Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 05-04-2011) 26-05-2011, n. 21252 Motivi di ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il 14 ottobre 2010 il Tribunale di Venezia, costituito ai sensi dell’art. 309 c.p.p., respingeva la richiesta di riesame proposta da D.G.M. e G.G., per l’effetto, confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei loro confronti, il 20 settembre 2010, dal gip del Tribunale di Treviso in relazione al delitto di concorso nell’omicidio di D. E., aggravato dalla premeditazione, per questo concerne il G. e ai delitti di favoreggiamento personale e reale per quanto concerne il D.G..

2. Dal provvedimento impugnato emergeva che nella notte del 16 settembre 2010 veniva perpetrato l’omicidio di D.E. (coniugato con D.N.L.) il cui cadavere veniva rivenuto steso sul letto della camera da letto, con il volto coperto da una vecchia maglietta imbevuta di sostanza volatile.

Ad avviso del Tribunale gravi indizi di colpevolezza nei confronti dei due indagati per i reati loro rispettivamente ascritti erano costituiti da una pluralità di elementi univoci e concordanti.

D.N.L. ammetteva di essersi accordata, alcuni mesi prima, con M.I. per l’eliminazione, in cambio di una rilevante somma di denaro, di D.E., responsabile, agli occhi della donna, di un avvilente clima di sopraffazione in cui aveva costretto a vivere lei e la figlia.

Anche M. confessava immediatamente il proprio coinvolgimento nell’omicidio, precisando di avere ricevuto dalla D.N. l’incarico di uccidere D.E. in cambio di un compenso di Euro duecentomila, di cui ottantatremila già ricevuti dalla donna che gli aveva indicato la maglietta, i guanti e il coltello da utilizzare per l’azione. M. chiamava in correità anche G. G., quale esecutore materiale, destinatario della somma di venticinquemila Euro in cambio della sua opera e aggiungeva che D.G. era l’amico presso la cui abitazione si era presentato subito dopo l’omicidio al fine di precostituirsi un alibi.

Ma.Ca., convivente di D.G., riferiva, a sua volta, di essere stata destinataria della confidenze di M. in merito al mandato omicidiario ricevuto, di averlo visto arrivare presso la sua abitazione la notte del 16 settembre 2010 subito dopo che M., per sua stessa ammissione, aveva compiuto "il lavoro" e di averlo sentito chiedere a D.G. di bruciare il sacchetto contenente gli oggetti utilizzati per "il lavoro".

La perquisizione immediatamente effettuata presso l’abitazione di D.G. permetteva il rinvenimento di alcuni monili e di due orologi – sottratti in occasione dell’omicidio – che venivano spontaneamente consegnati dall’uomo. In prossimità del caminetto dove erano stati bruciati parte degli oggetti consegnati da M. a D.G. in vista della loro eliminazione, venivano, altresì, sequestrati la bottiglia di acquaragia e il rotolo di nastro adesivo utilizzati per l’esecuzione dell’omicidio.

Un paio di orecchini e uno degli orologi trafugati da M. la notte dell’omicidio, erano stati in precedenza venduti da D. G. ad un commerciante di Conegliano che confermava tale circostanza.

L’ordinanza impugnata indicava, quali ulteriori elementi di riscontro alle dichiarazioni M.: a) la testimonianze di Ma. circa la disponibilità, da parte di D.G., di un sacchetto contenente monili; b) le deposizioni di V.A. (moglie di G.) e Gi.Ma. (compagna di M.) in merito al viaggio effettuato da M. e G. a Napoli per risolvere il problema della individuazione degli esecutori materiali del delitto;

c) i tabulati telefonici, attestanti il contatto tra M. e G. alle ore 11,57 del 13 settembre 2010; d) la testimonianza di B.E. che, il pomeriggio del 14 settembre 2010, vedeva M. e G.che, muovendo dall’abitazione di quest’ultimo, si recavano al bar "(OMISSIS)"; e) le immagini delle videoriprese della telecamera ubicata nelle adiacenze del parcheggio ove, alle ore 23,20 del giorno del fatto, M. e G. si erano dati appuntamento per recarsi poi a piedi presso la non distante abitazione della vittima; f) l’estrapolazione dei fotogrammi dell’impianto di videoregistrazione del parcheggio, allegati all’annotazione del 5 ottobre 2010, evidenzianti gli spostamenti degli indagati alle ore 0,14 del 16 settembre.

In tale articolato contesto i giudici di merito ritenevano le dichiarazioni della teste V., affettivamente legata a G., inidonee a fornire un serio e valido alibi all’uomo anche alla luce degli accertamenti effettuati dalla polizia giudiziaria in ordine alla distanza tra i vari luoghi e ai relativi tempi di percorrenza.

