Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa del Trentino-Alto Adige – sede di Trento N. 2/2009

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 52 del 2007 proposto dal signor Galvagni Sergio, rappresentato e difeso dagli avv.ti Sergio Dragogna e Federico Mazzei ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo di essi in Trento, via Manci, 18

CONTRO

il Comune di Trento, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Luca Barberi ed elettivamente domiciliato presso l’Avvocatura comunale in Trento, Via Calepina, 12

CONTRO

la Provincia autonoma di Trento, in persona del Presidente pro tempore, non costituita in giudizio

per l’annullamento

– quanto al ricorso principale:

1. della “deliberazione del Consiglio comunale di Trento n. 130 di data 24.11.2006, pubblicata dal 4.12.2006 fino al 14.12.2006 e divenuta esecutiva il 15.12.2006, ad oggetto: per la contestata reiterazione della destinazione a VPG (zona destinata a verde pubblico e a servizi di quartiere) delle pp.ff. 1104/3 e 1105/4 C.C. Trento, via Medici e per l’omesso ripristino della previgente zona residenziale, con tutti gli elaborati grafici normativi approvati e gli allegati, tra cui occorrendo del richiamato e non conosciuto elaborato – ottobre 2006 – predisposto dal Servizio urbanistica del Comune”;
2. della “presupposta deliberazione del Consiglio comunale 14.10.2004, n. 111 di prima adozione della variante 2004 al vigente P.R.G. e di ogni altro atto presupposto e connesso”;

– quanto al ricorso per motivi aggiunti:

3. della “delibera della Giunta della Provincia autonoma di Trento n. 200 di data 1.2.2008, pubblicata sul B.U. n. 7/I-II del 12.2.2008, avente ad oggetto e ciò in toto e in parte qua relativamente alla approvazione definitiva, senza modifiche, della contestata reiterazione della destinazione a VPG (zona destinata a verde pubblico e a servizi di quartiere) delle pp.ff. 1104/3 e 1105/4 C.C. Trento, loc. via Medici e per l’omesso ripristino della previgente zona residenziale, nonché degli elaborati grafici e normativi così definitivamente approvati, nonché di ogni ulteriore atto presupposto, infraprocedimentale e conseguente”; ed in particolare,
4. del “verbale di deliberazione n. 24/2007 di data 6.6.2007 della Commissione urbanistica provinciale”;
5. della “delibera del Consiglio comunale di Trento 19.2.2007, citata nella delibera impugnata sub n. 1”;
6. delle “controdeduzioni del Comune di Trento e degli atti del Servizio provinciale richiamati nella delibera impugnata sub. n. 1, allegati alla medesima, ma non pubblicati”.

Visto il ricorso con i relativi allegati, nonché i suddetti motivi aggiunti;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione comunale intimata, anche con riguardo al ricorso per motivi aggiunti;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Uditi alla pubblica udienza del 20 novembre 2008 – relatore il consigliere Alma Chiettini – l’avv.to Sergio Dragogna per il ricorrente e l’avv.to Luca Barberi per l’Amministrazione comunale resistente;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

F A T T O

1. Il ricorrente assume in fatto di essere il procuratore generale della signora Pia Stenghele, proprietaria di un vasto lotto di terreno di circa 4.460 mq, tavolarmente individuato dalle pp.ff. 1104/3 e 1105/4, situato nel quartiere Clarina del Comune di Trento, con il lato nord confinante con l’argine sinistro del rio Salè.

2. Fino all’anno 1991 gran parte dell’area de quo era compresa in zona residenziale di tipo E, con obbligo di piano particolareggiato, mentre per la parte più a nord era prevista una fascia a verde pubblico.

Nel 1991 il piano regolatore generale del Comune aveva compreso la maggior parte dell’area in zona G – destinata ai servizi di quartiere: verde pubblico o di uso collettivo, e solo una minima parte in zona B1 quale area edificata satura.

3. Con la nuova Variante al piano regolatore generale del Comune, adottata in prima e in seconda deliberazione dal Consiglio comunale con i due atti citati ai punti 1 e 2 dell’epigrafe, l’area in questione è stata nuovamente vincolata a “VP verde pubblico o di uso collettivo di quartiere”, disciplinato dall’articolo 69 delle norme tecniche di attuazione.

