Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 11-03-2011) 26-05-2011, n. 21047 Mezzi di prova

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata D.A. e M.C.A. venivano condannati, in parziale riforma della sentenza del Giudice per l’udienza preliminare presso il Tribunale di Crotone in data 31.5.2007, alle rispettive pene di anni uno, mesi sette e giorni dieci di reclusione e mesi otto di reclusione, e veniva per il resto confermata la sentenza di cui sopra con la quale S.E. e D.T.P. venivano condannati alle rispettive pene di anni uno di reclusione e mesi dieci di reclusione, per i reati che seguono, unificati dalla continuazione e commessi quali funzionar del servizio ispettivo della Direzione Provinciale del Lavoro di Crotone:

– S. e D. per i reati di cui agli artt. 479 e 56, 640 cod. pen. realizzati fino a tutto l’anno 2004 predisponendo falsa documentazione relativamente ad attività ispettive presso società cooperative in realtà mai effettuate, spese per pasti non consumati e spese di trasferta calcolate dichiarando luoghi di residenza diversi e più lontani di quelli effettivi in modo da indurre in errore l’amministrazione di appartenenza sulle relative spettanze (capo B) – D. e D.T. per i reati di cui agli artt. 479 e 640 cod. pen. realizzati negli anni 2003 e 2004 mediante l’inserimento da parte di altro dipendente dell’amministrazione dei loro tesserini magnetici di rilevamento dell’entrata nel luogo di lavoro e le conseguenti false attestazioni del rispetto degli orari di lavoro e di straordinari mai svolti, così procurandosi indebite retribuzioni (capo C) – D., D.T. e M. per il reato di cui all’art. 479 cod. pen. e i soli D. e D.T. anche del reato di cui agli artt. 56 e 640 cod. pen. realizzati fra la fine di dicembre del 2004 e l’inizio di gennaio del 2005 predisponendo una falsa disposizione dirigenziale sull’incarico al D. ed al D. T. dello svolgimento di attività ispettive presso cooperative della provincia di Crotone già dal 20.1.2000 al fine di giustificare missioni apparentemente effettuate dai predetti nei primi due mesi del 2004 e conseguire le relative spettanze (capo E).

Nel ricorso presentato nell’interesse dello S. si deduce carenza ed illogicità della motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità dell’imputato per il reato di cui al capo B. Nel ricorso presentato nell’interesse del M. si deduce:

1. violazione di legge e carenza di motivazione in ordine all’eccepita inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ed ambientali;

2. carenza di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità dell’imputato per il reato di cui al capo E. Nel ricorso presentato nell’interesse del D. si deduce: 1. violazione di legge e carenza di motivazione in ordine all’eccepita inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ed ambientali;

2. violazione di legge e carenza di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità dell’imputato per il reato di cui al capo B;

3. violazione di legge e carenza di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità dell’imputato per il reato di cui al capo C;

4. violazione di legge e carenza di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità dell’imputato per il reato di cui al capo E. Nel ricorso presentato nell’interesse del D.T. si deduce:

1. violazione di legge e carenza di motivazione in ordine al rigetto dell’istanza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per acquisizione di documenti;

2. violazione di legge e carenza di motivazione in ordine all’eccepita inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ed ambientali;

3. violazione di legge e carenza di motivazione in ordine all’eccepita inutilizzabilità delle dichiarazioni testimoniali rese dal teste B. ad integrazione del rito abbreviato;

4. violazione di legge e carenza di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità dell’imputato per il reato di cui al capo C;

5. violazione di legge e carenza di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità dell’imputato per il reato di cui al capo E.
Motivi della decisione

1. Nell’interesse degli imputati M., D.T. e D. sono proposti motivi di ricorso in ordine all’utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ed ambientali sia in termini generali che con particolare riferimento, limitatamente ai ricorsi per il M. e il D.T., all’intercettazione ambientale in data 28.12.2004 posta a sostegno dell’affermazione di responsabilità degli imputati per il reato di cui al capo E. Rinviandosi all’esame dei motivi afferenti quest’ultimo capo di imputazione anche la valutazione delle questioni specificamente sollevate in relazione all’intercettazione appena menzionata, deve rilevarsi che le altre eccezioni sono infondate.

