Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 13-05-2011) 27-05-2011, n. 21416 Chiusura ed avviso di chiusura delle indagini preliminari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 19 ottobre 2010, la Corte di appello di Catanzaro ha dichiarato la nullità della sentenza emessa il 20 ottobre 2009 dal Tribunale di Castrovillari, appellata da P.D.G., P.A. e P.C., nei confronti di P. D.G. limitatamente ai reati di cu ai capi KK) ed LL) e nei confronti di P.A. limitatamente al reato di cui al capo S); ha riformato la medesima sentenza assolvendo P. A. dai reati ascrittigli ai capi D) ed E) per non aver commesso il fatto e dai reati di cui ai capi Q) ed R) perchè il fatto non sussiste; ha rideterminato la pena inflitta a P.D. G. in anni dieci, mesi quattro e giorni venti di reclusione ed Euro 88.300,00 di multa e quella inflitta a P.A. in anni sei, mesi due e giorni venti di reclusione ed Euro 38.400,00 di multa ed ha confermato la condanna ad anni due e mesi sei di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa inflitta in primo grado a P.C..

Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore degli imputati suddetti deducendo vari motivi di impugnazione. Rinnovando, anzitutto, le eccezioni in rito già formulate nei precedenti gradi, si deduce, nel primo motivo, la nullità della richiesta di rinvio a giudizio e di tutti gli atti conseguenti, per omesso espletamento dell’interrogatorio richiesto dagli imputati a seguito dell’avviso di conclusione delle indagini di cui all’art. 415-bis c.p.p.. Si osserva, in particolare, che la giurisprudenza evocata nelle varie ordinanze reiettive della questione, tempestivamente proposta nella udienza preliminare, secondo la quale l’interrogatorio già svolto in sede cautelare rappresenterebbe un equipollente dell’interrogatorio previsto dall’art. 415-bis c.p.p., sicchè il mancato invito all’imputato non integrerebbe una nullità, si riferisce ad ipotesi diversa, posto che nella specie l’avviso è stato ritualmente notificato e gli imputati hanno tempestivamente formulato richiesta di essere interrogati. Dopo aver analiticamente scandagliato la giurisprudenza soffermatasi sul tema ed aver sottolineato come non poche pronunce si saldino ad ipotesi particolari, sicchè da esse non possono trarsi principi applicabili nel caso di specie, il ricorso sottolinea la diversità di funzioni e, dunque, di valenze processuali che presentano, da un lato, l’interrogatorio di garanzia a seguito della emissione di una ordinanza custodiate, e, dall’altro, l’interrogatorio a conclusione delle indagini, previsto come facoltà difensiva dall’art. 415-bis c.p.p.. Sicchè, precluderne l’espletamento ove richiesto, equivale ad una indebita compressione delle facoltà difensive che genera una nullità: il tutto, d’altra parte, in linea con una lettura costituzionalmente orientata del quadro normativo di riferimento.

Si rinnova, poi, nel secondo motivo, la eccezione di nullità derivante dalla emissione della richiesta di rinvio a giudizio durante il termine di venti giorni di cui all’art. 415-bis cod. proc. pen., a nulla rilevando, come erroneamente prospettato dalla Corte territoriale, che la notifica della richiesta stessa fosse intervenuta dopo lo spirare del termine stesso, posto che nel frattempo era stata formulata richiesta difensiva volta ad ottenere la possibilità di ascolto delle intercettazioni telefoniche. Il mancato rispetto del termine ha, dunque, determinato una lesione del diritto di difesa, con conseguente nullità di ordine generale (implicitamente evocata dalla stessa Corte costituzionale, nella ordinanza n. 452 del 2005), in quanto il pubblico ministero, malgrado la richiesta di interrogatorio e di attività difensiva, esercitava l’azione penale prima della scadenza del termine di legge. Nel terzo motivo si ripropone la eccezione di nullità derivante dal mancato rinvio della udienza del 5 marzo 2009 per legittimo impedimento dell’imputato P.D.G.. In particolare, si contesta la validità dell’assunto secondo il quale non si sarebbe realizzata alcuna lesione del diritto di difesa in quanto non sarebbe stata espletata attività processuale il giorno della udienza in cui l’imputato era impedito: si osserva, infatti, che la valutazione sulla sussistenza del legittimo impedimento è prodromica e preliminare a qualsiasi ulteriore attività istruttoria. Viene anche rinnovata la doglianza relativa al mancato espletamento di una perizia finalizzata ad un accertamento di carattere finanziario- contabile, in merito alla attività di usura contestata agli imputati, avuto riguardo alla evanescenza degli elementi acquisiti nel corso del procedimento.