4. Con ricorso notificato il 9 febbraio 2007 e depositato presso la Segreteria del Tribunale il successivo 27 febbraio, il ricorrente ha impugnato le deliberazioni di prima e di seconda adozione della Variante al piano regolatore, formulando le seguenti articolate censure:

I – “violazione dell’articolo 67 della legge provinciale 5.9.1991, n. 22, e degli art. 1 e 2 e ss. del D.M. 2.4.1968, n. 1444, e del divieto di reiterazione del vincolo di destinazione VP senza puntuale motivazione e previsione di giusto indennizzo per il lotto vincolato, adempiuto mediante la mera previsione di generico ed indeterminato impegno di allocazione a bilancio comunale esteso a tutte le reiterazioni disposte; eccesso di potere per motivazione sviata, travisata ed apparente sul requisito della individuazione della entità e degli stessi criteri di stima dell’indennizzo specifico per il corrispondente singolo vincolo oggetto della reiterazione ed in osservanza dei criteri di cui alle sentenze della Corte costituzionale n. 179/1999 e n. 411/2001”;

II- “violazione degli artt. 40, 42, 18 e 67 della legge provinciale 5.9.1991, n. 22 e degli artt. 1 e 2 e ss. del D.M. 2.4.1968, n. 1444 per reiterazione della destinazione ad esproprio per VP a carico delle pp.ff. 1104/3 e 1105/4 e illegittima ed erronea esclusione del lotto già destinato ad edilizia residenziale dal PRG 1968 e dalla variante del 1987 e consequenziale riconoscimento di inclusione dello stesso lotto nella confinante zona B4 edificata di completamento (art. 38 NtA); eccesso di potere per difetto di motivazione ed irragionevolezza nella zonizzazione omogenea e di allineamento urbanistico”. Si asserisce che il terreno in questione si inserirebbe in una zona edificata, rendendo così di immediata evidenza l’irragionevole situazione rispetto all’edificazione confinante, il che, in fatto, si tradurrebbe in un ingiustificato carico sulla sola proprietà del ricorrente. Inoltre si adduce che in altre zone del territorio comunale sarebbero state individuate nuove aree residenziali con definizione “zona di completamento” classificate in maniera omogenea rispetto alle aree confinanti, il che invece non sarebbe avvenuto nel caso de quo.

5. Nei termini di rito si è costituita in giudizio l’Amministrazione comunale intimata, chiedendo la reiezione del ricorso perché infondato nel merito.

6. Con ricorso per motivi aggiunti notificato in data 11 aprile 2008 e depositato presso la Segreteria del Tribunale il successivo 21 aprile, il ricorrente ha impugnato la deliberazione della Giunta provinciale di approvazione della Variante al piano regolatore, di cui al punto 3 dell’epigrafe, nonché gli atti ivi riportati ai punti 4, 5 e 6, formulando le seguenti ulteriori articolate censure:

III – “violazione dell’art. 41 della legge provinciale 5.9.1991, n. 22, per esame della Variante 2004 da parte della Conferenza dei Servizi P.A.T. con riferimento ai vincoli per la sicurezza del territorio in data posteriore (5.7.2007) rispetto alla seduta della C.U.P. (6.6.2007), il cui parere è stato recepito dalla delibera della Giunta provinciale n. 200/2008; violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, e della normativa provinciale di riferimento per difetto di motivazione ed eccesso di potere per contraddittorietà interna, illogicità ed irragionevolezza, riscontrandosi nel richiamato parere C.U.P. pareri discordanti sul medesimo oggetto, il tutto come testualmente riconosciuto nella nota dell’Assessore comunale all’urbanistica di data 20.9.2007”; il parere della Commissione urbanistica provinciale sarebbe invero risultato incompleto con riferimento al parere della Conferenza dei Servizi adottato successivamente ad esso con conseguente illegittimità della procedura di approvazione della Variante impugnata;

IV – “violazione dell’art. 63 della legge provinciale 5.9.1991, n. 22, per omessa della procedura di Variante 2004 al PRG di Trento in attesa dell’entrata in vigore del nuovo P.U.P.; eccesso di potere per difetto di istruttoria” in quanto la Giunta provinciale ben avrebbe potuto sospendere l’iter della variante in corso, posto che al tempo era in fase di approvazione il nuovo Piano urbanistico provinciale;

V – “eccesso di potere per disparità di trattamento come emergente da lettera dello stesso Vicesindaco ed Assessore all’urbanistica del Comune di Trento inviata dal Comune al Servizio urbanistica P.A.T. in data 24.12.2007 per E-mail ed ivi protocollata in data 27.12.2007”, con riferimento alla variante 19/1, zona C3, strada delle Tabarelle a Villazzano;

VI – “illegittimità derivata”.