I ricorrenti ribadiscono l’eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni per carenza dei presupposti dei gravi indizi di reato e dell’assoluta indispensabilità di tale strumento di indagine.

1.1. Si lamenta in particolare, quanto al primo aspetto, che nel ritenere come il decreto autorizzativo fosse adeguatamente motivato con riferimento alle dichiarazioni del teste N. la sentenza impugnata abbia omesso di considerare che lo stesso N. ammetteva di riferire mere voci apprese sui fatti da altre persone, e che pertanto le intercettazioni venivano svolte al fine di acquisire gli elementi indizianti che il teste non forniva.

Sul punto è sufficiente osservare che l’inutilizzabilità delle intercettazioni consegue non alla mera incompletezza o insufficienza della motivazione del decreto autorizzativo, ma alla mancanza della stessa, sia pure intesa quale nozione comprendente anche la motivazione apparente, ripetitiva del dettato normativo o del tutto incongrua rispetto al provvedimento (Sez. U, n. 17 del 21.6.2000, imp. Primavera, Rv. 216665); e che, al di fuori delle condizioni appena enunciate, la motivazione del decreto può assumere la forma minima necessaria ad assicurare la funzione di chiarire le ragioni dell’emissione del decreto (Sez. 6, n. 4057 del 22.12.1998, imp. Colombani, Rv. 214777).

Nella specie, il riferimento alle dichiarazioni di un testimone in ordine alla commissione dei reati oggetto delle indagini esprimeva contenuti ulteriori e specificativi rispetto alla previsione normativa della sussistenza dei gravi indizi di reato, e, ben lungi dal costituire motivazione apparente o incongrua, dava adeguata contezza delle ragioni che giustificavano l’adozione del provvedimento, al di là delle valutazioni di merito prospettate dai ricorrenti sull’interpretazione dell’attendibilità del testimone; il provvedimento non può pertanto essere ritenuto privo di motivazione, anche nell’accezione ampia di tale concetto.

1.2. Quanto poi all’indispensabilità delle intercettazioni, i ricorrenti denunciano la mancanza nella sentenza impugnata di qualsiasi motivazione sul punto e di rinvii anche solo generici alla decisione di primo grado, la quale peraltro si limitava a sua volta a richiamare i riferimenti del decreto autorizzativo al clima di omertà che avrebbe avvolto i fatti oggetto di indagine e quindi ad elementi privi di concretezza rispetto ad investigazioni da svilupparsi essenzialmente su un piano documentale e peraltro non ancora intraprese prima di procedere alle operazioni di intercettazione.

L’assenza di richiami espressi alla motivazione della sentenza di primo grado non esclude tuttavia l’operatività del principio dell’integrazione delle decisioni dei due gradi di merito, laddove le stesse confluiscano nella stessa prospettiva logica e i motivi di appello non propongano questioni sostanzialmente diverse da quelle esaminate dal primo giudice (Sez. 4, n. 15227 del 14.2.2008, imp. Baretti, Rv. 239735). Nel caso in esame, i ricorrenti si limitano a ribadire censure di insufficienza motivazionale del riferimento del decreto autorizzativo alla situazione di omertà emergente dall’ambiente nel quale i reati sarebbero stati commessi; riferimento ritenuto congruo già in primo grado, in linea del resto con i principi richiamati al punto che precede in ordine alla funzione minima di ostensione delle ragioni che giustificano, anche per questo aspetto, l’emissione del provvedimento.

Le eccezioni di inutilizzabilità fin qui esaminate devono pertanto essere respinte.

