T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 26-05-2011, n. 4746 Demolizione di costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato alla resistente Amministrazione comunale in data 30 novembre 2007 e depositato il successivo 31 dicembre 2007, parte ricorrente impugna la determinazione dirigenziale con la quale il Comune di Roma ha ingiunto la demolizione di nove opere abusive tendenti alla realizzazione di un immobile con relativa rampa carrabile e area garage in Via della Caffarelletta.

Il ricorrente, premettendo una complessa vicenda giudiziaria in ordine alla retrocessione del bene sul quale ha realizzato i manufatti di che trattasi, nonché in ordine al giudizio di usucapione dello stesso terreno ancora in corso, avverso la determinazione dirigenziale impugnata, deduce:

– violazione degli articoli 46 e 47 del d.P.R. n. 327 del 2001;

– Violazione dell’art. 149 del d.lgs. n. 42 del 2004, dell’art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001, dell’art. 1 della legge n. 443 del 2001; eccesso di potere.

Conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso e con riserva di presentare motivi aggiunti.

L’Amministrazione comunale si è costituita in giudizio, rilevando che a nome del ricorrente risultano presentate sette domande di concessione in sanatoria delle quali sei ancora in corso di istruttoria.

Analogamente ha rappresentato il ricorrente, con memoria per l’udienza pubblica, nulla, tuttavia, soggiungendo in ordine alla attesa udienza di discussione della causa inerente la domanda di usucapione, fissata per il 1° febbraio 2008.

Alla pubblica udienza del 7 ottobre 2010 il Collegio ha, pertanto, ritenuto necessario disporre un’istruttoria, eseguita la quale e previo scambio di ulteriori memorie, il ricorso è stato infine trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 3 marzo 2011.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è in parte fondato, come di seguito verrà precisato.

2. Con esso l’interessato impugna la determinazione in epigrafe indicata con la quale il Comune di Roma ha ingiunto la demolizione delle seguenti opere:

1. porzione di rampa carrabile in clc rivestito di lastre di porfido per una superficie di mq. 106,00;

2. recinzione in rete metallica sostenuta da paletti in profilati metallici a T di altezza m. 1,70 e cordolo in cls m. 29,00×0,60×1,00 circa;

3. cancello pedonale in ferro L.M. 0,80×2,00;

4. recinzione lungo via della Caffarelletta, in pali in castagno e rete metallica H. m. 2,00 sostenuti da cordolo in cls;

5. gradinata di accesso all’appezzamento di terra in mattoni di tufo, per una lunghezza di m. 20,00 circa ed una larghezza di m. 1,00 circa;

6. muro di sostegno a protezione della scalinata per una lunghezza di m. 20,00 circa ed una altezza di m. 1,30 circa;

7. cancello in ferro battuto lunghezza m. 2,00 ed H m. 2,00;

8. baracca prefabbricata in metallo ondulato di dimensioni m. 6,00 x 2,50 x 3,00;

9. scavo al fine di livellare il terreno per la collocazione della baracca, per una superficie di mq. 40,00 ed una altezza media di m. 0,30.", il tutto in qualità di occupante sine titulo di terreno di proprietà del Comune di Roma, ricadente in zona B2 di PRG con vincolo aree assoggettate alle norme sulla protezione delle bellezze naturali e senza permesso a costruire.

3. In fatto va chiarito che secondo le prospettazioni di parte ricorrente, prodromica alla determinazione di demolizione è una complessa vicenda proprietaria, che non può non ricadere in termini di legittimità della stessa, vicenda i cui passi sono i seguenti.

A seguito dell’acquisizione, nell’anno 1988, del terreno dove ha realizzato le predette opere, terreno già sottoposto ad esproprio con decreto prefettizio n. 15 del 12 gennaio 1966, l’interessato provvedeva a richiedere la retrocessione di esso e della porzione dove già insisteva una baracca, con istanza del 10 marzo 1993, estesa in data 8 aprile 1993 anche ai lotti limitrofi del terreno, senza ottenere alcuna risposta.

