Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 12-05-2011) 27-05-2011, n. 21430 Poteri della Cassazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 28/10/2010, il Tribunale di Catanzaro, a seguito di istanza di riesame avanzata nell’interesse di M. D., indagata per il reato di associazione per delinquere volta a commettere truffe per il conseguimento di erogazioni pubbliche, e riciclaggio, confermava l’ordinanza del Gip di Lamezia Terme, emessa in data 6/10/2010, con la quale era stata applicata la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti della medesima M.D..

Il procedimento in questione nasceva da una complessa indagine investigativa della Guardia di Finanza, compendiata nella Cnr n. 250 del 30 novembre 2009 che aveva tratto origine da una segnalazione di operazioni sospette, ai fini della normativa antiriciclaggio, nei confronti di F.G.. Sul c/c di costui, acceso presso UNICREDIT di Lamezia Terme, risultava un elevato ammontare di versamenti di bonifici a cui corrispondevano altrettanto rilevanti prelievi in denaro contante, bonifici ed assegni circolari, sino a totale estinzione delle somme versate: a fronte di una movimentazione totale di Euro 1.427.000,00 in dare, corrispondeva una movimentazione di Euro 1.472.000,00 in avere.

Sentito a sommarie informazioni dai finanzieri, il F. riferiva di aver venduto macchinari industriali, di cui non sapeva indicare i fornitori, a varie ditte, ricevendone il pagamento del prezzo alla consegna per contanti; di aver emesso fatture di vendita indicanti un prezzo abbondantemente superiore a quello effettivo, di aver ricevuto attraverso bonifici bancari il versamento del prezzo indicato nelle fatture di vendita, che egli provvedeva a prelevare per contanti e restituire alle ditte che avevano emesso il bonifico a suo favore.

A seguito delle indagini della GdF emergeva che le ditte indicate dal F. come acquirenti dei macchinari non erano più in possesso degli stessi, avendoli rivenduti a prezzi irrisori e che le stesse avevano ottenuto un finanziamento agevolato, ai sensi della c.d. L. Sabatini ( L. n. 1329 del 1965) per l’acquisto di tali macchinari, rivolgendosi a tale M.V.M. il quale aveva garantito loro l’esito positivo della richiesta di finanziamento, sebbene tali ditte non presentassero i requisiti richiesti dalla legge per accedere ai benefici.

Tale legge consente alle imprese l’irrogazione di mutui a tasso agevolato per l’acquisto di beni strumentali nuovi da utilizzare per le attività produttive e prevede una complessa procedura che prevede l’intervento della Cancelleria del Tribunale per la sigillatura dei macchinari.

Il venditore riceve il pagamento del prezzo attraverso lo sconto, presso un istituto di credito, degli effetti cambiari rilasciati dall’acquirente. L’Istituto di credito richiede un contributo all’Ente agevolatore e, una volta ricevutolo, a sua volta, lo gira all’acquirente.

Le indagini della GdF, anche a seguito di una perquisizione effettuata presso la Creinvest s.a.s. di M.M., si estendevano a tutte le richieste di finanziamento effettuate dal 1/1/2005 al 23/6/2008 ed emergeva che gran parte dei macchinari di cui era stato finanziato l’acquisto con i meccanismi della L. Sabatini risultavano inesistenti. Sempre dalle indagini della GdF emergeva che M.V.M., titolare, nonchè gestore di fatto della Creinvest sas (di M.M.), pur avendo denunziato redditi modesti, risultava titolare di un c/c acceso presso la BNL di (OMISSIS) sul quale, negli anni 2006, 2007 e 2008 risultavano versamenti in contanti per Euro 169.349,00 e contestualmente pagamenti con assegni a favore di FINANCE SERVICE LTD per Euro 155.570,00. Risultava, inoltre che costui aveva creato delle società finanziarie intestandole ai figli, in particolare la Gì.

EMME Srl, amministrata dal figlio M., la DI.EMME SERVICE, intestata alla figlia D. e la Creinvest s.a.s. di M. A.. Sui c/c di tali società e sui c/c personali di M.V.M. e dei suoi familiari risultavano effettuati versamenti in contanti per un totale di Euro 808,406,08.

Utili indicazioni sul funzionamento del sistema truffaldino messo in atto per ottenere erogazioni indebite avvalendosi della L. Sabatini erano state fornite da L.B., il quale aveva riferito di essere stato contattato da M.V.M. della Creinvest sas di (OMISSIS) che lo aveva indotto a stipulato tre fittizi contratti di acquisto con la Edilart di V.V. relativi a tre macchinari (che egli aveva già acquistato in passato e deteneva nella sua officina già da diverso tempo) per i quali era stato erogato un finanziamento complessivo di Euro 662.880,00, ricevendo per tale operazione un ritorno in contanti per circa Euro 300.000,00.

Precisava di aver portato i tre macchinari nei pressi del Tribunale di Lamezia terme, e di aver installato le targhette consegnategli dal M., accompagnato da una funzionaria del Tribunale, provvedendo egli stesso ad apporre il sigillo a piombo del Tribunale.

Ricostruito – in tal modo – questo complesso sistema truffaldino, il Tribunale riteneva pienamente sussistente il quadro di gravità indiziaria relativamente al reato associativo, osservando che la Creinvest S.a.s., riconducibile a Me.Ma. e M. (padre e figlio) di fatto metteva la sua struttura organizzativa a servizio di una programmata e continuativa attività delinquenziale, istruendo una serie di procedure finalizzate al conseguimento illecito di finanziamenti, mediante l’uso sistematico e massiccio di falsi, prodotti ad arte, per rappresentare realtà industriali ed esigenze di investimenti del tutto inesistenti.

Tale attività si svolgeva avvalendosi del contributo di vari soggetti che condividevano il medesimo progetto criminale, fra i quali spiccava il ruolo di P.A., funzionario di Cancelleria del Tribunale di Lamezia Terme. Concorrevano all’associazione, inoltre, i soggetti che ricorrevano più volte come venditori di comodo: F.G., F.A., V. V. e S.P. o come acquirenti: G.V., G.A. e B.A.. Con specifico riferimento alla posizione di M.D., dopo aver analizzato il flusso dei movimenti finanziari anomali transitati sul c/c della DI.EMME SERVICE, il Tribunale osservava che costei aveva offerto un contributo costante in favore del sodalizio di cui faceva parte, consentendo il reinvestimento dei proventi dei reati di cui all’art. 640 bis c.p. nelle società riconducibili al gruppo Meraglia. Tale attività integrava palesemente gli estremi del delitto di riciclaggio.

Il Tribunale respingeva, inoltre, l’eccezione di insussistenza del reato di cui all’art. 640 bis c.p., per mancanza di danno nei confronti delle Banche coinvolte nella truffa, osservando che, attraverso l’utilizzo di false certificazioni, gli indagati avevano comunque percepito un ingiusto profitto con conseguente danno a carico dell’erario in ragione della quota di interessi pagata dallo Stato in sostituzione dell’acquirente.

Infine il Tribunale respingeva l’eccezione difensiva sulla configurabilità del reato di associazione come reato presupposto rispetto al riciclaggio, rilevando che fra il delitto di riciclaggio e quello di associazione per delinquere non vi è alcun rapporto di presupposizione. Pertanto il partecipe al sodalizio criminoso risponde anche del reato di riciclaggio dei beni acquisiti attraverso la realizzazione dei reati fine.

Quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale riteneva sussistente il pericolo di reiterazione del reato, reputando adeguata, in ragione dell’incensuratezza dell’indagata, la misura degli arresti domiciliari.

Avverso tale ordinanza propone ricorso l’indagata, per mezzo del suo difensore di fiducia, deducendo:

mancanza e manifesta illogicità della motivazione;

errata applicazione dell’art. 274 c.p.p. e degli artt. 273 e 192 c.p.p., erronea applicazione dell’art. 648 bis c.p;

nullità dell’ordinanza per violazione dell’art. 292 c.p.p., la ricorrente eccepisce che con i motivi di riesame, a cui era stata allegata una memoria difensiva, erano state poste al Tribunale numerose questioni riassumibili nei seguenti termini:

1. nullità dell’ordinanza per violazione dell’art. 292 c.p.p.;

2. incompatibilità fra la condotta di chi è ritenuto responsabile del reato di riciclaggio e quella di chi concorre nell’esecuzione del delitto presupposto che, nel caso di specie, è identificabile nel delitto di associazione per delinquere;

3. esito dell’indagine bancaria da cui non risulta che vi siano stati i prelievi successivamente versati a M. e soprattutto mancanza di versamenti sul conto di M.;

4. insussistenza di qualsiasi esigenza cautelare anche in virtù dell’epoca commissi delicti.

Si duole che il Tribunale abbia eluso tutte le questioni sollevate dalla difesa, soltanto sfiorando il tema della nullità dell’ordinanza cautelare per omessa motivazione, asserendo che la questione sarebbe superata per aver fatto il Gip specifico rinvio all’informativa di PG, senza avvedersi che tale motivazione è illegittima in presenza di specifiche eccezioni formulate dalla difesa. La ricorrente riporta quindi il testo della richiesta di riesame con la quale eccepisce che l’ordinanza genetica è affetta da nullità per mancanza dei requisiti minimi di motivazione in ordine agli elementi da cui dedurre la gravità indiziaria in capo ad ogni singolo indiziato e per ogni singolo reato. La radicale carenza di motivazione dell’ordinanza genetica impedirebbe al Tribunale del riesame di rimediare ai vizi della motivazione. Quanto al reato associativo, eccepisce che risulta ictu oculi l’inesistenza fisica di una labile motivazione che dia conto dell’esistenza dell’associazione nei termini prospettati nel capo di imputazione, essendosi il Gip limitato a contestare l’ipotesi associativa indistintamente e cumulativamente a tutti gli indagati, omettendo l’esatta individuazione, in termini di specificità, dei singoli ruoli svolti dagli associati.

Quanto alla posizione specifica di M.D., la ricorrente eccepisce l’incompatibilità fra l’imputazione di riciclaggio e quella di associazione per delinquere, essendo la partecipazione all’associazione reato presupposto rispetto al riciclaggio dei profitti conseguiti dall’associazione.

Infine contesta il sequestro preventivo, assumendo che l’importo della somma sequestrata dee essere notevolmente ridimensionato nei termini risultanti dall’esito delle indagini.

Tanto premesso, la ricorrente contesta le conclusioni assunte dal Tribunale per il riesame che ha ritenuto soddisfatto l’onere motivazionale mediante il rinvio alla informativa di PG, eccependo che l’ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere è nulla qualora sia motivata con esclusivo ed integrale riferimento ad altro atto del procedimento e tale atto non sia trascritto o non sia notificato unitamente ad essa.

Si duole che il Tribunale non abbia accolto l’eccezione di incompatibilità fa l’associazione per delinquere ed il reato di riciclaggio, deducendo violazione di legge in relazione all’art. 648 bis c.p..

Si duole, altresì che il Tribunale abbia eluso le ulteriori questioni sollevate con l’istanza di riesame e la memoria allegata, omettendo di spiegare:

a) perchè venga ipotizzata l’esistenza di una associazione quando l’interlocutore beneficiario del finanziamento è sempre diverso;

b) perchè evochi le dichiarazioni di F. e di altri indagati, senza avvedersi che tali dichiarazioni sono inutilizzabili ai sensi dell’art. 63 c.p.p.;

c) perchè ritenga la permanenza delle esigenze cautelari, malgrado i fatti fossero risalenti nel tempo.

Infine osserva che, essendo intervenuta una rateizzazione funzionale all’integrale restituzione della somma elargita, il profitto conseguito era limitato esclusivamente agli interessi sul capitale nella misura del 5% ed eccepisce che il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente non può avere ad oggetto beni eccedenti il profitto del reato riferito a quanto percepito da ciascun concorrente.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato, 1. E’ anzitutto necessario chiarire i limiti di sindacabilità da parte di questa Corte dei provvedimenti adottati dal giudice del riesame dei provvedimenti sulla libertà personale.

Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, "l’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, ne1 alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura cautelare, nonchè del tribunale del riesame. Il controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità:

1) – l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato;

2) – l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento".

(Cass. Sez. 6, sent. n. 2146 del 25.05.1995 dep. 16.06.1995 rv 201840).

Inoltre "Il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a verificare, da un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell’indagato e, dall’altro, la valenza sintomatica degli indizi.

Tale controllo, stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici. In particolare, il vizio di mancanza della motivazione dell’ordinanza del riesame in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere sindacato dalla Corte di legittimità, quando non risulti "prima facie" dal testo del provvedimento impugnato, restando ad essa estranea la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto". (Cass. Sez. 1A sent. n. 1700 del 20.03.1998 dep. 04.05.1998 rv 210566).

2. Tanto premesso, occorre precisare che è infondato il motivo di ricorso con il quale si deduce la nullità insanabile dell’ordinanza genetica per totale carenza di motivazione.

Questa Sezione, affrontando l’argomento con la sentenza n. 6322/2007, ha avuto modo di rilevare che:

"E’ indirizzo pressochè costante di questa Corte, in tema di motivazione di provvedimenti cautelari, che il giudice del riesame non può annullare il provvedimento impugnato per difetto di motivazione atteso che il nostro ordinamento processuale a fronte delle nullità comminate per omessa motivazione dei provvedimenti riserva solo al giudice di legittimità il potere di pronunciare il relativo annullamento. Tale potere è precluso al giudice di merito di secondo grado a maggior ragione quando a costui, come nel caso del riesame, il thema decidendum è devoluto nella sua integralità (Sez. 3, 19 gennaio 2001, Senzadio, rv. 218752); che, pertanto, all’effetto interamente devolutivo che caratterizza l’impugnazione per riesame consegue che il giudice, al quale è conferito il potere di annullare, riformare o confermare il provvedimento impugnato anche per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso, può sanare, con la propria motivazione, le carenze argomentative dell’ordinanza oggetto del riesame, e ciò ancorchè esse siano tali da integrare le nullità – rilevabili d’ufficio – previste dall’art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c) e c) bis, riguardanti anche l’esposizione delle esigenze cautelari (Sez. 1, 2 ottobre 1998, Mannella, rv. 211887; nello stesso senso, Sez. 6, 14 giugno 2004, rv. 229763)".