2. Infondati sono altresì i motivi di ricorso presentati nell’interesse degli imputati S. e D. in ordine all’affermazione di responsabilità dei predetti per il reato di cui al capo B. I ricorrenti lamentano la mancata valutazione della possibilità che le ispezioni di cui all’imputazione si svolgessero mediante il mero esame della documentazione presso l’ufficio ispettivo, prevista dalle disposizioni in materia quale prassi normale e comunque necessitata nel caso in cui la cooperativa esaminata mancasse di locali propri, circostanza ricorrente nella specie laddove alcune delle cooperative interessate erano in liquidazione, spettando comunque agli ispettori la diaria forfetizzata; l’erroneità della conclusione in termini di falsità di fatture relative a pasti consumati fuori sede in base al carattere stagionale dell’attività di un determinato ristorante, laddove le fatture si riferivano ad un diverso esercizio gestito dallo stesso imprenditore con funzionalità permanente; e l’omesso esame di ulteriori elementi favorevoli agli imputati quali l’essersi tutte le ispezioni concluse con la proposta di provvedimenti amministrativi e l’irrilevanza dell’inattività delle cooperative nel momento in cui la stessa è prevista quale condizione di priorità nell’effettuazione delle ispezioni.

Gli argomenti difensivi venivano peraltro ritenuti irrilevanti nella sentenza impugnata in quanto logicamente incompatibili con l’impianto motivazionale della stessa, coerentemente sviluppato anche nel richiamo ai contenuti della decisione di primo grado. E invero l’affermazione di responsabilità veniva fondata fra l’altro sugli esiti dei controlli incrociati con i fogli di presenza dai quali le ispezioni apparentemente eseguite dal D. risultavano effettuate quando lo stesso era in riposo compensativo per straordinari, sulle dichiarazioni dei legali rappresentanti delle cooperative i quali escludevano che le ispezioni fossero state svolte e sui risultati delle intercettazioni, da cui emergeva che nei periodi indicati per lo svolgimento di una delle ispezioni il D. si trova a Roma, Genova e Firenze per impegni familiari e personali e che gli imputati tentavano di integrare la documentazione mancante facendo firmare verbali ispettivi ai rappresentanti delle cooperative; elementi tutti incoerenti con la tesi difensiva della forma documentale delle ispezioni, che avrebbe comunque reso queste ultime note ai rappresentanti della cooperative, non ne avrebbe in ogni caso consentito l’effettuazione in periodi nei quali gli imputati erano in riposo o assenti dall’ufficio e non avrebbe giustificato nè la produzione di fatture per pasti consumati in sedi diverse, nè il tentativo di formare verbali ispettivi a posteriori.

La motivazione oggetto di gravame rispondeva pertanto adeguatamente e senza manifeste illogicità alle prospettazioni della difesa.

3. Pure infondati sono i motivi di ricorso presentati nell’interesse degli imputati D.T. e D. in ordine all’affermazione di responsabilità dei predetti per il reato di cui al capo C. 3.1. Nel ricorso per il D.T. si ribadisce in primo luogo l’eccezione di inutilizzabilità della testimonianza resa dal verbalizzante B. sui servizi di osservazione effettuati, ad integrazione del rito abbreviato, in quanto fondata su una relazione di servizio priva di sottoscrizione; rilevandosi l’inconferenza del rilievo della Corte territoriale per il quale la deposizione aveva ad oggetto attività e fatti direttamente percepiti dal teste, essendo la testimonianza comunque derivata da un atto nudo.

Sul punto, rammentato che il principio della nullità derivata di cui all’art. 185 c.p.p., comma 1, richiede comunque la sussistenza di un rapporto di dipendenza logico-giuridica dell’atto in discussione dall’atto nullo (Sez. 2, n. 18681 del 28.4.2010, imp. Spinelli, Rv.

246993), e che un siffatto rapporto non è ravvisabile fra la relazione di servizio utilizzata a fini di consultazione ai sensi dell’art. 499 cod. proc. pen. dal verbalizzante e la deposizione testimoniale di quest’ultimo, autonomamente e direttamente riferita alle attività svolte ed alle realtà percepite, deve osservarsi che il principio di cui sopra non trova comunque applicazione in materia di inutilizzabilità, condizione che richiede l’illegittima acquisizione della specifica prova della cui validità si discute (Sez. 2, n. 12105 del 4.3.2008, imp. Fiaccabrino, Rv. 239746).