Instaurava dunque un giudizio civile sia per la retrocessione totale del bene – dal momento che l’Amministrazione comunale non vi aveva realizzato le opere che aveva programmato con le espropriazioni – sia per la intervenuta usucapione, ma il Tribunale di Roma con sentenza parziale n. 16323 del 16 maggio 2003 (poi confermata dalla Corte di Appello con sentenza n. 531/2007), respingeva la domanda di retrocessione, proseguendo il giudizio soltanto per la domanda di usucapione.

Espone ancora il ricorrente che anche questa, tuttavia, veniva respinta con sentenza n. 1667 del 2006, in attesa dell’udienza presso la Corte di Appello che nelle more del ricorso attuale, sarebbe venuta in discussione all’udienza del 1° febbraio 2008.

Il prosieguo della vicenda è reso noto dall’Amministrazione comunale, a seguito della disposta istruttoria. Quest’ultima ha rappresentato che la Suprema Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello n. 531/2007 con ordinanza n. 17797/2010 depositata il 20 dicembre 2010, con la motivazione che detto ricorso non rispondesse alle prescrizioni contenute nell’art. 388 bis c.p.c., mentre per il procedimento relativo alla domanda di usucapione pendente dinanzi alla Corte di Appello di Roma l’ultima udienza è prevista per il 10 giugno 2011.

Da tale esposizione se ne trae, dunque, che il ricorrente al momento in cui ha realizzato i manufatti colpiti dalla determinazione a demolire non era proprietario del bene sui quali essi sono stati appunto realizzati, perché non ha ottenuto né la retrocessione del suolo in via giudiziale, né gli è stata ancora riconosciuta l’usucapione dello stesso.

4. Ma il ricorrente premette anche di avere presentato ben sette domande di condono delle quali alcune riguarderebbero le opere in demolizione, sicché sarebbe opportuno attendere l’esito prima di definire il giudizio.

Ed effettivamente l’Ufficio Condono del Comune di Roma, con nota del 13 agosto 2010, prot. 98863 ha chiarito che a nome del ricorrente risultano pendenti due domande di condono presentate ai sensi della legge 28 febbraio 1985, n. 47 ed ancora in corso di istruttoria, una ai sensi dell’art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, conclusasi con il rilascio della concessione in sanatoria n. 300920 in data 25 giugno 2003 ed altre quattro presentate ai sensi dell’art. 32 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito nella legge 24 novembre 2003, n. 326 anch’esse ancora in corso di istruttoria.

5. In via preliminare, dunque, occorre verificare se tra le domande di condono pendenti ve ne sia qualcuna che interessi le opere in demolizione ed al riguardo soltanto la domanda a prot. 04/557617 acquisita al protocollo comunale in data 10 dicembre 2004 appare riguardare la prima opera in contestazione, recando la seguente descrizione del manufatto che si sottopone a condono: "costruzione di rampa carrabile per accesso al posto auto con adiacenti muri di confine e contenimento del terreno".

Di conseguenza la rampa carrabile va stralciata dalla demolizione, poiché per come pure confermato dalla sopra citata relazione dell’Amministrazione in data 13 agosto 2010, l’istruttoria su di essa non è ancora ultimata e secondo la giurisprudenza di questa stessa sezione e di altri TAR (TAR Lazio sezione I quater, 3 agosto 2010, n. 29669 e le sentenze ivi citate) "la richiesta di sanatoria impone all’amministrazione di valutare la condonabilità o meno dell’abuso commesso e, si aggiunga, di concludere il procedimento avviato, seppure ad istanza di parte, prima di adottare provvedimenti sanzionatori,", atteso che lo stesso art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, al comma 25 consente l’applicabilità alle fattispecie realizzate entro il 31 marzo 2003 delle norme di cui ai Capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e tra i quali vi è l’art. 44 con la relativa sospensione dei provvedimenti amministrativi e della loro esecuzione.