7. Alla pubblica udienza del 20 novembre 2008 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

D I R I T T O

1. Con il ricorso in esame il procuratore generale, signor Sergio Galvagni, della proprietaria, sig.ra Pia Stenghele, di un ampio terreno situato in località Clarina, un quartiere posto a sud del centro di Trento, chiede l’annullamento in parte qua della deliberazione della Giunta provinciale e delle precedenti deliberazioni del Consiglio comunale di Trento, con le quali è stata approvata in via definitiva, e in precedenza adottata, la cosiddetta Variante 2004 al piano regolatore generale, la quale, per il terreno di sua proprietà, ha reiterato il vincolo di destinazione a “VP verde pubblico o di uso collettivo di quartiere”, disattendendo la richiesta di destinazione dello stesso ad area edificabile.

2. Il Collegio premette, in fatto, che l’area in questione, nell’anno 1998, era stata formalmente offerta in vendita al Comune dalla sig.ra Stenghele. Dopo il parere favorevole del Consiglio circoscrizionale espresso il 10.4.2000 circa l’acquisizione delle aree a sud del rio Salè per destinarle in parte a parco pubblico e, in parte, ad orti per anziani, la Giunta comunale disponeva una serie di approfondimenti sul miglior uso dell’area in questione, congiuntamente ad un altro terreno situato nei pressi, ma di altra proprietà.

Il 12 ottobre 2001 i competenti servizi hanno rilevato che “il vincolo espropriativo relativo all’area in questione è decaduto” e pertanto il Comune, con decisione della Giunta n. 31 dell’11.3.2002, ha preso atto dell’impossibilità di procedere all’esproprio, ma nel contempo anche della non fattibilità dell’acquisto della stessa area a trattativa privata per la carenza nel bilancio di stanziamenti sufficienti. La proprietà, con note del 30 aprile 2002 e del 28 marzo 2003 (documenti n. 10 e n. 13 in atti di parte ricorrente), ha contestato l’intervenuta decadenza del vincolo senza che l’Amministrazione avesse proceduto all’esproprio e contestualmente ha chiesto che l’area venisse classificata quale zona residenziale di completamento con gli stessi parametri delle p.f. adiacenti.

3. Con il primo motivo il ricorrente deduce che, per le particelle in questione, la Variante 2004 avrebbe previsto la reiterazione del vincolo di destinazione a verde pubblico in assenza sia di una puntuale motivazione sia della previsione del necessario indennizzo.

Il detto motivo non è fondato.

Va invero condivisa al riguardo la ricostruzione operata dalla difesa del Comune resistente che, riprendendo le argomentazioni contenute in recenti decisioni del Consiglio di Stato e, in particolare, quella della sez. IV, 25.5.2005, n. 2718 – ha qualificato la destinazione a verde pubblico dell’area del ricorrente come vincolo conformativo, come tale non soggetto a decadenza a differenza di quello preordinato all’esproprio.

La “destinazione di

impressa da un P.R.G. ad una zona costituisce espressione della potestà conformativa del pianificatore, avente validità a tempo indeterminato e non già un vincolo a contenuto espropriativo e, pertanto, non è soggetta alla decadenza dopo il decorso del termine”.

A questa conclusione si perviene avuto riguardo alla concreta disciplina che di tale destinazione danno le N.T.A. dello strumento urbanistico considerato, che, “ove sia consentita, anche ad iniziativa del proprietario, la realizzazione di opere e strutture intese all’effettivo godimento del verde, è da escludere, ex se, la configurabilità di uno svuotamento incisivo del contenuto del diritto di proprietà, permanendo comunque la utilizzabilità dell’area rispetto alla sua destinazione naturale” (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II 26.4.2006, n. 1055).