2. Avverso tale ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione, tramite i rispettivi difensori di fiducia, D.G. e G..

Il primo lamenta violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla ritenuta univocità e gravità del quadro indiziario e alla sussistenza delle esigenze cautelari.

Il secondo denuncia: a) violazione di legge, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento ai canoni di valutazione probatoria e alla ritenuta gravità del quadro indiziario, tenuto conto della inattendibilità soggettiva del chiamante in correità M., della genesi della sua scelta collaborativa, della inattendibilità della narrazione auto ed etero accusatoria, dell’assenza di elementi di riscontro estrinseci ed individualizzanti; b) travisamento del contenuto delle dichiarazioni rese il 7 ottobre 2010 dalla V., convivente di G., idonee a costituire un alibi in favore di quest’ultimo.

3. Con dichiarazione del 4 marzo 2011, pervenuta alla cancelleria di questa Corte il successivo 14 marzo, il difensore di fiducia di D.G., avv. Stefano Arrigo, ha dichiarato di rinunziare al ricorso, atteso che il suo assistito è stato rimesso in libertà.
Motivi della decisione

1. Il ricorso proposto da D.G. deve essere dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse.

La rinuncia all’impugnazione è, infatti, una dichiarazione abdicativa, irrevocabile e recettizia, che si esprime in un atto processuale a carattere formale, cui la legge ricollega l’effetto della inammissibilità dell’impugnazione stessa (Sez. 1^, 12 luglio 1996, ric. Fucci; Cass. 18 gennaio 1991, ric. Lombardi; Cass. 14 gennaio 1994, ric. Borlotti; Cass. 2 febbraio 1996, ric. Ruggiero).

2. Il ricorso di G. non merita accoglimento.

3. In relazione al primo motivo di doglianza la Corte osserva che il Tribunale ha attentamente analizzato, con motivazione esauriente ed immune da vizi logici e giuridici, le risultanze probatorie disponibili e ha desunto la gravità degli indizi di colpevolezza in ordine al delitto di concorso in omicidio volontario aggravato dai seguenti elementi: a) chiamate in correità di M. e D.N.;

b) dichiarazioni rese da Ma.Ca., destinataria della confidenze di M.; c) esito della perquisizione effettuata presso l’abitazione di D.G. che consentiva il sequestro di oggetti sottratti in occasione dell’omicidio, nonchè della bottiglia di acquaragia e del rotolo di nastro adesivo utilizzati per l’esecuzione dell’omicidio; d) dichiarazioni rese da D. G.; e) testimonianze di Ma., V.A., Gi.Ma. (compagna di M.); f) tabulati telefonici, attestanti il contatto tra M. e G. alle ore 11,57 del 13 settembre 2010; g) testimonianza di B.E. in merito all’incontro tra G. e M. il pomeriggio del 14 settembre 2010; h) immagini delle videoriprese della telecamera ubicata nelle adiacenze del parcheggio ove, alle ore 23,20 del giorno del fatto, M. e G. si erano dati appuntamento per recarsi poi a piedi presso la non distante abitazione della vittima; i) fotogrammi dell’impianto di videoregistrazione del parcheggio, allegati all’annotazione del 5 ottobre 2010, evidenzianti gli spostamenti degli indagati alle ore 0,14 del 16 settembre.

I giudici di merito, con iter argomentativo correttamente sviluppato, hanno spiegato le ragioni per le quali le dichiarazioni rese da M., oltre ad essere intrinsecamente credibili in quanto rese da un soggetto che ha, in primo luogo, ammesso le sue responsabilità, sono confortate da un complesso di altri dati investigativi (fonti dichiarative, documentazione acquisita, esiti delle attività di perquisizione e sequestro, tutti in precedenza richiamati) che, oltre a confortarne l’attendibilità oggettiva, integrano i necessari riscontri individualizzanti in relazione alla posizione di G. (dichiarazioni di Ma., G., V., tabulati telefonici acquisiti, risultanze delle videoriprese del parcheggio ove M. e G. ebbero a incontrarsi per recarsi a piedi a casa della vittima e da cui ripartirono dopo la consumazione dell’omicidio).

Orbene, lo sviluppo argomentativo della motivazione è fondato su una coerente analisi critica degli elementi indizianti e sulla loro coordinazione in un organico quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di adeguata plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito della gravità, nel senso che questi sono stati reputati conducenti, con un elevato grado di probabilità, rispetto al tema di indagine concernente la responsabilità di G. in ordine al delitto di concorso nell’omicidio aggravato di D.E..

