Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 24-05-2011) 27-05-2011, n. 21366 Motivi di ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza del 12.11.2008 – 9.1.2009 la Corte d’appello di Milano confermava la condanna di P.M., W.Y. e W. H.P., deliberata il 13.2.2008 dal Tribunale di Milano per delitti di cui all’art. 346 c.p., comma 1 (così riqualificati i capi A, C), art. 346 c.p., comma 2 (capo G), artt. 477 e 482 c.p., loro rispettivamente ascritti, in relazione all’essersi fatti consegnare somme di denaro da cittadini cinesi, quale compenso per la propria mediazione volta ad agevolare il nulla osta per ricongiungimenti familiari, anche consegnando nulla osta risultati falsi, dal luglio all’agosto 2004. 2. Ricorrono per cassazione tutti i tre imputati.

2.1 P.M., con atto formalmente personale, denuncia:

con primo motivo violazione di legge e vizi di motivazione in ordine agli artt. 346 e 640 c.p., perchè entrambi i Giudici del merito non si sarebbero confrontati con la tesi difensiva che intenzione dell’imputato era porre in essere un vero e proprio atto corruttivo, il che escludeva la configurabilità sia dell’ipotesi "semplice" di millantato credito (ritenuta in primo grado) sia la consapevolezza della falsità del documento;

– con secondo motivo, medesimi vizi in relazione agli artt. 62 bis, 132 e 133 c.p. in ordine all’entità della riduzione delle attenuanti generiche ed alla determinazione della pena.

2.2 la cittadina cinese Y.W., con atto formalmente personale, denuncia:

con primo motivo il medesimo vizio del ricorso precedente, con riferimento alle ipotesi di reato contestate a questa imputata; nel corpo del motivo si deduce poi di "ulteriori problematiche di traduzione dal dialetto cinese", con affermazione – priva di motivazione – di conseguente "nullità della sentenza per omessa traduzione della motivazione di 1^ e 2^ grado";

– con secondo motivo, i medesimi vizi del corrispondente motivo del precedente ricorso.

2.3 Il cittadino cinese H.P.W., a mezzo del difensore avv. Labate, deduce, con atto di non agevole lettura, vizi di motivazione:

– in relazione all’art. 346 c.p., comma 2, perchè la Corte distrettuale avrebbe motivato la conferma della condanna per il capo G sull’erroneo presupposto di una contestazione dell’art. 346 c.p., comma 1; così prosegue il ricorso: "per tale motivo, la circostanza che questi non fosse consapevole della falsità esclude che si sia fatto consegnare la somma col pretesto", la consapevolezza della falsità del nulla osta essendo determinante per la configurabilità del dolo del capoverso dell’art. 346 c.p.. Il ricorso svolge poi una serie di considerazioni richiamanti risultanze probatorie che vengono commentate ma non analiticamente esposte, per contestare alla sentenza d’appello i vizi di difetto di motivazione, illogicità, contraddittorietà e travisamento degli indizi, anche in ordine al reato di falso di cui al capo H. 3. I ricorsi sono inammissibili; conseguentemente i ricorrenti vanno ciascuno condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000, equa in relazione ai casi, alla Cassa delle ammende.

4.1 I motivi di P. e di W.Y. (che la sentenza di primo grado ricorda essere stati conviventi, in prossimità temporale con i fatti) sono comuni e possono essere trattati congiuntamente.

Il rilievo (posto che è perfino dubbio possa trattarsi di motivo autonomo, per come è confezionato nell’atto di ricorso, pag. 2 penultimo capoverso) della W.Y. sulla traduzione dal dialetto cinese è talmente criptico da essere comunque irrilevante per genericità palese.

Il motivo relativo all’affermazione di responsabilità reitera – per la prima parte anche con contenuto sostanzialmente identico all’atto d’appello – deduzioni di merito che sono state già disattese con apprezzamento conforme, dal Tribunale e dalla Corte distrettuale.

Entrambi i primi Giudici hanno spiegato – il Tribunale con ampio richiamo alle fonti probatorie ed in particolare alle specifiche dichiarazioni dei testi interessati ai diversi episodi contestati, ai tempi delle condotte, al loro ripetersi con modalità del tutto analoghe e nella consapevolezza delle lamentele per l’accertata falsità dei documenti da loro consegnati – che nella condotta dei due ricorrenti erano configurabili sotto i profili oggettivo e soggettivo le condotte di millantato credito e di concorso in falso, il denaro essendo stato richiesto per la propria ed altrui mediazione presso i pubblici ufficiali. La censura difensiva relativa – se si è compreso l’assunto – alla convinzione invece dei due di essere parti attive e consapevoli di una serie di condotte corruttive è stata quindi disattesa con specifica motivazione, nè apparente nè manifestamente illogica o contraddittoria, sicchè in definitiva i due ricorsi si risolvono nella sollecitazione ad una rivisitazione del materiale probatorio per giungere a diversa conclusione, preclusa in questa sede di legittimità.

Il motivo sul trattamento sanzionatorio si caratterizza per censure di stretto merito, posto che la Corte distrettuale ha specificamente argomentato sul punto, per entrambi gli imputati.

4.2 L’inammissibilità del motivo del ricorso di W.H.P. è innanzitutto originata dall’evidente fraintendimento della decisione della Corte milanese, che differentemente da quanto affermato dal ricorrente, ha ben avuto presente che l’imputato è stato condannato per l’ipotesi del capoverso dell’art. 346 c.p.. il ricorrente equivoca sulla locuzione "non risulta contestata la configurazione del reato ai sensi dell’art. 346 c.p., comma 2", laddove il termine "contestato" è palesemente utilizzato nel senso di "attaccato – criticato", come si evince anche sia dall’introduzione (pag. 1) che dal seguito immediato della frase (pag. 7) in sentenza.

Del resto lo stesso ricorso immediatamente dopo, contraddittoriamente, si confronta senza soluzione di continuità con la tematica del dolo della fattispecie astratta di cui al capoverso, tuttavia svolgendo argomentazioni che presuppongono un confronto diretto con parti degli atti di prova, senza l’osservanza dell’onere di autosufficienza del ricorso, sì da rendere in ipotesi necessario – per la comprensione e verifica dell’argomentazione – l’accesso diretto agli atti processuali, come noto del tutto precluso a questa Corte di legittimità. Sicchè in definitiva le ulteriori censure si risolvono nella sollecitazione ad un diverso apprezzamento di merito, pure precluso.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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