Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 30-09-2011, n. 20108 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Giudice del lavoro del Tribunale di Pistoia, in accoglimento della domanda proposta da B.P. nei confronti della s.p.a.

Poste Italiane, dichiarava la nullità del termine apposto al contratto di lavoro concluso il 25 1-2001 per "esigenze di carattere straordinario …" ex art. 25 del ccnl del 2001, per il periodo 1/2/2001/31-5-2001, con conseguente sussistenza di un rapporto a tempo indeterminato dal 1-2-2001, e condannava la società al pagamento della retribuzione a decorrere dal 30-3-2004.

La società proponeva appello chiedendo la riforma della pronuncia di primo grado con il rigetto della domanda di controparte.

Il B. si costituiva resistendo al gravame e proponendo appello incidentale condizionato per la declaratoria della nullità del termine apposto ai contratti successivi (decorrenti dal 2-5-2002, dal 1-7-2003 e dal 17-1-2004).

La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza depositata il 28-9-2006, confermava la pronuncia di primo grado.

Per la cassazione della detta sentenza la società ha proposto ricorso con due motivi.

Il B. ha resistito con controricorso.

Infine la società ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione

Con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione dell’art. 1362 c.c., e segg., con riferimento all’art. 25 ccnl 2001, commi 3 e 4, lamenta la erroneità del calcolo, operato dalla Corte di merito, della percentuale dei lavoratori che possono essere assunti a tempo determinato ai sensi della citata norma collettiva. in particolare la ricorrente assume che il detto calcolo doveva essere effettuato non meramente per "teste", bensì avendo riguardo in sostanza ai rapporti "full-time", così considerando pro quota i contratti "part-time" in rapporto alla durata percentuale e al periodo di tempo preso in esame.

La ricorrente, inoltre, deduce che comunque "non è prevista alcuna effettiva sanzione in ipotesi di violazione dei limiti di contingentamento fissati dalla norma collettiva".

Il motivo è inammissibile, in quanto trattasi di questioni nuove, involgenti temi di indagine nuovi, richiedenti nuovi accertamenti di fatto, i quali non sono stati oggetto del giudizio di merito.

Al riguardo questa Corte ha ripetutamente affermato che "nel giudizio di cassazione è preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni di diritto o nuovi temi di contestazione che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito, a meno che tali questioni o temi non abbiano formato oggetto di gravame o di tempestiva e rituale contestazione nel giudizio di appello" (v. Cass. 16-8-2004 n. 15950, Cass. 27-8-2003 n. 12571, Cass. 5-7-2002 n. 9812. Cass. 9-12-1999 n. 13819). Nel contempo è stato anche precisato che "nel caso in cui una determinata questione giuridica, che implichi un accertamento di fatto, non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, indicando altresì in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, così da permettere alla Corte di Cassazione di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa" (v.

Cass. 15-2-2003 n. 2331. Cass. 12-7-2005 n. 14590, 12-7-2005 n. 14599. Cass. 28-7-2008 n. 20518).

Nulla avendo indicato al riguardo la ricorrente, il motivo non può che ritenersi inammissibile.

Peraltro è evidente anche la estraneità ed inconferenza del motivo stesso rispetto al decisum della sentenza impugnata, incentrato sulla mancata prova, da parte del datore di lavoro, del rispetto della clausola di contingentamento, per la insufficienza della documentazione offerta, riguardante la "intenzione di dare luogo alle assunzioni numericamente indicate in dettaglio nei prospetti allegati alla missiva inviata alle oo.ss.", senza, "tuttavia, alcuna indicazione di quanto sia stato concretamente realizzato dalla società a seguito della manifestata intenzione".

Con il secondo motivo, la società, denunciando violazione dell’art. 2697 c.c., artt. 421 e 437 c.p.c., e vizio di motivazione, censura la detta statuizione, sostenendo che incombeva sulla lavoratrice, che assumeva il mancato rispetto della quota numerica prevista dal ccnl, la prova delle ragioni della dedotta illegittimità della apposizione del termine e che, comunque i giudici di merito avevano il potere dovere di provvedere d’ufficio agli atti istruttori idonei a superrare l’incertezza sui fatti costitutivi dei diritti in contestazione".

La prima censura è infondata in quanto, come è stato affermato da questa Corte e va qui ribadito, "nel regime di cui alla L. 28 febbraio 1987, n. 56, la facoltà delle organizzazioni sindacali di individuare ulteriori ipotesi di legittima apposizione del termine al contratto di lavoro è subordinata dall’art. 23 alla determinazione delle percentuali di lavoratori che possono essere assunti con contratto a termine sul totale dei dipendenti; pertanto, non è sufficiente l’indicazione del numero massimo di contratti a termine, occorrendo altresì, a garanzia di trasparenza ed a pena di invalidità dell’apposizione del termine nei contratti stipulati in base all’ipotesi individuata ex art. 23 citato, l’indicazione de numero dei lavoratori assunti a tempo indeterminato, sì da potersi criticare il rapporto percentuale tra lavoratori stabili e a termine.

L’onere della prova dell’osservanza di detto rapporto è a carico del datore di lavoro, in base alle regole di cui alla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 3, secondo cui incombe al datore di lavoro dimostrare l’obiettiva esistenza delle condizioni che giustificano l’apposizione di un termine al contratto di lavoro" (v. Cass. 19-1-2010 n. 839).

Neppure, poi, può essere accolta la seconda censura.

L’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio, come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (v. Cass. S.U. 17-6-2004 n. 11353) -non è meramente discrezionale, ma si presenta come un potere-dovere, sicchè il giudice del lavoro non può limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale del giudizio fondata sull’onere della prova, avendo l’obbligo – in ossequio a quanto prescritto dall’art. 134 cod. proc. civ., ed al disposto di cui all’art. 11 Cost., comma 1, sul "giusto processo regolato dalla legge" – di esplicitare le ragioni per le quali reputi di far ricorso all’uso dei poteri istruttori o, nonostante la specifica richiesta di una delle parti, ritenga, invece, di non farvi ricorso".

In particolare è stato altresì precisato che il mancato esercizio da parte del giudice dei poteri ufficiosi ex art. 421 c.p.c., preordinato al superamento di una meccanica applicazione della regola di giudizio fondata sull’onere della prova, non è censurabile con ricorso per cassazione ove la parte non abbia investito lo stesso giudice di una specifica richiesta in tal senso, indicando anche i relativi mezzi istruttori" (v. Cass. 12-3-2009 n. 6023, Cass. 26/6/2006 n. 14731) e che, comunque, i detti poteri, "pur diretti alla ricerca della verità, in considerazione della particolare natura dei diritti controversi – non possono sopperire alle carenze probatorie delle parti, nè tradursi in poteri d’indagine e di acquisizione del tipo di quelli propri del procedimento penale" (cfr.

Cass. 8-8-2002 n. 12002, Cass. 21-5-2009 n. 11847, Cass. 22-7-2009 n. 17102, Cass. 15-3-2010 n. 6205).

Orbene nella fattispecie la ricorrente, senza fornire alcuna indicazione in ordine alle richieste avanzate davanti ai giudici di merito, in sostanza si è limitata a dedurre genericamente che i detti giudici avrebbero dovuto "almeno disporre una consulenza contabile di ufficio".

La censura risulta quindi inammissibile, tanto più se si considera che la c.t.u. "è mezzo istruttorio (e non una prova vera e propria) sottratto alla disponibilità delle parti ed affidato al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario giudiziario e la motivazione dell’eventuale diniego può anche essere implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato" (v. Cass. 2-3-2006 n. 4660, Cass. 5-7-2007 n. 15219, Cass. 21-4-2010 n. 9461).

Il ricorso va pertanto respinto non essendo stata, peraltro, avanzata alcuna altra censura, che riguardi in qualche modo le conseguenze economiche della dichiarazione di nullità della clausola appositiva de termine ed il capo relativo al risarcimento del danno.

Al riguardo, osserva il Collegio che, con la memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., la società ricorrente, invoca, in via subordinata, l’applicazione dello ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7, in vigore dal 24 novembre 2010.

Orbene, a prescindere da ogni altra considerazione, va premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070).

Tale condizione non sussiste nella fattispecie.

Infine la ricorrente va condannata al pagamento delle spese in favore del B..
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare al B. le spese, liquidate in Euro 40,00 oltre Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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