Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 12-05-2011) 27-05-2011, n. 21434 Poteri della Cassazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 2/11/2010, Il Tribunale di Catanzaro, a seguito di istanza di riesame avanzata nell’interesse di V.V., indagato per il reato di associazione per delinquere volta a commettere truffe per il conseguimento di erogazioni pubbliche, 640 bis ed altri reati, confermava l’ordinanza del Gip di Lamezia Terme, emessa in data 6/10/2010, con la quale, applicata la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti del medesimo V. V., veniva disposto decreto di sequestro per equivalente.

Il Tribunale rilevava che nella fattispecie sussisteva il fumus commissi delicti per i reati di truffa aggravata ai danni dello Stato e dell’art. 640 bis c.p. e che pertanto, in virtù del richiamo di cui all’art. 640 quater c.p., trovava applicazione la disciplina della confisca obbligatoria dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato, di cui all’art. 322 ter c.p. che prevede, qualora non sia possibile aggredire direttamente il profitto del reato, la confisca per equivalente. Osservava inoltre che, nella fattispecie, non essendo immediatamente individuabile la quota di profitto attribuibile a ciascun concorrente, il sequestro andava disposto per l’intero, salva la possibilità del riparto interno fra i singoli concorrenti in sede di confisca. Quanto al fumus il Tribunale rilevava che il procedimento in questione nasceva da una complessa indagine investigativa della Guardia di Finanza, compendiata nella Cnr n. 250 del 30 novembre 2009 che aveva tratto origine da una segnalazione di operazioni sospette, ai fini della normativa antiriciclaggio, nei confronti di F.G.. Sul c/c di costui, acceso presso UNICREDIT di Lamezia Terme, risultava un elevato ammontare di versamenti di bonifici a cui corrispondevano altrettanto rilevanti prelievi in denaro contante, bonifici ed assegni circolari, sino a totale estinzione delle somme versate: a fronte di una movimentazione totale di Euro 1.427.000,00 in dare, corrispondeva una movimentazione di Euro 1.472.000,00 in avere.

Sentito a sommarie informazioni dai finanzieri, il F. riferiva di aver venduto macchinari industriali, di cui non sapeva indicare i fornitori, a varie ditte, ricevendone il pagamento del prezzo alla consegna per contanti; di aver emesso fatture di vendita indicanti un prezzo abbondantemente superiore a quello effettivo, di aver ricevuto attraverso bonifici bancari il versamento del prezzo indicato nelle fatture di vendita, che egli provvedeva a prelevare per contanti e restituire alle ditte che avevano emesso il bonifico a suo favore. A seguito delle indagini della GdF emergeva che le ditte indicate dal F. come acquirenti dei macchinari non erano più in possesso degli stessi, avendoli rivenduti a prezzi irrisori e che le stesse avevano ottenuto un finanziamento agevolato, ai sensi della c.d. L. Sabatini ( L. n. 1329 del 65) per l’acquisto di tali macchinari, rivolgendosi a M.V.M. il quale aveva garantito l’oro l’esito positivo della richiesta di finanziamento, sebbene tali ditte non presentassero i requisiti richiesti dalla legge per accedere ai benefici.

Tale legge consente alle imprese l’irrogazione di mutui a tasso agevolato per l’acquisto di beni strumentali da utilizzare per le attività produttive e prevede una complessa procedura che prevede l’intervento della Cancelleria del Tribunale per la sigillatura dei macchinari.

Il venditore riceve il pagamento del prezzo attraverso lo sconto, presso un istituto di credito, degli effetti cambiari rilasciati dall’acquirente. L’Istituto di credito richiede un contributo all’Ente agevolatore ed, a sua volta, lo gira all’acquirente.

