogno consiste in una situazione che elimina o comunque limita la volontà del soggetto passivo e lo induce a contrattare in condizioni di inferiorità psichica tali da viziare il consenso (Cassazione penale, sez. 2^, 13/11/2008, n. 45152) e, che pertanto:

– lo stato di bisogno della persona offesa del delitto di usura può essere provato anche in base alla sola misura degli interessi, qualora siano di entità tale da far ragionevolmente presumere che soltanto un soggetto in stato di bisogno possa contrarre il prestito a condizioni talmente inique e onerose. (Cassazione penale, sez. 2^, 30/04/2009, n. 20868).

Per altro, il ricorrente propone interpretazioni alternative delle prove che si risolvono in valutazioni – in fatto – fondate su interpretazioni alternative delle prove, inammissibili in questa sede, ove in tema di sindacato del vizio della motivazione, il giudice di legittimità non è chiamato a sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine alla affidabilità delle fonti di prova, essendo piuttosto suo compito stabilire – nell’ambito di un controllo da condurre direttamente sul testo del provvedimento impugnato – se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se ne abbiano fornito una corretta interpretazione, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre. Cassazione penale, sez. 4^, 29 gennaio 2007, n. 12255.

Va inoltre considerato che la ricorrenza della prescrizione del delitto di usura non consentiva un ulteriore approfondimento, atteso che l’art. 129 c.p.p. impone la pronuncia di assoluzione nel merito, con precedenza rispetto a quella di estinzione del reato, solo nel caso di palmare evidenza dell’innocenza dell’imputato, di tal che risultano infondati ed irrilevanti anche gli altri motivi dedotti nel ricorso e richiamati nella parte descrittiva.

Tanto premesso in ordine all’affermazione di responsabilità del ricorrente, risulta fondato il motivo sulla prescrizione del reato.

Il Tribunale ha concesso all’imputato le attenuanti generiche e le ha ritenute prevalenti sulle aggravanti perchè, nel calcolo della pena, ha dapprima fissato la pena base e quindi l’ha ridotta, evidenziando di avere ritenuto la prevalenza delle attenuanti.

Alla fattispecie si applica la legislazione previgente la novella del 2005, atteso che la decisione di primo grado è intervenuta nel 2002 ed occorre, pertanto, tenere conto delle attenuanti generiche concesse e ritenute prevalenti che fanno scendere la pena massima prevista per l’estorsione (ex art. 629 c.p.) al di sotto di anni 10;

ne deriva che, ai sensi dell’art. 157 c.p. previgente, il termine massimo di prescrizione è di anni 15 (10+5) ormai decorso alla data della sentenza di appello qui impugnata, intervenuta li 17.05.2010;

invero il reato è contestato in continuazione "fino ad aprile 1992" sicchè, anche tenendo conto delle sospensioni – pari ad anni 1 mesi 6 gg. 20 – il termine ultimo è spirato il 21.10.2008, cioè in data ampiamente antecedente a quella della sentenza di appello (del 17.05.2010).

La fondatezza del secondo motivo impedisce di ritenere inammissibile l’intero ricorso, nonostante l’infondatezza del primo motivo; ne consegue l’obbligo di rilevare l’intervenuta prescrizione del reato.

Riguardo alle statuizioni civili non vi è luogo a provvedere in questa sede attesa la mancanza di impugnazione al riguardo.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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