Di talchè, considerato che la valutazione compiuta dal Tribunale verte sul grado di inferenza degli indizi e, quindi, sull’attitudine più o meno dimostrativa degli stessi in termini di qualificata probabilità di colpevolezza anche se non di certezza, deve porsi in risalto che la motivazione dell’ordinanza impugnata supera il vaglio di legittimità demandato a questa Corte, il cui sindacato non può non arrestarsi alla verifica del rispetto delle regole della logica e della conformità ai canoni legali che presiedono all’apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza, prescritti dall’art. 273 c.p.p. per l’emissione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, senza poter attingere l’intrinseca consistenza delle valutazioni riservate al giudice di merito.

4. Non fondato è anche il secondo motivo di ricorso prospettato dalla difesa di G..

Al riguardo occorre premettere che la categoria logico-giuridica del travisamento della prova deve essere tenuta distinta da quella concernente il vizio di travisamento del fatto. La prima, infatti, a differenza del secondo, implica non una rivalutazione del fatto, che è incompatibile con il giudizio di legittimità, ma la constatazione che esiste una palese divergenza del risultato probatorio rispetto all’elemento di prova emergente dagli atti processuali e che, quindi, una determinata informazione probatoria utilizzata in sentenza, oggetto di analitica censura chiaramente argomentata, è contraddetta da uno specifico atto processuale, pure esso specificamente indicato.

La recente riformulazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) ad opera della L. n. 46 del 2006, art. 8, non confermando l’indeclinabilità della regola preclusiva dell’esame degli atti processuali ed ammettendo un sindacato esteso a quelle forme di patologia del discorso giustificativo riconoscibili solo all’esito di una cognitio facti ex actis, colloca il vizio di travisamento della prova, cioè della prova omessa o travisata, rilevante e decisiva, nel peculiare contesto del vizio motivazionale, attesa la storica inerenza di esso al tessuto argomentativo della ratto deciderteli (Cass. Sez. 6^, 20 marzo 2006, rv. 233621; Cass., Sez. 1^, 9 maggio 2006, rv. 233783;

Cass., Sez. 2^, 23 marzo 2006, rv. 233460; Cass., Sez. 5^, 11 aprile 2006, rv. 233789; Cass., Sez. 4^, 28 aprile 2006, rv. 233783; Cass., Sez. 3^, 12 aprile 2006, rv. 233823).

Ciò posto il ricorrente ha erroneamente ricondotto alla categoria logico-giuridica della prova "omessa" o "travisata" non l’omessa pronunzia su un significativo dato processuale o probatorio nè la palese divergenza del risultato probatorio rispetto all’elemento di prova emergente dagli atti processuali, bensì l’erronea valutazione di attendibilità e concludenza dell’elemento probatorio, avvenuta in violazione delle regole ermeneutiche che devono presiedere la struttura logica della motivazione in fatto.

Il provvedimento impugnato, con motivazione esente da manchevolezze, evidenti incongruenze o da interne contraddizioni e con puntuale e corretto richiamo alle risultanze processuali, ha illustrato le ragioni per le quali, alla luce dell’articolato quadro indiziario in precedenza descritto, le dichiarazioni della V. non sono idonee a fornire un valido alibi a G. e non costituiscono un vulnus alla univocità degli elementi di accusa acquisiti. In questo contesto non possono trovare accoglimento le prospettazioni ricorrente, volte a impegnare la Corte o in una ricostruzione alternativa dei fatti o in una rilettura nel merito delle singole circostanze, laddove, invece, il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato è – per espressa disposizione legislativa – rigorosamente circoscritto a verificare che la pronuncia sia sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica, non fondate su dati contrastanti con il "senso della realtà" degli appartenenti alla collettività ed infine esenti da vistose ed insormontabili incongruenze tra di loro. Il controllo di legittimità di questo Collegio, appuntato esclusivamente sulla coerenza strutturale "interna" dell’ordinanza, di cui ha saggiato la oggettiva "tenuta" sotto il profilo logico-argomentativo e, per tale via, anche l’accettabilità da parte di un pubblico composto da lettori razionali del provvedimento e da osservatori disinteressati della vicenda processuale, non ha consentito, quindi, di riscontrare l’esistenza dei vizi denunciati. E’, del resto, preclusa a questo giudice di legittimità – in sede di controllo sulla motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, sollecitata nel ricorso, o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perchè ritenuti maggiormente e plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa, pure sollecitata dal ricorrente. Queste operazioni trasformerebbero infatti la Corte nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard minimo di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione.

In conclusione, risultando infondato in tutte le sue articolazioni, il ricorso di G. deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso di D.G. per sopravvenuta carenza di interesse.

Rigetta il ricorso di G. che condanna al pagamento delle spese processuali.

Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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