Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 05-04-2011) 26-05-2011, n. 21240

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il 19 marzo 2010 il Tribunale di sorveglianza di Palermo dichiarava inammissibile la domanda di liberazione condizionale avanzata da S.R., detenuta in espiazione della pena definitiva di dodici anni e otto mesi di reclusione, inflitta con sentenza del gup del locale Tribunale per il delitto di omicidio commesso il (OMISSIS) in danno di una vicina di casa, creditrice ad interessi usurari, ritenendo insussistente il presupposto di cui all’art. 176 c.p., u.c.. Accoglieva l’istanza di semilibertà, mentre rigettava quella di affidamento in prova al servizio sociale, tenuto conto della gravità del delitto posto in essere, pure a fronte della regolare condotta carceraria, della fattiva adesione al trattamento penitenziario della fruizione di permessi premio, della consistente riduzione di pena ex art. 54 ord. pen..

2. Avverso il citato provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, S.R., la quale, con esclusivo riferimento al rigetto dell’istanza di affidamento in prova al servizio sociale, lamenta la manifesta illogicità della motivazione, non potendo il solo titolo di reato per il quale è intervenuta sentenza irrevocabile di condanna inficiare la valenza positiva di tutti gli elementi dettagliatamente indicati dal Tribunale, le cui conclusioni si pongono in insanabile contrasto logico con le premesse del discorso giustificativo della decisione.
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

1. La concedibilità dei benefici di cui alla L. 26 luglio 1975, n. 354, capo 6^, non si sottrae al criterio della valutazione discrezionale, che deve riguardare, al di là dell’indefettibile accertamento delle condizioni di ammissibilità, l’opportunità del trattamento alternativo che, come per ogni altra misura della stessa categoria, non può prescindere dall’esistenza di un serio processo, già ampiamente avviato, di revisione critica del passato delinquenziale e di risocializzazione, oltre che dalla concreta praticabilità del beneficio stesso.

E ovvio, infatti, che la facoltà di ammettere alle misure alternative richiede l’accertamento dell’esistenza dei presupposti relativi all’emenda della persona e alle finalità di conseguire la sua stabile rieducazione.

Tenuto conto dell’effettiva e ampia portata precettiva della funzione rieducativa della pena, la concedibilità, o meno, delle misure alternative alla detenzione in carcere non può, pertanto, essere formulata alla stregua di astratte premesse, bensì postula la valutazione, in concreto, delle specifiche condizioni che connotano la posizione individuale del singolo condannato e delle diverse opportunità offerte da ciascuna misura secondo il criterio della progressività trattamentale.

2. Alla luce di questi principi nel caso di specie il provvedimento impugnato è esente dai vizi denunziati, in quanto, con motivazione corretta e logicamente articolata, ha evidenziato gli elementi di fatto – in quanto tali insindacabili in sede di legittimità – posti a base del diniego dell’affidamento in prova al servizio sociale, avuto riguardo agli esiti dell’osservazione della personalità e alla necessità di ulteriore verifica dei progressi trattamentali sin qui compiuti anche alla luce del grave delitto (omicidio volontario di una vicina di casa, creditrice ad usura) la cui pena è in espiazione.

A fronte di tale legittima espressione delle valutazioni di competenza del Tribunale di sorveglianza, fondate sui criteri di progressività dei risultati tratta mentali e di gradualità nella concessione dei benefici penitenziari, i motivi di ricorso, trascurando i menzionati principi ispiratori del trattamento penitenziario, prospettano non consentite letture alternative degli elementi di fatto in ordine ai quali è stata resa una compiuta e razionale motivazione.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di prova circa l’assenza di colpa nella proposizione dell’impugnazione (Corte Cost. sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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