Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 08-02-2011) 26-05-2011, n. 20995

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

e Raucci Angelo, che hanno chiesto l’accoglimento dei motivi di ricorso.
Svolgimento del processo

La Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere, con sentenza in data 19 giugno 2007, assolveva B.A. dal reato di omicidio aggravato di F.D., commesso il 9 giugno 1981 in concorso con altri, al fine di eseguire il reato di cui all’art. 416 c.p..

A carico dell’imputato vi erano state due dichiarazioni di collaboratori di giustizia, S.M., che riferiva di avere partecipato personalmente all’omicidio e indicava tra i concorrenti il B., e L.T.A. che riferiva di avere saputo dell’omicidio da S.M., C.G. e dallo stesso B., ospite del padre all’epoca della sua latitanza, i quali avevano raccontato di avere partecipato all’omicidio.

La Corte di Assise riteneva la attendibilità intrinseca di S., ma non ravvisava elementi di riscontro nelle dichiarazioni di L.T., considerate de relato, formulando nei suoi confronti un giudizio di inattendibilità intrinseca, in quanto aveva commesso altri reati nel corso della sua collaborazione ed era stato rinviato a giudizio per i delitti di calunnia e autocalunnia;

la Corte di Assise rilevava, altresì, che le dichiarazioni dello S. e del L.T. non si riscontravano neppure in relazione ad alcuni punti salienti del racconto.

In esito a gravame del P.M. distrettuale, la Corte di Assise di Appello di Napoli, con sentenza in data 12 febbraio 2010, dichiarava B. colpevole del reato a lui ascritto e lo condannava alla pena dell’ergastolo.

Il giudice di appello rilevava che sia S. che L.T. avevano fatto stabilmente parte di gruppi criminali locali, come risulta da sentenze passate in giudicato, e ciò giustifica la frequentazione con l’imputato ed anche la conoscenza di particolari relativi all’omicidio in questione; con riferimento a S. sottolineava che le sue dichiarazioni erano spontanee, coerenti, logiche, precise e costanti e che, prima delle sue dichiarazioni, a suo carico non vi era alcun sospetto circa un suo coinvolgimento personale nell’omicidio del F., concludendo per la sua attendibilità intrinseca e per la sussistenza di riscontri oggettivi nelle risultanze processuali. Per quanto concerne il chiamante in reità L.T., il giudice di appello, premesso che le sue dichiarazioni non erano de relato poichè la sua fonte di conoscenza era il B., affermava che l’attendibilità intrinseca deve essere valutata con riferimento alle singole vicende delittuose e che non vi fossero elementi per dubitare della sua attendibilità, mentre le discordanze tra le dichiarazioni dei due collaboranti non riguardavano il B. e, comunque, trovavano spiegazione nel tempo trascorso dai fatti ai quali il L.T. non aveva partecipato personalmente.

Propongono ricorso per cassazione i difensori dell’imputato, deducendo carenza o illogicità della motivazione ovvero inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nel1’applicazione della legge penale con specifico riferimento all’art. 192 c.p.p., comma 3. Il ricorrente, rilevato che la sentenza impugnata ha ritenuto l’attendibilità personale di L.T. in quanto inserito nell’ambito di sodalizi mafiosi come accertato con sentenze passate in giudicato, afferma che L.T. non risulterebbe giudicato quale partecipe di sodalizi mafiosi relativamente al periodo in contestazione.

Il ricorrente, inoltre, sostiene che la motivazione sulla attendibilità intrinseca di L.T. è apparente o illogica per non avere valutato che lo stesso è stato rinviato a giudizio per calunnia e tentato omicidio e in più occasioni, come risulta dagli atti, è stata dichiarata la inutilizzabilità delle sue dichiarazioni ed è stato anche condannato per estorsione e tentata estorsione, in relazione a comportamenti attinenti al mercimonio della collaborazione processuale. Il ricorrente richiama anche l’ordinanza del Tribunale del riesame di Napoli, nel presente processo, che esprime un giudizio di inattendibilità generale di L. T. e, inoltre, rileva che il giudice estensore della sentenza impugnata ha condiviso, quale giudice a latere della 4^ Sezione della Corte di Assise di Appello di Napoli, in altra sentenza emessa a breve distanza di tempo il giudizio di inattendibilità personale di L.T..

Il ricorrente afferma anche di avere fornito la prova documentale della inattendibilità di L.T., poichè la dichiarazione di costui circa la presenza del B. presso la abitazione del padre L.T.T. in conseguenza del ferimento subito dopo un conflitto a fuoco con i carabinieri di Marcianise contrasterebbe con il fatto che il conflitto a fuoco si verificò il 7 luglio 1982 e dunque in epoca successiva ai fatti di causa. Il ricorrente sostiene, poi, che le dichiarazioni di S. circa le modalità di conferimento del mandato omicidiario da parte di B.E. sarebbero generiche ed inverosimili, nella parte in cui affermano che il B., mentre era detenuto, comunicava con chi si trovava all’esterno del carcere e presumibilmente per strada. La parola dello S. sarebbe priva di riscontro anche in ordine alla distruzione dell’autovettura utilizzata per l’omicidio, mentre, con riferimento a quanto si sarebbe detto durante un pranzo a casa di L.T.T., presente il figlio L.T.A., all’epoca nemmeno ventenne, e la di lui madre, sarebbe inverosimile che il capo di un gruppo sieda a tavola con un latitante insieme ai propri familiari e ad altre persone appartenenti ad altra organizzazione criminale e che nella circostanza si commenti l’esecuzione di un omicidio.

Infine, il ricorrente sostiene che sarebbe insussistente il requisito della cd. convergenza del molteplice e che il giudice di appello avrebbe omesso di considerare il carattere indiretto delle dichiarazioni di L.T. e di raffrontare i racconti di L.T. e di S., che sarebbero così diversi da non consentire l’individuazione e l’accertamento delle modalità specifiche del fatto e del ruolo rivestito da B..
Motivi della decisione

Il ricorso è fondato nei sensi di cui alla presente motivazione.

Occorre rilevare, in primo luogo che in più punti (modalità di conferimento del mandato omicidiario, distruzione dell’autovettura utilizzata per l’omicidio, verosimiglianza della conversazione tenuta durante un pranzo a casa di L.T.T., presenza del B. presso l’abitazione di L.T.T., discordanze tra le dichiarazioni di L.T. e S.), i motivi proposti tendono ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento sui quegli stessi punti. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n. 6402, Dessimone, riv.

207944).

Per quanto concerne il carattere indiretto delle dichiarazioni di L. T., la sentenza impugnata chiarisce che la fonte del dichiarante è lo stesso imputato e questa Corte ha affermato, con riferimento all’applicabilità dell’art. 195 c.p.p., che "non rientra nella disciplina dell’art. 195 cod. proc. pen. la dichiarazione de relato dei collaboranti che hanno riferito fatti appresi dagli stessi imputati, in quanto la fonte primaria in tal caso non può essere chiamata a rendere dichiarazioni che possano pregiudicare la sua posizione, fermi restando i criteri di particolare rigore nella valutazione di tali elementi probatori" (Sez. 1, n. 16891 del 10/02/2010, Tolentino, Rv. 247555; Sez. 6, Sentenza n. 33750 del 11/05/2005, Longoni, Rv. 232043; Sez. 5, n. 26628 del 25/03/2004.

Sappracone, Rv. 229863; Sez. 5, n. 552 del 13/03/2003, dep. 12/01/2004, Attanasi, Rv. 227021). Ciò posto, rimane fermo quanto affermato dalla costante giurisprudenza di questa Suprema Corte, che qualifica come riscontro di una chiamata in correità anche un’altra chiamata, purchè questa risulti indipendente, convergente e specifica; ciò perchè la chiamata è fornita di autonoma efficacia probatoria e capacità di sinergia nel reciproco incrocio con le altre, cosicchè un’affermazione di responsabilità ben può essere fondata sulla valutazione unitaria di una pluralità di chiamate in correità, tutte coincidenti in ordine alla commissione del fatto da parte del soggetto.

Il vizio motivazionale della sentenza impugnata può e deve essere ravvisato nella valutazione di attendibilità intrinseca del dichiarante L.T., che non può esaurirsi nell’"attendibilità personale" quale persona legata alla criminalità organizzata (pag. 6 della sentenza impugnata), anche perchè, nel caso di specie, non si fa riferimento a conoscenze collegate al contesto associativo di appartenenza, ma a specifiche circostanze di fatto di cui il dichiarante ha avuto diretta percezione.

Occorre osservare che la decisione del giudice di appello, che comporti totale riforma della sentenza di primo grado, impone la dimostrazione dell’incompletezza o della non correttezza ovvero dell’incoerenza delle relative argomentazioni con rigorosa e penetrante analisi critica seguita da completa e convincente dimostrazione che, sovrapponendosi in toto a quella del primo giudice, dia ragione delle scelte operate. Ne consegue che il giudice di appello, allorchè prospetti ipotesi alternative a quelle ritenute dal giudice di prima istanza, non può limitarsi a formulare una mera possibilità, come esercitazione astratta del ragionamento, ma deve riferirsi a concreti elementi processualmente acquisiti, posti a fondamento di un iter logico che conduca, senza affermazioni apodittiche, a soluzioni divergenti da quelle prospettate da altro giudice di merito (Sez. 2, n. 15756 del 12/12/2002, dep. 03/04/2003, Contrada, Rv. 225564; Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv.

231679).

Orbene, nel caso di specie, la sentenza impugnata ha ritenuto che l’avvenuta revoca del programma di protezione concesso a L.T., per avere commesso reati durante la sua collaborazione, non sia circostanza idonea – diversamente da quanto affermato dal primo giudice – a far dubitare della sua attendibilità rispetto ai fatti per cui è processo, poichè – aggiunge lo stesso giudice – "l’attendibilità intrinseca è questione che va valutata di volta in volta, riguardo sia alle singole vicende delittuose che con riferimento ai rapporti tra chiamante e chiamato in correità o reità". Una volta, però, confutata in linea astratta la tesi svolta dal primo giudice, la Corte di Assise di Appello non ha indicato gli elementi specifici e concreti che condurrebbero a ritenere intrinsecamente attendibile L.T., ma ha interrotto il suo ragionamento a livello ipotetico, non evidenziando quali elementi attinenti alla personalità del dichiarante, al suo contesto di vita personale e familiare, ai rapporti con il chiamato in reità, alla genesi delle sue dichiarazioni, facessero ritenere lo stesso attendibile. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte di Assise di Appello di Napoli, perchè formuli un nuovo giudizio sulla base di una valutazione della attendibilità intrinseca del dichiarante L. T. che faccia applicazione dei principi di diritto sopra evidenziati.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Assise di Appello di Napoli per nuovo giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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