Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 17-05-2011) 27-05-2011, n. 21388 Interesse ad impugnare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Mediante il difensore l’indagato cittadino albanese N. I. impugna per cassazione l’ordinanza in data 30.12.2010 del Tribunale distrettuale dell’Aquila, che ha rigettato l’appello proposto avverso il provvedimento del 23.11.2010, con cui il g.i.p. del Tribunale di Pescara ha respinto l’istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare carceraria applicata al N. con ordinanza emessa il 15.9.2010 da quello stesso ufficio giudiziario per il reato di concorso in detenzione e trasporto illeciti di kg. 2,125 di cocaina, quantità ingente di sostanza stupefacente destinata alla vendita.

I giudici dell’appello cautelare hanno dedotto la persistenza del grave quadro indiziario delineato dall’ordinanza custodiale del g.i.p. del Tribunale di Pescara anche alla luce degli elementi di asserita novità proposti dalla difesa dell’indagato (diversa traduzione delle intercettate conversazioni avvenute tra il N. e il coindagato), elementi tutti già vagliati nell’ambito del pregresso giudizio di riesame del provvedimento impositivo della misura cautelare carceraria, sì da aver dato luogo sul punto al ed. giudicato cautelare. Quadro indiziario cui i giudici del gravame hanno coniugato l’esistenza di perduranti esigenze cautelari connesse al pericolo di reiterazione di condotte criminose della stessa specie, efficacemente tutelabili con la sola applicata misura inframurale carceraria, avendo le emergenze delle indagini evidenziato "seri indicatori della estrema pericolosità sociale del N.". 2. Con il ricorso presentato nell’interesse del N. si enunciano due motivi di doglianza per violazione di legge e difetto e illogicità della motivazione.

Con il primo motivo si deduce la violazione del disposto dell’art. 299 c.p.p., comma 3 ter, per la mancata riassunzione da parte del g.i.p. del Tribunale di Pescara dell’interrogatorio dell’indagato, da questi espressamente richiesto, a fronte della sua istanza di revoca o sostituzione della misura carceraria basata anche su "elementi nuovi" scaturiti dalle indagini difensive sui reali contenuti espositivi dei dialoghi intercettati riguardanti la sua persona e in special modo di una conversazione dell’8.5.2009 intercorsa con il coindagato connazionale F.P., atteso che una diversa traduzione dei dialoghi è cosa diversa (costituente elemento "nuovo") dalla semplice diversa opzione interpretativa di quegli stessi dialoghi, come assume il Tribunale giudice dell’appello cautelare.

Con il secondo motivo di impugnazione si deduce l’erronea applicazione dell’art. 274 c.p.p., lett. c), e il difetto di motivazione sulla ritenuta esistenza di esigenze cautelari, fronteggiabili con la sola misura carceraria, sebbene le stesse si configurino prive del requisito della attualità, avuto riguardo al tempo ormai decorso dalla commissione dell’ipotizzato reato. Tant’è che, come trascura di considerare il Tribunale aquilano, lo stesso procedente pubblico ministero ha espresso parere favorevole alla sostituzione della custodia carceraria con altra meno afflittiva misura cautelare.

3. L’esame dei profili di censura prospettati con il ricorso è precluso dalle intervenute emergenze processuali riguardanti la posizione del N..

Va innanzitutto rilevato che già con ordinanza del 16.2.2011 (unita agli atti compiegati con il ricorso dalla cancelleria del Tribunale dell’Aquila) il g.i.p. del Tribunale di Pescara ha sostituito la misura cautelare carceraria applicata al N. con quella degli arresti domiciliari presso la sua abitazione. Nelle more dell’odierno giudizio di legittimità è intervenuta in data 4.4.2011 la revoca anche di detta misura cautelare domestica per ritenuta cessazione delle esigenze cautelari, l’indagato essendo stato "rimesso in libertà", come si evince dalla acquisita annotazione della scheda nominativa dell’indagato estratta dalla banca dati dell’amministrazione penitenziaria.

La cessazione della misura coercitiva inframurale per la quale è stato presentato il ricorso delinea una situazione di sopravvenuta assorbente carenza di interesse del ricorrente N. agli esiti decisori della proposta impugnazione, che per tale motivo deve essere dichiarata inammissibile.

Questa S.C. ha avuto modo di chiarire come – anche quando si contesti con ricorso per cassazione la sussistenza delle condizioni legittimanti l’originaria emissione di una misura cautelare personale- sia indispensabile la verifica della attualità e concretezza dell’interesse alla decisione, tenuto conto della regola generale fissata dall’art. 568 c.p.p., comma 4, (applicabile anche, per la sua generale latitudine, in materia de liberiate), secondo cui è requisito di ammissibilità di ogni impugnazione la persistenza di un interesse effettivo e attuale, finalisticamente diretto a rimuovere un pregiudizio reale e specifico, che la parte affermi di aver subito dal provvedimento impugnato.

In altre parole l’interesse alla decisione del ricorso non può tradursi in una mera ed astratta pretesa ad una rituale esattezza teorica dell’atto censurato, destituita di effetti pratici sull’economia del procedimento o sui suoi futuri sviluppi. Ne discende che l’interesse del soggetto indagato ad ottenere una pronuncia invalidante una ordinanza cautelare, quando questa – nelle more della decisione – sia stata già revocata o abbia perso efficacia (con il ripristino del pieno stato di libertà dell’indagato), non può essere presunto o considerato in re ipsa sussistente, ma deve essere addotto ed argomentato dall’indagato e il giudice deve vagliarne concretezza ed attualità.

Nè a tali rilievi può essere di ostacolo l’eventuale finalizzazione del ricorso alla precostituzione di un possibile titolo fondante una futura richiesta di equa riparazione per una detenzione potenzialmente ingiusta, ai sensi della particolare previsione di cui all’art. 314 c.p.p., comma 2. Infatti, precisato che la custodia cautelare in ipotesi "ingiusta" diviene "riparabile" soltanto nel caso in cui il connesso procedimento sia definito con l’irrogazione di una pena inferiore alla custodia cautelare sofferta o con una pena sospesa alle condizioni di legge ovvero – ancora – sia definito con il proscioglimento dell’imputato con una delle formule liberatorie di cui all’art. 314 c.p.p., comma 1, l’eventuale intento di rendere la pronuncia di legittimità funzionale alla procedura riparatoria ex art. 314 c.p.p., deve essere espressamente manifestato e motivato dall’interessato, anche in rapporto all’inesistenza di cause ostative ( art. 314 c.p.p., comma 4), giammai potendo essere presunto o ritenuto coessenziale al ricorso de liberiate, ciò che attuerebbe una aperta violazione del puntuale precetto dell’art. 568 c.p.p., comma 4, (cfr.: Cass. Sez. 6, 14.1.2009 n. 3531, Gervasi, rv. 242404;

Cass. Sez. 6, 18.6.2010 n. 25859, Qoshku, rv. 247780; Cass. Sez. 6, 21.9.2010 n. 37764, Fabiano, rv. 248285; da ultimo: Cass. S.U., 16.12.2010 n. 7931/11, Testini, rv. 249002).

Alla stregua del generale principio di cui all’art. 91 c.p.c., non può considerarsi soccombente e non deve, dunque, essere condannato al pagamento delle spese del processo e della sanzione pecuniaria di cui all’art. 616 c.p.p., il ricorrente la cui impugnazione sia dichiarata inammissibile per carenza di interesse determinata, come nel caso in esame, da causa successiva alla proposizione del ricorso.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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