L’eccezione è pertanto infondata.

3.2. Ancora a proposito della posizione del D.T. il ricorso lamenta la mancanza di motivazione sul rilievo difensivo riguardante l’assenza del danno, emergente dagli atti nell’aver il D.T. svolto più ore lavorative di quelle previste contrattualmente assentandosi dall’ufficio per pochi minuti o per tempi comunque non determinati.

L’argomento difensivo verte all’evidenza su un problema di quantificazione e non di esistenza del danno per la pubblica amministrazione, inevitabilmente conseguente alla percezione di retribuzioni in corrispondenza di prestazioni lavorative non effettuate. Lo stesso deve pertanto ritenersi implicitamente disatteso dai giudici di merito in conseguenza dell’accertamento della condotta; il che esclude la denunciata carenza motivazionale.

3.3. Nel ricorso per il D.T. si denuncia l’erroneità del rigetto dell’istanza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per acquisizione di documenti in quanto fondata sui requisiti della rinnovazione parziale del dibattimento, istituto non applicabile alla mera richiesta di produzione documentale, e l’omessa motivazione sul carattere non necessario dell’acquisizione dei singoli documenti, viceversa decisivi in quanto rappresentativi delle ore di lavoro straordinario svolte dall’imputato.

Come peraltro osservato nella sentenza impugnata, l’adozione del giudizio abbreviato preclude l’iniziativa delle parti, e dell’imputato in particolare, in tema di assunzione di prove diverse da quelle acquisite e quindi accettate quale materia di prova con la scelta del rito alternativo, anche in fase di appello ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen.; residuando in capo alle stesse parti la facoltà di sollecitare i poteri officiosi del giudice, subordinati ad un’assoluta necessità di prova (Sez. U, n. 930 del 13.12.1995, imp. Clarke, Rv. 203427; Sez. 3, n. 12853 del 13.2.2003, imp. Paccone, Rv. 224865). Quest’ultimo requisito deve ritenersi nella specie implicitamente escluso dalla Corte territoriale nel giudizio di esaustività probatoria delle risultanze dell’intercettazione telefonica del 16.12.2004, dalla quale emergeva come il De Tommaso parlasse con il D. dal telefono della propria abitazione in un orario nei quale avrebbe dovuto trovarsi in ufficio, dell’attività di osservazione riferita dal teste B. e degli accertamenti sui cartellini segnatempo; anche per questo aspetto la sentenza è dunque debitamente motivata.

3.4. Nel ricorso per il D. si denuncia l’illogicità della sentenza impugnata laddove la stessa per un verso riconosce la partecipazione dell’imputato, nella giornata del 17.12.2004 oggetto dei servizi di osservazione della polizia giudiziaria, ad una riunione del Comitato Provinciale dell’INPS, e per altro non qualifica la stessa come impegno d’ufficio.

Il rilievo difensivo è tuttavia inconferente rispetto ad una motivazione che desume dalle intercettazioni telefoniche l’esistenza di una prassi costante di reciproca marcatura dei cartellini segnatempo da parte degli imputati, in modo da coprire le rispettive assenze, rispetto alla quale l’episodio del 17.12.2004 viene evidenziato solo per l’ulteriore riscontro offerto dalle indagini svolte in quella data; ed è comunque inidoneo a superare l’argomentazione svolta anche con riferimento all’episodio in esame dai giudici di merito, i quali osservavano come la partecipazione del D. alla riunione, fissata per le ore 8,30, non giustificasse l’assenza dal luogo di lavoro, risultando la seduta aggiornata per la mancanza del numero legale dei membri del comitato.

4. Fondati e, come si vedrà, assorbenti rispetto al tema della responsabilità degli imputati in ordine al reato di cui al capo E, sono invece i motivi di ricorso presentati nell’interesse degli imputati M. e D.T. in ordine all’eccepita inutilizzabilità dell’intercettazione ambientale del 28.12.2004, posta a sostegno del giudizio di colpevolezza per l’imputazione di cui sopra, per essere stata la stessa eseguita oltre il termine di quindici giorni per il quale l’attività era stata autorizzata.