6. Con le precisazioni di cui sopra in ordine alla parte suscettibile di accoglimento, per il resto il ricorso va respinto.

Parte ricorrente sembra ritenere che tutta la vicenda giudiziaria che ha interessato il suolo sul quale ogni manufatto è stato realizzato senza il prodromico permesso a costruire, possa in qualche modo avere delle ricadute sulla legittimità del provvedimento impugnato, atteso che, secondo le sue prospettazioni siccome il Comune di Roma non ha intrapreso alcuna azione atta a concretizzare l’espropriazione del terreno dal 1966, egli aveva dovuto provvedere alla manutenzione dello stesso, con conseguente realizzazione delle recinzioni e della rampa carrabile di accesso al fondo, sicchè si è comportato uti dominus, in base alla fattispecie pure prevista dagli articoli 46 e 47 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 in tema di retrocessione del bene non passato in proprietà dell’Ente. Ciò premesso egli rappresenta che, comunque, quanto al vincolo archeologico e paesistico per cui l’area interessata sarebbe classificata zona "N" rientrante nel "Progetto di riqualificazione di Piazza Diacono e Via Cesare Baronio", invece la fascia di terreno di circa mq. 106 di superficie, appartenente al bene espropriato e che egli ha utilizzato per il completamento della rampa del proprio passo carrabile, non rientrerebbe nelle aree che il Comune di Roma ha dichiarato necessarie per la realizzazione dell’ingresso al Parco della Caffarella o come ipotesi di collegamento con la Valle della Caffarella.

Col secondo gruppo di doglianze l’interessato lamenta che, nonostante il possesso delle necessarie autorizzazioni (in relazione al muretto in gradoni, indicato in progetto di variante approvato in data 15 gennaio 1957, al cancello carrabile, il progetto reca data del 14 giugno 1995, al passo carrabile, autorizzato con determinazione dirigenziale n. 745 del 9 maggio 1996 e, infine, alla costruzione della recinzione, autorizzata in data 10 gennaio 1996 dalla Regione Lazio) e nonostante che la zona sia gravata da vincolo paesistico è necessario rilevare che l’art. 149 del d.lgs. n. 42 del 2004 fa salvi gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria e di consolidamento statico, sicchè gli interventi oggetto della determinazione dirigenziale, se si eccettuano quelli oggetto di condono, rientrerebbero nella categoria delle opere di sistemazione esterna di natura manutentiva. Rientrando in tale categoria le opere realizzate richiederebbero esclusivamente la preventiva denuncia di inizio attività, la cui mancanza comporta la sanzione amministrativa.

7. Le doglianze non possono essere condivise ed in ordine logico, conviene partire dalla seconda.

Al riguardo occorre osservare che, contrariamente a quanto sembra ritenere l’interessato, sia che egli diventi proprietario del suolo per usucapione, qualora una sentenza del giudice ordinario ne riconosca tale modo di acquisto della proprietà, sia che, come accade nel caso in esame, egli rivesta lo status di occupante sine titulo del suolo dove sono stati realizzati i manufatti sopra descritti, comunque, per realizzarli essi necessitavano di un titolo, che l’interessato non pare avere richiesto.

Come sopra accennato egli, infatti, rappresenta che delle otto opere rimanenti, sottratta la porzione di rampa che rientra nella domanda di condono del 10 dicembre 2004, la recinzione su Via della Caffarelletta, sostenuta da cordoli di calcestruzzo, sarebbe stata autorizzata dalla Regione in data 10 gennaio 1996 ed il progetto del cancello carrabile risalirebbe al 1995, ma per nessuna delle otto opere sopra descritte rende noto al Collegio se ha presentato una DIA al riguardo, ammesso che le opere anzidette fossero realizzabili mediante un titolo abilitativo tacito, laddove invece lo scavo del terreno, al fine di livellarlo per la collocazione della baracca, appare andare ben oltre il semplice intervento manutentivo per come prefigurato dalla legge (cfr. art. 3, comma 1 lett. b del d.P.R. n. 380 del 2001) e tutti gli altri manufatti o impegnano volumetria o modificano lo stato dei luoghi o il carico urbanistico, in area per di più sottoposta a vincolo paesistico.

