Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 17-05-2011) 27-05-2011, n. 21390 Interesse ad impugnare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

per carenza di interesse.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ordinanza emessa il 27.1.2011 il g.i.p. del Tribunale di Bologna, convalidatone l’eseguito arresto in flagranza di reato, ha applicato alla cittadina russa A.K. la misura cautelare della custodia in carcere in ordine al delitto di concorso, con il proprio convivente (il coindagato cittadino albanese O.O., arrestato con la A. e sottoposto a misura cautelare carceraria), in illecita detenzione per finalità di spaccio di circa venti chili di marijuana nonchè di tre bustine contenenti piccoli quantitativi di cocaina.

2. Adito dall’istanza di riesame della A., il Tribunale di Bologna con l’ordinanza del 15.2.2011, richiamata in epigrafe, ha respinto il gravame e confermato il provvedimento coercitivo carcerario, pur escludendo (in motivazione) la sussistenza della contestata aggravante della quantità ingente della droga oggetto di reato. In particolare il Tribunale ha affermato la solidità del quadro indiziario profilantesi nei confronti dell’indagata, ribadendone il sicuro concorso criminoso in conclamata assenza di elementi accreditanti l’assunto difensivo di una mera connivenza non punibile della donna con l’illecita attività di narcotraffico attuata dal convivente coindagato O.. Concorso criminoso altresì sussumibile in ambiti di pericolosità sociale della A., postulanti esigenze cautelari tutelabili con la sola misura custodiale carceraria ed emergenti – quanto al pericolo di recidività criminale – dalle varie segnalazioni di p.g. riguardanti la donna e dal suo stato di irregolare presenza sul territorio nazionale.

3. Contro l’ordinanza del riesame cautelare ha proposto ricorso per cassazione il difensore della A., lamentando carenza ed illogicità della motivazione sia in riferimento alla gravità degli indizi di colpevolezza che alle esigenze cautelari. Da un lato riproponendo la tesi della semplice connivenza della donna, vittima di uno stato di totale dipendenza dal coindagato (che la ospita, altresì sfruttandone la prostituzione) tale da porla in condizione di non offrire alcun serio contributo concorsuale al fatto criminoso (narcotraffico). Da un altro lato evidenziando l’insussistenza di effettive esigenze cautelari giustificanti la custodia carceraria della donna, motivata dal Tribunale con mere formule di stile, non senza rilevare che i giudici del riesame hanno escluso la configurabilità nel reato ascritto alla donna della contestata aggravante di cui all’art. 80, comma 2, L.S. (sebbene il dispositivo dell’ordinanza impugnata non rechi traccia di tale statuizione).

4. L’esame delle doglianze prospettate con il ricorso è precluso dalle intervenute emergenze processuali riguardanti la posizione della A..

Nelle more dell’odierno giudizio di legittimità è intervenuta in data 16.4.2011 la revoca della misura cautelare carceraria per ritenuta cessazione delle esigenze cautelari, l’indagata essendo stata "rimessa in libertà", come si evince dall’acquisita annotazione della scheda nominativa della A. estratta dalla banca dati dell’amministrazione penitenziaria.

La cessazione della misura coercitiva inframurale per la quale è stato presentato il ricorso delinea una situazione di sopravvenuta assorbente carenza di interesse della ricorrente A. agli esiti decisori della proposta impugnazione, che per tale motivo deve essere dichiarata inammissibile.

Questa S.C. ha avuto modo di chiarire come -anche quando si contesti con ricorso per cassazione la sussistenza delle condizioni legittimanti l’originaria emissione di una misura cautelare personale- sia indispensabile la verifica della attualità e concretezza dell’interesse alla decisione, tenuto conto della regola generale fissata dall’art. 568 c.p.p., comma 4, (applicabile anche, per la sua generale latitudine, in materia de liberiate), secondo cui è requisito di ammissibilità di ogni impugnazione la persistenza di un interesse effettivo e attuale, finalisticamente diretto a rimuovere un pregiudizio reale e specifico, che la parte affermi di aver subito dal provvedimento impugnato.

In altre parole l’interesse alla decisione del ricorso non può tradursi in una mera ed astratta pretesa ad una rituale esattezza teorica dell’atto censurato, destituita di effetti pratici sull’economia del procedimento o sui suoi futuri sviluppi. Ne discende che l’interesse del soggetto indagato ad ottenere una pronuncia invalidante una ordinanza cautelare, quando questa – nelle more della decisione – sia stata già revocata o abbia perso efficacia (con il ripristino del pieno stato di libertà dell’indagato), non può essere presunto o considerato in re ipsa sussistente, ma deve essere addotto ed argomentato dall’indagato e il giudice deve vagliarne concretezza ed attualità.

Nè a tali rilievi può essere di ostacolo l’eventuale finalizzazione del ricorso alla precostituzione di un possibile titolo fondante una futura richiesta di equa riparazione per una detenzione potenzialmente ingiusta, ai sensi della particolare previsione di cui all’art. 314 c.p.p., comma 2. Infatti, precisato che la custodia cautelare in ipotesi "ingiusta" diviene "riparabile" soltanto nel caso in cui il connesso procedimento sia definito con l’irrogazione di una pena inferiore alla custodia cautelare sofferta o con una pena sospesa alle condizioni di legge ovvero -ancora- sia definito con il proscioglimento dell’imputato con una delle formule liberatorie di cui all’art. 314 c.p.p., comma 1, l’eventuale intento di rendere la pronuncia di legittimità funzionale alla procedura riparatoria ex art. 314 c.p.p., deve essere espressamente manifestato e motivato dall’interessato, anche in rapporto all’inesistenza di cause ostative ( art. 314 c.p.p., comma 4), giammai potendo essere presunto o ritenuto coessenziale al ricorso de liberiate, ciò che attuerebbe una aperta violazione del puntuale precetto dell’art. 568 c.p.p., comma 4 (cfr.: Cass. Sez. 6, 14.1.2009 n. 3531, Gervasi, rv. 242404;

Cass. Sez. 6, 18.6.2010 n. 25859, Qoshku, rv. 247780; Cass. Sez. 6, 21.9.2010 n. 37764, Fabiano, rv. 248285; da ultimo: Cass. S.U., 16.12.2010 n. 7931/11, Testini, rv. 249002).

Alla stregua del generale principio di cui all’art. 91 c.p.c. non può considerarsi soccombente e non deve, dunque, essere condannato al pagamento delle spese del processo e della sanzione pecuniaria di cui all’art. 616 c.p.p. il ricorrente la cui impugnazione sia dichiarata inammissibile per carenza di interesse determinata, come nel caso in esame, da causa successiva alla proposizione del ricorso.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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