I ricorrenti denunciano sul punto l’erroneità dell’affermazione della Corte territoriale per la quale l’intercettazione sarebbe stata debitamente eseguita entro il termine decorrente dall’inizio delle operazioni alla data del 13.12.2004, in quanto dal verbale di apertura dell’intercettazione risulta che la stessa aveva inizio alle ore 7,53 del 13.12.2004, e pertanto il termine scadeva al 27.12.2004, data del resto indicata nello stesso verbale.

II rilievo difensivo è di assoluta esattezza quanto alle indicazioni riportate nel verbale di inizio delle operazioni di intercettazione.

Principio generale in materia è che la durata di dette operazioni debba computarsi dal momento di inizio effettivo delle stesse, e non dalla data di emissione del provvedimento autorizzativo (Sez. U, n. 6 del 23.2.2000, imp. D’Amuri, Rv. 215842). Quello che l’art. 267 c.p.p., comma 3, indica come oggetto di indefettibile previsione nel decreto di autorizzazione è un termine di durata, la cui previsione è finalizzata ad assicurare il controllo giurisdizionale sul contenimento nei limiti temporali strettamente necessari per l’esecuzione di un’attività di indagine invasiva ed incidente sul diritto alla riservatezza nelle comunicazioni personali. Il principio appena richiamato, nel suo riferimento all’effettività dell’operazione, si muove in coerenza con questo profilo descrittivo e funzionale; implicazione necessaria di esso è che, con riguardo alle stesse esigenze di effettività, il termine comprende il primo giorno in cui l’attività di intercettazione abbia avuto concreta esecuzione. Rilevante è pertanto non solo il giorno, ma altresì il momento iniziale dell’attività di intercettazione (Sez. 1, n. 2623 del 4.6.1992, imp. Filannino, Rv. 191553).

Nel caso di specie, posto che l’intercettazione aveva inizio il 13.12.2004, detta giornata deve essere computata fra i quindici giorni per quali l’operazione aveva svolgimento, tanto più che la stessa veniva intrapresa dalle ore 7,53 di quella giornata e dunque la occupava interamente. Quindicesimo giorno a partire da tale momento iniziale era il 27.12.2004; e del resto, a dirimere ogni dubbio sul punto, lo stesso verbale di inizio delle operazioni indicava questa data come terminale dell’operazione. La conversazione del 28.12.2004 veniva quindi intercettata al di fuori del termine consentito, ed è pertanto inutilizzabile.

La motivazione della sentenza impugnata, confermando la decisione di primo grado, fonda l’affermazione di responsabilità degli imputati esclusivamente su elementi desumibili dal contenuto della conversazione citata in ordine all’avvenuta formazione, con il concorso del M., di una falsa disposizione di incarico del D. T. e del D. per lo svolgimento di attività ispettive.

L’inutilizzabilità della conversazione comporta dunque l’integrale esclusione della prova a carico dei predetti imputati, i quali devono pertanto essere assolti per insussistenza del fatto dall’imputazione di cui al capo E. Tanto impone l’annullamento della sentenza impugnata senza rinvio nei confronti del M., ritenuto responsabile solo per tale addebito, e con rinvio per il D.T. ed il D. ai fini della rideterminazione della pena, non essendo specificata nelle sentenze di merito la misura dell’aumento per continuazione con riguardo a detto reato. Rimangono ovviamente assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso relativi all’imputazione in esame.

All’integrale rigetto del ricorso presento nell’interesse dello S. segue la condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Annulla l’impugnata sentenza senza rinvio limitatamente al capo E e nei confronti di M.A. perchè il fatto non sussiste, e con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Catanzaro nei confronti di D.A. e D.T.P. per la rideterminazione della pena.

Rigetta nel resto i ricorsi e condanna S.E. al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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