Per le stesse ragioni non può essere neppure seguita l’interpretazione offerta in ricorso dell’art. 149 del D.Lgs. n. 42 del 2004 stante il quale non è comunque richiesta l’autorizzazione per gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria di consolidamento statico e di restauro conservativo.

Per le superiori osservazioni non è, infatti, possibile considerare le opere di cui sopra di mero restauro conservativo o di consolidamento statico oppure tanto meno di manutenzione straordinaria, dal momento che esse appaiono destinate ad incidere sul carico urbanistico e sullo stato dei luoghi.

8. Analogo ragionamento va fatto pure per la prima doglianza secondo cui il ricorrente si sarebbe comportato uti dominus provvedendo alla manutenzione del terreno sul quale il Comune non aveva più realizzato il bene per il quale lo aveva espropriato, in base alla fattispecie pure prevista dagli articoli 46 e 47 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 in tema di retrocessione del bene non passato in proprietà dell’Ente.

Come pure ininfluente è la rappresentazione per cui la fascia di terreno di circa mq. 106 di superficie, appartenente al bene espropriato e che egli ha utilizzato per il completamento della rampa del proprio passo carrabile, non rientrerebbe nelle aree che il Comune di Roma ha dichiarato necessarie per la realizzazione dell’ingresso al Parco della Caffarella o come ipotesi di collegamento con la Valle della Caffarella.

Tali circostanze ancora non escludono che il ricorrente dovesse essere munito di idoneo titolo abilitativo alla realizzazione di tutte le opere in questione, in quanto per il legislatore, al fine della repressione degli abusi edilizi sono equiparati tanto il soggetto proprietario del fondo, quanto il mero possessore del fondo, nel caso, non più destinato alla realizzazione dell’opera pubblica ed in attesa di ridivenirlo per usucapione, come appare essere il ricorrente, tant’è che ad entrambi va ingiunta la demolizione (art. 31 comma 2 del d.P.R. n. 380 del 2001).

Né una diversa conseguenza può derivare dalla interpretazione degli articoli 46 e 47 del Testo Unico sulle espropriazioni, che dettano la disciplina della retrocessione totale o parziale del bene, senza nulla dedurne in ordine all’uso del bene non utilizzato o parzialmente utilizzato per la realizzazione dell’opera pubblica ed il cui regime edilizio non può che essere informato dalle norme vigenti del Piano Regolatore, oltre che dalla serie dei vincoli sul terreno apposti.

9. Per le superiori considerazioni il ricorso va accolto come in motivazione indicato e per l’effetto la determinazione dirigenziale del Comune di Roma n. 2168 in data 19 settembre 2007 va annullata nella parte in cui ha previsto la demolizione di "porzione di rampa carrabile in clc, rivestito con lastre in porfido per una superficie di mq. 106,00", fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione in ordine alla domanda di condono n. 557617 in data 10 dicembre 2004 e per il resto va respinto.

9. La soccombenza solo parziale giustifica la compensazione delle spese di giudizio ed onorari tra le parti.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie come in motivazione indicato e per l’effetto annulla la determinazione dirigenziale del Comune di Roma n. 2168 in data 19 settembre 2007 nella parte in cui ha previsto la demolizione di "porzione di rampa carrabile in clc, rivestito con lastre in porfido per una superficie di mq. 106,00", fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione in ordine alla domanda di condono n. 557617 in data 10 dicembre 2004 e per il resto lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *