Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 05-04-2011) 26-05-2011, n. 21250 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il 27 maggio 2010 il Tribunale di Reggio Calabria, costituito ai sensi dell’art. 309 c.p.p., respingeva la richiesta di riesame avanzata da B.C.C. e, per l’effetto, confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei suoi confronti il 24 aprile 2010 dal gip del Tribunale di Reggio Calabria in relazione al delitto di partecipazione ad associazione di stampo mafioso.

2. Il Tribunale respingeva preliminarmente l’eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni per omesso rilascio di copia delle bobine delle intercettazioni, osservando che non era stata documentata la mancata evasione, da parte dell’ufficio di Procura, alla data di celebrazione dell’udienza camerale della richiesta depositata il 5 maggio 2010.

Nel merito osservava che gravi indizi di colpevolezza nei confronti di B. erano costituiti dalle attività di videoripresa effettuate in (OMISSIS) all’esterno dell’abitazione di P. G. (cl. (OMISSIS)) e il contenuto delle intercettazioni ambientali effettuate tra il febbraio e l’aprile 2010 all’interno dell’abitazione di P.. Dal complesso di questi elementi emergeva che in due delle quattro occasioni in cui F.G., esponente dell’omonima famiglia mafiosa operante nella zona di Croce Valanidi e storicamente alleata con i L., aveva fatto visita a P. e, precisamente, il 16 marzo 2010 e il 20 marzo 2010, i tre avevano parlato delle vicende del gruppo Ficara che, in conseguenza di arresti, di scelte di collaborazione di alcuni dei suoi membri e di tensioni maturate al suo interno, aveva necessità di stringere nuove alleanze strategiche. In tale contesto B. denunciava la mancanza di unità dell’organizzazione a causa del disinteresse e della inefficace assunzione di responsabilità da parte di alcuni dei suoi membri e affermava che il sodalizio, per potere continuare a operare, aveva bisogno di punti di riferimento, di compattezza, di solidità organizzativa, proprio come quelle dimostrate da P., individuato come autorevole possibile alleato di cui riconoscere la supremazia.

3. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione personalmente B., il quale lamenta: a) violazione di legge in relazione alle ragioni poste a base del rigetto dell’eccezione di inutilizzabilità dei risultati delle attività di intercettazione, atteso che l’omesso rilascio di copia delle bobine ha determinato una lesione dei diritti di difesa e la conseguente utilizzazione di elementi indiziari di cui non si sarebbe dovuto tenere conto; b) erronea applicazione della legge penale e vizio della motivazione con riguardo alla ritenuta univocità del quadro indiziario e alla configurabilità del reato contestato, considerato che gli unici due colloqui cui B. aveva preso parte non avevano posto in luce alcuna condotta positiva nè alcun contributo causalmente rilevante alla vita dell’organizzazione.
Motivi della decisione

Il ricorso non è fondato.

1. In merito al primo motivo di ricorso la Corte osserva in via preliminare che è ormai consolidato, nella giurisprudenza di legittimità, il principio della cd. "autosufficienza del ricorso", elaborato in primo luogo dalle Sezioni civili. Queste ultime, sulla base della formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, osservano che il ricorso per cassazione deve ritenersi ammissibile in generale, in relazione al principio dell’autosufficienza che lo connota, quando da esso, pur mancando l’esposizione dei motivi del gravame che era stato proposto contro la decisione del giudice di primo grado, non risulti impedito di avere adeguata contezza, senza necessità di utilizzare atti diversi dal ricorso, della materia che era stata devoluta al giudice di appello e delle ragioni che i ricorrenti avevano inteso far valere in quella sede, essendo esse univocamente desumibili sia da quanto nel ricorso stesso viene riferito circa il contenuto della sentenza impugnata, sia dalle critiche che ad essa vengono rivolte (cfr. da ultimo, Civ., Sez. 2, 2 dicembre 2005, n. 26234, Tringali c/ Fernandez, rv. 585217).

Il Collegio, alla luce dei principi e delle finalità complessivamente sottesi al giudizio di legittimità, ritiene che la teoria dell’autosufficienza del ricorso elaborata in sede civile debba essere recepita e applicata anche in sede penale con la conseguenza che, quando la doglianza abbia riguardo a specifici atti processuali, la cui compiuta valutazione si assume essere stata omessa o travisata, è onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto mediante la completa produzione degli atti su cui si fonda il suo assunto, posto che anche in sede penale – in virtù del principio di autosufficienza del ricorso come sopra formulato e richiamato – deve ritenersi precluso a questa Corte l’esame diretto degli atti del processo, a meno che il fumus del vizio dedotto non emerga all’evidenza dalla stessa articolazione del ricorso.

In applicazione di questi principi il Collegio ritiene che, nel caso in esame, la censura sia stata genericamente formulata e, in quanto tale, non meriti accoglimento. Infatti, come correttamente sottolineato nel provvedimento impugnato, l’atto prodotto dalla difesa comprova esclusivamente il deposito presso l’Ufficio di Procura della richiesta di copia delle bobine di intercettazione riguardanti B., datata 5 maggio 2010, ma non anche la mancata evasione o il rigetto della medesima da parte dell’Autorità giudiziaria competente o la pendenza dell’istanza alla data del 26 maggio 2010, giorno fissato per la celebrazione dell’udienza camerale dinanzi al Tribunale del riesame.

Per completezza espositivo è da evidenziare che i giudici di merito hanno correttamente argomentato circa l’assenza di qualsiasi concreto pregiudizio per i diritti di difesa alla luce del fatto che gli atti trasmessi dalla Procura della Repubblica al Tribunale del riesame comprendevano le trascrizioni di tutte le conversazioni intercettate, utilizzate ai fini dell’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere.

2. Non merita accoglimento neppure la seconda doglianza.

Il Tribunale ha attentamente analizzato, con motivazione esauriente ed immune da vizi logici e giuridici, le risultanze probatorie disponibili e ha desunto la gravità degli indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’art. 416 bis c.p. dalle attività di videoripresa effettuate in (OMISSIS) all’esterno dell’abitazione di P.G. (cl. (OMISSIS)) e dal contenuto delle intercettazioni ambientali effettuate tra il febbraio e l’aprile 2010 all’interno dell’abitazione di P..

Il Tribunale, con motivazione compiuta e logica, ha evidenziato l’operatività di un articolato sodalizio di stampo mafioso, caratterizzato da un forte radicamento sul territorio calabrese, da un’organizzazione gerarchica, da tempo aduso ad avvalersi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della conseguente condizione di assoggettamento e di omertà, per la commissione di una serie di delitti al fine di realizzare il controllo capillare del territorio e di realizzare ingenti profitti illeciti.

All’interno dell’associazione di stampo mafioso il ricorrente forniva un pieno e consapevole contributo causale grazie al suo rapporto fiduciario con F.G. – elemento di spicco dell’omonima famiglia mafiosa operante nella zona di Croce Valanidi – insieme con il quale partecipava ad importanti incontri con P.G., capo dell’omonimo clan, avente un rilievo centrale nell’articolazione della ‘ndrangheta in territorio reggino, incontri funzionali ad elaborare strategie criminali e a programmare alleanze funzionali al complessivo rafforzamento dell’organizzazione.

Orbene, lo sviluppo argomentativo della motivazione è fondato su una coerente analisi critica degli elementi indizianti e sulla loro coordinazione in un organico quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di adeguata plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito della gravita, nel senso che questi sono stati reputati conducenti, con un elevato grado di probabilità, rispetto al tema di indagine concernente la responsabilità di B. in ordine al delitti di partecipazione ad associazione per delinquere di stampo mafioso contestatogli.

Di talchè, considerato che la valutazione compiuta dal Tribunale verte sul grado di inferenza degli indizi e, quindi, sull’attitudine più o meno dimostrativa degli stessi in termini di qualificata probabilità di colpevolezza anche se non di certezza, deve porsi in risalto che la motivazione dell’ordinanza impugnata supera il vaglio di legittimità demandato a questa Corte, il cui sindacato non può non arrestarsi alla verifica del rispetto delle regole della logica e della conformità ai canoni legali che presiedono all’apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza, prescritti dall’art. 273 c.p.p. per l’emissione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, senza poter attingere l’intrinseca consistenza delle valutazioni riservate al giudice di merito.

In conclusione, risultando infondato in tutte le sue articolazioni, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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