Nuovamente si prospetta, poi, la inutilizzabilità delle dichiarazioni testimoniali rese da quanti, malgrado vittime della usura, avevano portato altri soggetti dai P., così concorrendo nel loro reato e con conseguente inutilizzabilità erga omnes delle loro dichiarazioni, a norma dell’art. 63 c.p.p., comma 2.

Si deduce inoltre vizio di motivazione, sia in riferimento alla richiesta formulata in via subordinata in sede di discussione di derubricazione del reato di usura in quello di esercizio abusivo del credito, sia per ciò che atteneva alla tesi difensiva che negava la sussistenza di uno stato di bisogno delle parti offese.

Nel settimo ed ultimo motivo, si ripercorrono le censure svolte a proposito delle singole vicende di usura nei motivi di appello e si sottolineano quelle che, ad avviso della difesa, rappresenterebbero le aporie motivazionali o le sostanziali sottovalutazioni delle circostanze di fatto evocate per contrastare il giudizio di colpevolezza riguardante le differenziate posizioni dei tre imputati.

Il primo e assorbente motivo di ricorso è fondato. Come infatti risulta dagli atti ed è stato pacificamente ritenuto tanto dal Giudice per le indagini preliminari in sede di udienza preliminare, che dai giudici di primo e secondo grado, a seguito della notificazione dell’avviso di conclusione delle indagini è stata formulata tempestiva richiesta di interrogatorio da parte degli imputati; richiesta che non è stata soddisfatta, avendo il pubblico ministero formulato richiesta di rinvio a giudizio ancor prima della scadenza del termine di venti giorni previsto dall’art. 415-bis c.p.p., comma 3.

Tanto il Giudice per le indagini preliminari, nella ordinanza del 18 giugno2008, che quello del dibattimento di primo grado – limitatosi, in parte qua, a richiamare tale provvedimento nella ordinanza pronunciata il 3 ottobre 2008 – che, infine, il giudice dell’appello, hanno ritenuto priva di conseguenze invalidanti l’omissione prontamente eccepita dalla difesa, sul rilievo che le esigenze di garanzia poste a fondamento del richiesto interrogatorio, sarebbero state già soddisfatte, in quanto gli imputati erano stati già interrogati in sede cautelare, evocandosi, in proposito, la giurisprudenza di questa Corte, la quale in passato ha avuto modo di richiamare il concetto di equipollenza fra gli atti e, dunque, l’assenza di un reale vulnus per la funzione defensionale che l’atto sollecitato, ma non espletato, avrebbe in ipotesi comportato.

La tesi concordemente e tralaticiamente espressa nelle varie sedi processuali dai giudici del merito fa leva su una pronuncia di questa Corte che ha affermato – pur in presenza di un perdurante contrasto di giurisprudenza sul punto – che non sussiste la nullità della richiesta di rinvio a giudizio conseguente al mancato invito all’indagato a rendere l’interrogatorio ai sensi dell’art. 375 c.p.p., comma 3, quando il medesimo abbia ricevuto, con un atto equipollente, la contestazione degli addebiti, trovandosi così nella condizione di predisporre ed avanzare le proprie difese. Principio, questo, in applicazione del quale la Corte ebbe nel frangente ad escludere la dedotta nullità della richiesta di rinvio a giudizio, ritenendo equipollenti l’interrogatorio reso al Giudice per le indagini preliminari a fini cautelari, ovvero le spontanee dichiarazioni rese al pubblico ministero dall’indagato, ai sensi dell’art. 374 c.p.p., comma 2, (Cass., Sez. 6, 22 febbraio 2007, P.G. in proc. Manzoni ed altri).