In questo senso si può richiamare anche un’altra decisione della sez. IV del Consiglio di Stato, la n. 5490 del 10.8.2004, secondo cui la destinazione di un’area “ al tempo libero e quindi all’utilizzo da parte della collettività”, nell’ambito della quale, secondo le previsioni delle norme tecniche di attuazione, si possono realizzare “attrezzature per lo svago, chioschi, bar, teatri all’aperto, impianti sportivi per allenamento e spettacolo, e simili, nonché di biblioteche e giochi per bambini”, e ove è dunque “consentita, anche ad iniziativa del proprietario, la realizzazione di opere e strutture intese all’effettivo godimento del verde”, egualmente “esclude, ex se, la configurabilità di uno svuotamento incisivo del contenuto del diritto di proprietà, permanendo comunque la utilizzabilità dell’area rispetto alla sua destinazione naturale”.

Per conseguenza, solo nel caso in cui la disciplina urbanistica escluda in modo assoluto che nelle zone destinate a siano possibili, anche parzialmente, iniziative da parte del privato proprietario dell’area, detto vincolo potrà essere qualificato come preordinato all’espropriazione o comunque tale da sottrarre sostanzialmente l’area medesima alla naturale vocazione edificatoria e, come tale, soggetto a decadenza (cfr. C.d.S., sez. IV, 24.2.2004, n. 745).

Nella fattispecie in esame, il terreno del ricorrente è stato gravato dal vincolo “VP verde pubblico o di uso collettivo di quartiere”, disciplinato dall’articolo 69 delle norme tecniche di attuazione. La norma citata prevede che “in tali aree è consentita soltanto la realizzazione dei manufatti necessari per la gestione, l’utilizzo e l’arredo dei parchi stessi, oltre alla realizzazione di impianti sportivi compatibili con la sistemazione a verde”. Infine, è stabilito che “qualora l’utilizzazione dell’area avvenga attraverso un’iniziativa privata, il rilascio della concessione è subordinato alla stipula di apposita convenzione”.

Si tratta all’evidenza di fattispecie identica a quella presa in considerazione nella decisione della sez. IV 1.10.2007, n. 5059, secondo cui la destinazione di un’area a parco urbano, ove sono possibili “destinazioni realizzabili anche attraverso l’iniziativa privata in regime di economia di mercato”, non determina quella totale sottrazione alla naturale vocazione edificatoria da parte del soggetto proprietario che caratterizza il vincolo espropriativo, ma all’affermazione della natura meramente conformativa dello stesso vincolo che non impone, ovviamente, alcuna previsione di indennizzo.

Con la citata decisione il Consiglio di Stato ha nuovamente precisato che “il vincolo, per essere qualificato sostanzialmente espropriativo, deve comportare l’azzeramento del contenuto economico del diritto di proprietà e che, di contro, la disciplina urbanistica che ammette la realizzazione di interventi edilizi da parte di privati, seppur conformati dal perseguimento del peculiare interesse pubblico che ha determinato il vincolo, non si risolve in una sostanziale espropriazione, ma solo in una limitazione, conforme ai principi che presiedono al corretto ed ordinario esercizio del potere pianificatorio, dell’attività edilizia realizzabile sul terreno”.

L’orientamento del Consiglio di Stato in merito alla natura del vincolo di o di non registra alcun contrasto in giurisprudenza, che concorda nel classificarlo tra i vincoli conformativi, come tali non soggetti a decadenza (cfr., ex multis, sez. IV, 6.6.2008, n. 2681; sez. IV, 12.5.2008, n. 2159; CGA, 24.10.2007, n. 1017; sez. IV, 31.1.2005, n. 259; 22.12.2002, n. 7037; sez. V, 6.10.2000, n. 5327).

In ragione di quanto sopra il dedotto motivo deve essere disatteso.

4. Con il secondo motivo si asserisce innanzitutto che il vincolo che grava sul fondo renderebbe di immediata evidenza l’irragionevole destinazione impressa rispetto all’edificazione ad esso confinante.