L’annullamento dell’ordinanza genetica da parte del Tribunale del riesame è configurabile solo in casi estremi di assenza grafica della motivazione o di motivazione meramente apparente, sì da risolversi in una violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 2.

E’ stato osservato, infatti, che: "Il potere-dovere del tribunale del riesame di integrazione delle insufficienze motivazionali del provvedimento impugnato non opera nel caso di carenza grafica oppure di apparato motivazionale inesistente perchè del tutto inadeguato o basato su affermazioni apodittiche, sì da comportare nullità per violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 2" (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 33753 del 15/07/2010 Cc. (dep. 17/09/2010) Rv. 249148).

Nel caso di specie tale ipotesi estrema di assenza di motivazione non sussiste in quanto l’ordinanza del Gip fa proprie, ritrascrivendole, le motivazioni che sono alla base delle richieste del P.M. ed accenna -sinteticamente – agli indizi che giustificano le misure applicate.

Pertanto non può trovare applicazione il principio di diritto invocato dalla difesa ricorrente secondo cui:

"L’ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere è nulla qualora sia motivata con esclusivo e integrale riferimento ad altro atto del procedimento e tale atto non sia trascritto nell’ordinanza o non sia notificato unitamente ad essa.

L’ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere è nulla qualora sia motivata con esclusivo e integrale riferimento ad altro atto del procedimento e tale atto non sia trascritto nell’ordinanza o non sia notificato unitamente ad essa" (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 21321 del 20/04/2010 Cc. (dep. 04/06/2010) Rv. 247307).

Nel caso di specie, infatti, non ricorre nessuna delle due circostanze richiamate, in quanto l’ordinanza non è motivata con esclusivo ed integrale riferimento ad altro atto del procedimento e per giunta gli atti in questione sono stati ritrascritti nel provvedimento. Pertanto legittimamente il Tribunale per il riesame ha provveduto a rintegrare la motivazione dell’ordinanza impositiva rimediando ai vizi della stessa attraverso una più concreta esposizione degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, ai sensi dell’art. 292 c.p.p., comma 1, lett. c).

3. Ugualmente infondata è la censura di assenza di motivazione in ordine alla sussistenza del reato associativo. Al riguardo il provvedimento impugnato (fol. 13 e 14) fornisce una specifica, analitica e dettagliata motivazione in ordine alla sussistenza degli estremi fattuali che giustificano la configurazione del delitto di associazione contestato alla ricorrente ed agli altri indagati.

Tale motivazione è coerente con i principi di diritto ripetutamente affermati da questa Corte in punto di configurabilità del reato associativo ed è priva di vizi logico-giuridici, come tale incensurabile in questa sede.

4. E’ infondata l’eccezione di incompatibilità fra il reato associativo ed il reato di riciclaggio dei proventi illeciti derivanti dalle truffe poste in essere, reati fine, rispetto allo scopo dell’associazione. E’ stato già rilevato da questa Sezione che: "tra il delitto di riciclaggio e quello di associazione per delinquere non vi è alcun rapporto di "presupposizione", sicchè non opera la causa di esclusione con cui esordisce l’art. 648 bis c.p. relativa a chi abbia concorso nel reato. Ne consegue che il partecipe al sodalizio criminoso risponde anche del reato di riciclaggio dei beni acquisiti attraverso la realizzazione dei reati fine dell’associazione" (Cass.Sez. 2, Sentenza n. 40793 del 23/09/2005 Ud.

(dep. 09/11/2005) Rv. 232524). Nel caso di specie i proventi illeciti che la ricorrente provvedeva ad occultare, attraverso le operazioni finanziarie dettagliatamente descritte nel provvedimento impugnato, derivano tutti dai finanziamenti illeciti ottenuti mediante le domande di finanziamento presentate ai sensi della L. Sabatini dalle ditte che falsamente rappresentavano di aver acquistato beni strumentali. Pertanto nella fattispecie il reato presupposto è quello di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 641 bis), che non risulta contestato a M. D..

5. Per quanto riguarda l’eccezione di inammissibilità delle dichiarazioni rese da F. ed altri soggetti – tutti coindagati – la censura è inammissibile in quanto è palesemente aspecifica dal momento che non vengono indicati nè i soggetti dei quali si contesta l’utilizzabilità delle dichiarazioni, nè i verbali dai quali risulterebbero le dichiarazioni indizianti assunte senza la garanzia della difesa. Di conseguenza il motivo è inammissibile, ai sensi dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c) in relazione all’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c).

6. Infine, essendo cessata l’applicazione della misura cautelare per decorso dei termini, sono divenute inammissibili le ulteriori questioni sollevate in punto di pericolosità sociale.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, chi lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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