Ma i giudici del merito, nel richiamare tale pronuncia, non si sono avveduti di due aspetti di essenziale risalto ai fini che qui rilevano. Da un lato, infatti, il principio affermato nella citata decisione (va rammentato, in sè non privo di contrasti) si è espresso – come emerge dalla sentenza – in una vicenda nella quale veniva in discorso la disciplina dettata dall’art. 416 c.p.p., comma 1, nel testo novellato ad opera della L. n. 234 del 1997, art. 2, ma prima delle significative modifiche introdotte dalla L. 16 dicembre 1999, n. 497, art. 17, comma 3, , la quale, come è noto, ha introdotto la disciplina dell’art. 415-bis cod. proc. pen., che rappresenta la fonte normativa di rilievo nel caso che qui interessa.

Ed è proprio su tali significative modificazioni, messe a fuoco dalla pronuncia, che si è potuta radicare, con specifico riferimento al regime previgente, la tesi della equipollenza (v. pagg. 33 e segg. della richiamata pronuncia), posto che la ratio della innovazione introdotta dalla riforma del 1997 tendeva appunto a salvaguardare l’esercizio del diritto di difesa sulla contestazione ante judicium, sulla falsariga, d’altra parte, di quanto già statuiva il codice del 1930, nel sancire l’obbligo dell’interrogatorio sul fatto o la sua enunciazione in un mandato od ordine rimasto senza effetto, prima della translatio judicii (art. 376 per la istruzione formale e art. 396 per quella sommaria). Ma ciò che ancor più conta, ai fini che qui rilevano, è la circostanza rappresentata dal fatto che, mentre nella vicenda esaminata da questa Corte nella sentenza dì cui innanzi si è detto si controverteva sulle conseguenze relative alla omissione dell’invito a rendere interrogatorio, nel caso qui in esame, non soltanto l’invito era stato regolarmente rivolto agli imputati, ma lo stesso era stato, per così dire, da loro "raccolto", avendo i medesimi tempestivamente richiesto di essere interrogati.

Dunque, si è totalmente al di fuori di una ipotesi di invito astrattamente superfluo, perchè relativo all’esercizio di un diritto già esercitato: nel frangente, ciò che ha fatto difetto, è proprio l’atto richiesto dalle parti e che non poteva ritenersi surrogabile in alcun modo.

Attraverso la riforma del 1999, infatti, la rimodulazione del crinale rappresentato dalla chiusura delle indagini preliminari, e l’intera scansione degli adempimenti contrassegnati dall’allora introdotto art. 415-bis cod. proc. pen., sta a segnalare una nuova e più matura prospettiva difensiva, consentendosi all’ancora indagato di svolgere, ratione cognita (e cioè sulla base di tutte le risultanze scaturite dalle indagini, che il pubblico ministero presuppone esaurite), le proprie ragioni difensive, tanto sulla completezza che sul merito delle acquisizioni, e di richiedere, appunto, di essere interrogato:

stavolta, non soltanto ante judicium, ma anche prima – ed in funzione – della scelta del pubblico ministero in ordine all’esercizio della azione penale.

E’ evidente, allora, come in un quadro di riferimento siffatto, l’interrogatorio richiesto dall’indagato a seguito dell’invito rivoltogli a norma dell’art. 415-bis cod. proc. pen., rappresenti un unicum, tanto strutturalmente (perchè destinato a saldarsi all’esito globale e potenzialmente definito delle indagini preliminari) che funzionalmente (in quanto volto al soddisfacimento di una esigenza difensiva sul merito di una accusa ormai cristallizzata), per il quale non può neppure concettualmente evocarsi la categoria della equipollenza, posto che verrebbero arbitrariamente posti a raffronto atti fra loro ontologicamente eterogenei.

L’omesso espletamento dell’interrogatorio rende dunque nulla la richiesta di rinvio a giudizio e gli atti conseguenti, a norma dell’art. 416 c.p.p., comma 1; nullità che va qualificata come di ordine generale a regime intermedio (Cass., Sez. 1, 5 maggio 2010, Merafina; Cass., Sez. 2, 9 maggio 2007, P.G. in proc. Batacchi ed altro), e che, pertanto, è stata ritualmente e tempestivamente dedotta e non è stata in alcun modo sanata. Segue, di conseguenza, la nullità anche della sentenza di primo e di secondo grado. Gli atti devono per l’effetto essere trasmessi al pubblico ministero presso il Tribunale di Castrovillari per il seguito di competenza.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, quella di primo grado, la richiesta di rinvio a giudizio e gli atti conseguenti e dispone trasmettersi gli atti al pubblico ministero presso il Tribunale di Castrovillari per quanto di competenza.

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