Anche tale motivo è infondato, alla luce della consolidata giurisprudenza alla cui stregua “le scelte discrezionali dell’Amministrazione riguardo alla destinazione di singole aree non necessitano di apposita motivazione, oltre quelle che si possono evincere dai criteri generali – di ordine tecnico – discrezionale – seguiti nella impostazione del piano, essendo sufficiente l’espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modificazione al piano regolatore generale” (cfr., da ultimo, C.d.S., sez. IV 3.11.2008, n. 5478).

Al riguardo il Collegio osserva che, nella relazione di accompagnamento della Variante 2004, si afferma che “è proprio il rapporto tra edificato e spazio naturale (per quanto antropizzato) a caratterizzare il volto della città, e l’esistenza di spazi aperti verdi è essenziale per la qualificazione del paesaggio urbano”. In coerenza con questo obiettivo si è provveduto “ad estendere verso la parte urbana edificata il parco del Salè che … oltre a riequilibrare con un vuoto la massiccia densità edilizia presente entro questa parte del territorio ha lo scopo di valorizzare un ambiente prezioso quale quello costituito dal corso del rio Salè”. In definitiva, la motivazione addotta non appare né illogica né insufficiente a dimostrare la trasparenza dell’esercizio della potestà urbanistica ma, all’opposto, si presenta sorretta da argomenti concretamente capaci di spiegare la persistenza dell’interesse pubblico a mantenere la destinazione VP sulle particelle di proprietà della ricorrente, inserite in una zona ove l’edificazione si presenta obiettivamente densa, e, per di più, concorrentemente idonea a perseguire l’ambizioso progetto della creazione del Parco del Salè.

5. L’altra parte del secondo motivo, ove si evidenzia che in altre zone del territorio comunale sarebbero state individuate nuove aree residenziali “di completamento” classificate in maniera omogenea rispetto alle aree confinanti, può essere esaminata congiuntamente al quinto motivo, ove si denuncia disparità di trattamento rispetto ad un nominato terreno situato a Povo, per il quale si assume che si troverebbe nelle medesime condizioni fisiche e giuridiche di quello di proprietà dell’istante.

Sotto questo diverso profilo va egualmente richiamato quell’orientamento della giurisprudenza in ordine alle scelte amministrative sottese all’esercizio del potere di pianificazione, le quali devono “obbedire solo al superiore criterio di razionalità nella definizione delle linee dell’assetto territoriale, nell’interesse pubblico alla sicurezza delle persone e dell’ambiente, e non anche ai criteri di proporzionalità distributiva degli oneri e dei vincoli, con la conseguenza che in relazione ad essa non può prospettarsi una disparità di trattamento” (cfr. C.d.S. sez. IV, 7.8.2008, n. 3358).

Quanto al concetto di utilizzato dalla ricorrente per definire la situazione in cui verserebbe la sua proprietà, assuntamente identica a quella della vicina preesistente edificazione, occorre sottolineare che tale definizione è stata utilizzata per individuare zone che presentano la stessa natura o che appartengono allo stesso genere. Ma è stato altresì chiarito che “la zona omogenea non è, in effetti, definibile aprioristicamente, essendo la conseguenza di valutazioni rimesse alle competenti Autorità amministrative le quali possono tenere adeguato conto anche delle trasformazioni del territorio che siano intervenute rispetto alla zonizzazione del precedente strumento urbanistico, ed individuare nuove zone ove siano presenti elementi di omogeneità, che devono essere riscontrati con riferimento alle dimensioni della nuova zona, e non della vecchia maglia” (cfr. C.d.S. sez. IV, 11.4.2007, n. 1615).

Nel caso in esame non sono, peraltro, ravvisabili per quanto già argomentato più sopra contrasti tra la zonizzazione imposta e l’impostazione tecnico – motivazionale dello strumento urbanistico, mentre non si evidenzia alcuna illogicità: è da escludere, pertanto, che la scelta compiuta sia viziata e che sia possibile dare ingresso alla dedotta censura di disparità di trattamento.

Con riferimento, in ogni caso, alla previsione della nuova zona C3 individuata a Povo, la relazione di accompagnamento della Variante puntualizza che per la stessa, che si trova in un sobborgo collinare, l’area riservata al verde pubblico rappresenta circa la metà della superficie territoriale – dal che resta comunque escluso ogni raffronto con l’area del deducente – e che non è stato possibile operare analogamente nella zona sottostante, “sempre destinata a verde pubblico lungo il medesimo rio, in considerazione della mancanza di aree idonee per dimensione, collocazione e conformazione, dove poter localizzare la nuova localizzazione”.

Nella zona sottostante, e dunque nel quartiere Clarina ove si trova il terreno de quo, si è invece voluto “riequilibrare con un la massiccia densità edilizia presente”.

La vicenda richiamata dal ricorrente non apporta in definitiva alcun ausilio al suesposto motivo, posto che i fondi sono in realtà accomunati dalla sola vicinanza con il rio Salè.

Quanto alla denunciata disparità di trattamento è sufficiente richiamare quella consolidata giurisprudenza, secondo la quale “il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento presuppone non l’analogia, ma la identità oggettiva delle situazioni di fatto e di diritto. Di conseguenza il motivo volto a censurare la disparità di trattamento è ammissibile solo nel caso di assoluta e indiscutibile identità di situazioni, sì da comportare la totale, manifesta illogicità e irrazionalità” dell’operato della Pubblica amministrazione (cfr., T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 1.2.2008, n. 895, ma anche T.R.G.A. Trento, 6.11.2001, n. 628 e 20.8.2008, n. 220).

6. Con il ricorso per motivi aggiunti l’istante ha presentato una serie di censure di ordine formale avverso la procedura di adozione e di approvazione della Variante impugnata che sono, tuttavia, del pari infondate.

Con il terzo motivo aggiunto la ricorrente, che ha denunciato un improprio scambio di corrispondenza tra l’Assessore all’urbanistica comunale e quello provinciale, deduce la violazione dell’art. 41 della legge urbanistica provinciale, in quanto il parere della Commissione urbanistica provinciale del 6 giugno non avrebbe potuto tener conto di quello reso dalla Conferenza dei servizi per la verifica preventiva del rischio idrogeologico espresso il successivo 5 luglio: ciò vizierebbe a suo dire in toto la procedura di approvazione della Variante impugnata.

Va, peraltro, per questo aspetto ricordato che la procedura di approvazione dei piani regolatori comunali, di cui all’art. 41 della legge provinciale n. 22 del 1991, è stata modificata dall’art. 3 della legge provinciale 15.12.2004, n. 10, quando era in corso il procedimento che ha interessato la Variante in esame, per cui a questa si applica la disposizione transitoria di cui al comma 43 del citato articolo 3, la quale disponeva che la novella legislativa non si applicasse ai piani, o alle loro varianti, già adottati alla data di entrata in vigore della legge. Su tale fondamento torna dunque nella specie invocabibile il previgente art. 41, il quale prescriveva, oltre ai termini per l’assunzione di ognuno degli atti citati, l’acquisizione del solo parere della Commissione urbanistica provinciale (o, in mancanza di esso, di quello del Servizio urbanistica e tutela del paesaggio con la collaborazione degli altri servizi interessati) quale esclusivo supporto preventivo alla deliberazione della Giunta provinciale.

Occorre poi rilevare che, con deliberazione della Giunta provinciale n. 1984 del 29.9.2006, è stata approvata la “Metodologia per l’aggiornamento della cartografia del rischio idrogeologico del Piano generale di utilizzazione delle acque pubbliche”, previsto dall’articolo 14 del Statuto d’autonomia e approvato con D.P.R. 15 febbraio 2006. Con tale deliberazione si è stabilito che “all’interno della procedura che prevede l’approvazione da parte della Giunta provinciale dei nuovi piani urbanistici o loro modifiche, sarà necessario operare una valutazione preventiva degli effetti che le nuove previsioni urbanistiche causano sulla cartografia del rischio”, e che tale valutazione preventiva sia di competenza dei servizi interessati (bacini montani, geologico, prevenzione rischi e dipartimento protezione civile e tutela del territorio), coordinati dal servizio per l’utilizzazione delle acque pubbliche all’interno di una conferenza di servizi.

Occorre dunque concludere che i due diversi pareri citati, espressi rispettivamente in data 6.6.2007 e 5.7.2007 e inviati dalla Provincia all’Amministrazione comunale di Trento per la formulazione delle controdeduzioni di competenza per l’ultima parte del complesso iter della Variante, sono previsti da due diverse fonti normative per l’esercizio di autonomi poteri e che in esse non è codificato alcunché circa il rapporto di presupposizione corrente e necessario fra i due atti in quanto inseriti all’interno di un più ampio contesto procedimentale.

Pertanto, la censura in esame è infondata in diritto sotto il profilo della dedotta violazione di legge, ma lo è anche in rito sul piano dell’interesse a ricorrere, posto che nulla è stato rappresentato circa la concreta utilità che sarebbe derivata alla situazione giuridica vantata dal ricorrente nel caso il parere della Commissione urbanistica provinciale fosse intervenuto successivamente a quello della Conferenza dei servizi per la valutazione preventiva del rischio idrogeologico: la destinazione impressa al terreno di proprietà del ricorrente è rimasta, infatti, la medesima.

7. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione di legge con riferimento all’art. 63 della legge urbanistica provinciale, asserendo che la Giunta provinciale avrebbe dovuto sospendere il procedimento della Variante 2004, posto che era in corso la procedura per l’approvazione del nuovo Piano urbanistico provinciale.

Il motivo non ha alcun pregio giuridico.

L’invocato art. 63 non trova, invero, applicazione nel caso prospettato, dato che disciplina l’istituto della salvaguardia del piano o della sua variante in itinere, ossia la sospensione del rilascio dei titoli abilitativi di interventi edilizi, di competenza comunale o provinciale, che appaiano in contrasto con le previsioni delle nuove disposizioni di pianificazione.

La difesa del ricorrente richiama, peraltro, il disposto dell’art. 41 della stessa legge provinciale, ove è previsto che in sede di approvazione da parte della Giunta provinciale “possono essere apportate al piano, anche su parere della CUP o del servizio urbanistica e tutela del paesaggio, le modifiche che non comportino sostanziali innovazioni, tali cioè da mutare le caratteristiche essenziali del piano stesso ed i criteri di impostazione, nonché quelle che siano riconosciute indispensabili per assicurare … il rispetto delle previsioni del piano urbanistico provinciale”.

In proposito occorre rilevare che, nella deliberazione provinciale n. 200 di approvazione della Variante, dopo l’elencazione dei rapporti e delle comunicazioni intercorse tra le due Amministrazioni, è stato dato atto che “l’Amministrazione comunale ha condiviso i rilievi formulati … relativamente all’adeguamento della Variante 2004 agli strumenti di pianificazione provinciale sovraordinati e alla disciplina del pericolo e del rischio idrogeologico” e che sono stati risolti i “principali motivi di incoerenza tra i due strumenti di pianificazione evidenziati dalla C.U.P. assicurando la coerenza complessiva del P.R.G. ai contenuti fondamentali del nuovo Piano urbanistico provinciale, come richiesto dalle disposizioni in materia di salvaguardia contenute nelle deliberazioni della Giunta provinciale di prima, seconda e definitiva adozione del progetto di nuovo P.U.P.”. In conclusione la pretesa del ricorrente non trova alcun supporto normativo e appare anche contraria al principio di economicità dell’azione amministrativa perché comporterebbe un ingiustificato ritardo nell’iter di approvazione dello strumento urbanistico.

8. Infine, va disattesa, per le ragioni già svolte nella motivazione che precede, la dedotta censura di illegittimità derivata e il ricorso deve essere conseguentemente respinto.

Le spese del giudizio sono poste a carico della parte soccombente e sono quantificate in dispositivo.

P.Q.M.

il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa del Trentino – Alto Adige, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 52 del 2007, lo respinge.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in complessivi € 4.000 (quattromila).

Così deciso in Trento, nella camera di consiglio del 20 novembre 2008, con l’intervento dei Magistrati:

dott. Francesco Mariuzzo – Presidente

dott. Lorenzo Stevanato – Consigliere

dott.ssa Alma Chiettini – Consigliere estensore

Pubblicata nei modi di legge, mediante deposito in Segreteria, il giorno 8 gennaio 2009

Il Segretario Generale

dott. Giovanni Tanel
N. 2/2009 Reg. Sent.

N. 52/2007 Reg. Ric.

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

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