Le indagini della GdF, anche a seguito di una perquisizione effettuata presso la Creinvest s.a.s. di M.M., si estendevano a tutte le richieste di finanziamento effettuate dal 1/1/2005 al 23/6/2008 ed emergeva che gran parte dei macchinari di cui era stato finanziato l’acquisto con i meccanismi della L. Sabatini risultavano inesistenti. Sempre dalle indagini della GdF emergeva che M.V.M., titolare, nonchè gestore di fatto della Creinvest sas (di M.M.), pur avendo denunziato redditi modesti, risultava titolare di un c/c acceso presso la BNL di Lamezia Terme sul quale, negli anni 2006, 2007 e 2008 risultavano versamenti in contanti per Euro 169.349,00 e contestualmente pagamenti con assegni a favore di FINANCE SERVICE LTD per Euro 155.570,00. Risultava, inoltre che costui aveva creato delle società finanziarie intestandole ai figli, in particolare la GI.EMME Srl, amministrata dal figlio M., la DI.EMME SERVICE, intestata alla figlia D. e la Creinvest s.a.s. di M. A.. Sui c/c di tali società e sui c/c personali di M.V.M. e dei suoi familiari risultavano effettuati versamenti in contanti per un totale di Euro 808,406,08.

Utili indicazioni sul funzionamento del sistema truffaldino messo in atto per ottenere erogazioni indebite avvalendosi della L. Sabatini erano state fornite da B.L., il quale ha riferito di essere stato contattato da M.V.M. della Creinvest sas di (OMISSIS) che lo aveva indotto a stipulato tre fittizi contratti di acquisto con la Edilart di V.V. relativi a tre macchinari (che egli aveva già acquistato in passato e deteneva nella sua officina già da diverso tempo) per i quali era stato erogato un finanziamento complessivo di Euro 662.880,00, ricevendo per tale operazione un ritorno in contanti per circa Euro 300.000,00. Precisava di aver portato i tre macchinari nei pressi del Tribunale di Lamezia Terme, e di aver istallato le targhette consegnategli dal M., accompagnato da una funzionaria del Tribunale, provvedendo egli stesso ad apporre il sigillo a piombo del Tribunale.

Ricostruito – in tal modo – questo complesso sistema truffaldino, il Tribunale riteneva pienamente sussistente il quadro di gravità indiziaria relativamente al reato associativo, osservando che la Creinvest S.a.s., riconducibile a Me.Ma. e M. (padre e figlio) di fatto metteva la sua struttura organizzativa a servizio di una programmata e continuativa attività delinquenziale, istruendo una serie di procedure finalizzate al conseguimento illecito di finanziamenti, mediante l’uso sistematico e massiccio di falsi, prodotti ad arte, per rappresentare realtà industriali ed esigenze di investimenti del tutto inesistenti. Tale attività si svolgeva avvalendosi del contributo di vari soggetti che condividevano il medesimo progetto criminale, fra i quali spiccava il ruolo di P.A., funzionario di Cancelleria del Tribunale di Lamezia Terme. Concorrevano all’associazione, inoltre, i soggetti che ricorrevano più volte come venditori di comodo: F. G., F.A., V.V. e S.P. o come acquirenti: G.V., G.A. e B. A.. Con specifico riferimento alla posizione di V. V. il Tribunale osservava che costui aveva offerto un contributo costante in favore del sodalizio di cui faceva parte, rendendosi pienamente disponibile a simulare la cessione di macchinari finanziabili con la L. Sabatini, mediante l’utilizzo della omonima ditta individuale, già cessata, finalizzandola all’emissione di false fatturazioni, atte a giustificare la vendita fittizia di beni. In particolare risultava che costui aveva provocato 24 indebiti finanziamenti per un totale di Euro 3.546.677,15 ed aveva ricevuto 5 indebiti finanziamenti per un totale di Euro 849.600,00.

Quanto al periculum in mora, il Tribunale lo ravvisava nel combinato disposto dell’art. 640 quater c.p. in relazione all’art. 322 ter c.p., essendo la confisca per equivalente conseguenza obbligatoria dell’eventuale condanna.

Avverso tale ordinanza propone ricorso l’indagato, per mezzo del suo difensore di fiducia, deducendo:

mancanza e manifesta illogicità della motivazione;

errata applicazione dell’art. 274 c.p.p. e degli artt. 273 e 192 c.p.p. erronea applicazione dell’art. 648 bis c.p;

nullità dell’ordinanza per violazione dell’art. 292 c.p.p..

Il ricorrente eccepisce che con i motivi di riesame, a cui era stata allegata una memoria difensiva, erano state poste al Tribunale numerose questioni riassumibili nei seguenti termini:

a) nullità dell’ordinanza per violazione dell’art. 292 c.p.p.;

b) non configurabilità dell’art. 640 bis c.p., in relazione alle somme percepite in virtù della L. Sabatini;

c) mancanza di riscontro dell’accusa del correo B.;

d) esito delle indagini bancarie da cui non risulta che vi sia stata circolazione di somme di denaro rappresentativa di un do ut des illecito fra il V. ed il Me.Vi.Ma.;

e) insussistenza di qualsiasi esigenza cautelare anche in virtù dell’epoca commissi delicti.

Si duole che il Tribunale abbia eluso tutte le questioni sollevate dalla difesa, soltanto sfiorando il tema della nullità dell’ordinanza cautelare per omessa motivazione, asserendo che la questione sarebbe superata per aver fatto il Gip specifico rinvio all’informativa di PG, senza avvedersi che tale motivazione è illegittima in presenza di specifiche eccezioni formulate dalla difesa. Il ricorrente riporta quindi il testo della richiesta di riesame con la quale eccepisce che l’ordinanza genetica è affetta da nullità per mancanza dei requisiti minimi di motivazione in ordine agli elementi da cui dedurre la gravità indiziaria in capo ad ogni singolo indiziato e per ogni singolo reato. La radicale carenza di motivazione dell’ordinanza genetica impedirebbe al Tribunale del riesame di rimediare ai vizi della motivazione.

Quanto al reato associativo, eccepisce che risulta ictu oculi l’inesistenza fisica di una labile motivazione che dia conto dell’esistenza dell’associazione nei termini prospettati nel capo di imputazione, essendosi il Gip limitato a contestare l’ipotesi associativa indistintamente e cumulativamente a tutti gli indagati, omettendo l’esatta individuazione, in termini di specificità, dei singoli ruoli svolti dagli associati.

Quanto alla posizione specifica di V.V., che risponde dei reati di cui agli artt. 416, 479 e 640 bis c.p., il ricorrente si duole che il Gip, richiama, a supporto dell’ipotesi accusatoria, la dichiarazione del correo B.L., coinvolto nei finanziamenti 3, 4 e 5, senza che sussistano quei riscontri individualizzanti richiesti dalla legge. Eccepisce, inoltre, che, alla luce della L. Sabatini la Banca rappresenta l’unica destinatala delle somme elargite dallo Stato per cui, fin quando il soggetto fruitore delle somme, sia pure indebitamente percepite, procede alla restituzione delle rate del debito all’istituto di credito erogatore non sussistono gli estremi del reato di cui all’art. 640 bis c.p., per l’assenza del danno patrimoniale, potendosi, tuttal più il fatto qualificare con riferimento all’art. 316 ter c.p..

Anche con riferimento alle esigenze cautelari l’ordinanza del Gip presta il fianco a censure perchè il pericolo di reiterazione viene affermato ma non dimostrato.

Tanto premesso, contesta le conclusioni assunte dal Tribunale per il riesame che ha ritenuto soddisfatto l’onere motivazionale mediante il rinvio alla informativa di PG, eccependo che l’ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere è nulla qualora sia motivata con esclusivo ed integrale riferimento ad altro atto del procedimento e tale atto non sia trascritto o non sia notificato unitamente ad essa.

Si duole che il Tribunale non abbia speso neanche una parola circa il fatto che i beneficiari stavano restituendo la somma percepita sulla base di una rateizzazione non ancora scaduta, elemento idoneo ad escludere la sussistenza della truffa.

Si duole, altresì che il Tribunale abbia eluso le ulteriori questioni sollevate con l’istanza di riesame e la memoria allegata, omettendo di spiegare: a) perchè venga ipotizzata l’esistenza di una associazione quando l’interlocutore beneficiario del finanziamento è sempre diverso; b) perchè evochi le dichiarazioni di F. e di altri indagati, senza avvedersi che tali dichiarazioni sono inutilizzabili ai sensi dell’art. 63 c.p.p.;

c) perchè ritenga la permanenza delle esigenze cautelari, malgrado i fatti fossero risalenti nel tempo. Infine osserva che, essendo intervenuta una rateizzazione funzionale all’integrale restituzione della somma elargita, il profitto conseguito era limitato esclusivamente agli interessi sul capitale nella misura del 5% ed eccepisce che il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente non può avere ad oggetto beni eccedenti il profitto del reato riferito a quanto percepito da ciascun concorrente.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

1. Occorre premettere che, essendo stato proposto un ricorso cumulativo con il quale sono state impugnate congiuntamente la misura cautelare personale e la misura cautelare reale, tutte le censure relative all’applicazione della misura cautelare personale sono state respinte con la sentenza emessa in pari data nel procedimento n. 3135/2011.

Non possono sorgere dubbi, pertanto, sulla sussistenza del fumus commissi delicti.

2. Il ricorrente sostanzialmente contesta il quantum, eccependo che il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente non può avere ad oggetto beni per un valore eccedente il profitto del reato. Nel caso di specie, secondo l’ipotesi difensiva, il profitto del reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche non può avere ad oggetto l’intero importo del finanziamento erogato dalle banche, ma soltanto il 5% sul capitale, oggetto dell’intervento pubblico.

3. Tale prospettazione non può essere accettata. Nel caso in cui la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche riguardi l’erogazione di mutui agevolati, il profitto realizzato dall’agente consiste nella percezione della somma concessa a mutuo dall’Istituto finanziario ed è equivalente all’importo erogato tramite il finanziamento indebitamente ottenuto. La eventuale restituzione delle somme indebitamente percepite all’Istituto mutuante si configura come un post-factum, un’attività idonea a ridurre il danno conseguente al reato, a norma dell’art. 185 c.p..

Al sequestro preventivo funzionale alla confisca deve essere applicato il principio di diritto formulato dalla Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 26654/2008, secondo cui: "il profitto del reato nel sequestro preventivo funzionale alla confisca è costituito dal vantaggio economico di diretta ed immediata derivazione causale dal reato ed è concretamente determinato al netto della effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato nell’ambito del rapporto sinallagmatico con l’Ente".

Nel caso di specie, peraltro, non risulta (ed il ricorrente non l’ha documentato) che i finanziamenti indebiti in cui il V. ricorre in qualità di fittizio venditore (in numero di 24), per un ammontare di complessivi Euro 3.546.677,15, e quelli in cui ricorre in qualità di fittizio acquirente (in numero di 5) per un ammontare di Euro 849.600,00 siano stati restituiti agli Istituti eroganti attraverso il pagamento delle cambiali alle scadenze prefissate.

Pertanto nel caso di specie legittimamente è stato disposto il sequestro per equivalente, funzionale alla confisca, delle somme di denaro equivalenti all’importo dei finanziamenti indebitamente concessi per effetto dei contestati al ricorrente, fermo restando che la confisca dovrà essere applicata al vantaggio economico di diretta ed immediata derivazione causale dal reato, secondo il principio di diritto sopra richiamato.

Di conseguenza il ricorso del V. deve essere respinto.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, chi lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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