Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 12-05-2011) 27-05-2011, n. 21362 Scriminanti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ilità del ricorso.
Svolgimento del processo

1. C.A. ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Catanzaro, del 9 luglio 2009, che ne ha ribadito la responsabilità, affermata con sentenza del Tribunale di Paola, del 15 gennaio 2008, per il delitto di calunnia, commesso in danno di G. e R.L., costituitisi parti civili, accusati di averlo ingiuriato e minacciato con una pistola e percosso. Ha ancora confermato il trattamento sanzionatorio.

2. Il ricorrente deduce che, in violazione dell’art. 51 c.p., non sia stata riconosciuto che la menzogna in ordine allo svolgimento dei fatti costituiva l’unico modo di apprestare una valida difesa, rispetto al contesto della aggressione condotta in danno del suo vicino R.G.. In pratica sostiene che egli non aveva che questa unica alternativa della falsa accusa, per contestare le avverse posizioni, posto che altrimenti egli avrebbe o dovuto ammettere la sua responsabilità o astenersi dal rendere dichiarazioni, comportamenti entrambi che, in concreto, lo avrebbero privato dello jus defendendi.

3. Con un secondo motivo, reitera la doglianza in punto di pena e con un terzo denuncia illogicità e contraddittorietà della motivazione, con cui è stato riconosciuto il diritto dei calunniati ai danni, che non possono essere identificati, come ritenuto dai giudici di merito, nell’essere stata della calunnia oggetto di diffusione a mezzo stampa, condotta non direttamente imputabile ad esso denunciante.
Motivi della decisione

1. L’impugnazione è infondata e va rigettata.

2. In ordine al primo motivo di gravame, è da ribadire che il principio di diritto, per cui, nel corso del procedimento instaurato a suo carico, l’imputato può negare, anche mentendo, la verità delle dichiarazioni a lui sfavorevoli ed in tal caso l’accusa di calunnia implicita in tale condotta, integra legittimo esercizio del diritto di difesa e si sottrae perciò alla sfera di punibilità penale in applicazione della causa di giustificazione prevista dall’art. 51 c.p.. – subisce una limitazione allorchè, travalicando il rigoroso rapporto funzionale tra tale sua condotta e la confutazione dell’imputazione, non si limiti a ribadire la insussistenza delle accuse a suo carico, ma rivolga all’accusatore, di cui conosce l’innocenza, accuse specifiche, tali da determinare la possibilità dell’inizio di un’indagine penale nei suoi confronti;

questa condotta si pone al di fuori del mero esercizio del diritto di difesa e si realizzano, a carico dell’agente, tutti gli elementi costitutivi del delitto di calunnia.

3. Tale è l’ipotesi verificatasi nel caso in esame ed analizzata dai giudici di merito, che hanno individuato il travalicamento del legittimo esercizio di difesa nell1 esplicito addebito, non già della falsità della versione delle persone offese, ma nella attribuzione a costoro di una condotta di lesioni, di gravi minacce con un arma, in realtà mai realizzate dal suo contraddittore.

I giudici di appello hanno sottolineato, con logica esposizione, che la strategia difensiva adottabile legittimamente era ben altra, quale ad esempio la reciprocità delle offese o la provocazione, ma non certo l’invenzione di una brutale aggressione nei suoi confronti.

4. Pertanto, la motivazione sul punto è ineccepibile e le lagnanze sul punto del tutto erronee, fondate su un personale convincimento dell’ius defendendi, tanto esteso da consentire anche l’annichilimento dell’avversario e quindi del tutto estraneo al perimetro oggettivo della scriminante invocata.

5. Il motivo concernente la determinazione della pena è parimenti infondato, posto che la corte, la cui valutazione di merito è in questa sede insindacabile, ha enunciato con chiarezza ed in relazione a dati concreti, costituiti dai precedenti penali specifici, attestanti la personalità violenta dell’imputato, i motivi che escludevano la concessione delle invocate generiche.

6. E’ peraltro pacifico che il richiedente deve indicare quali specifici elementi supportino la sua richiesta, nella specie affatto enunciati dal C..

7. In ultimo, non può trovare accoglimento la doglianza concernente il risarcimento dei danni. Invero, in punto di motivazione, è da smentire che il giudice abbia collegato la refusione al pregiudizio derivante dalla pubblicazione sui quotidiani delle accuse calunniose del C., ossia ad una condotta a costui estranea.

8. Invero, il collegamento ex art. 2043 c.c. è stato correttamente individuato nel fatto della falsa accusa e la pubblicazione della stessa è stata considerata uno degli indici per la valutazione equitativa del pretium doloris: tutto ciò smentisce la lagnanza, che individua una contraddizione nella motivazione del tutto inesistente, laddove invece i giudici di merito si sono strettamente attenuti ai principi in tema di violazione del neminem ledere.

9. In conseguenza del rigetto, il ricorrente è da condannare al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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