Cass. pen., sez. V 25-11-2008 (06-11-2008), n. 44045 Sindrome ansiosa depressiva – Causa di esclusione dell’imputabilità – Inconfigurabilità.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

OSSERVA
R.A. è stato condannato dalla Corte di Assise di Locri con sentenza n. 1 del 2002, confermata dalla Corte di Appello di Reggio Calabria, divenuta definitiva il 10 ottobre 2005, alla pena di anni sedici e mesi sei di reclusione per il delitto di cui all’art. 584 c.p., e art. 577 c.p., c..
Il R., tramite il suo difensore di fiducia, ha presentato istanza di revisione della citata sentenza adducendo che, come emergeva dai documenti clinici prodotti e dalla consulenza di parte pure allegata, all’epoca dei fatti era incapace di intendere e di volere e che tale incapacità si era protratta per tutto il tempo del processo.
Con ordinanza emessa in data 28 novembre 2007 la Corte di Appello di Catanzaro dichiarava inammissibile l’istanza di revisione sia perchè la consulenza di parte non poteva essere considerata una prova nuova, sia perchè la stessa esprimeva soltanto un giudizio probabilistico in ordine alla non imputabilità del R..
Dai documenti clinici, inoltre, si desumeva soltanto che il R. era stato affetto da una sindrome ansiosa depressiva.
Con il ricorso per cassazione R.C. ha dedotto la violazione del combinato disposto dell’art. 629 c.p.p., art. 630 c.p.p., comma 1, lett. c), artt. 631 e 634 c.p.p. per erronea applicazione della disciplina processuale dell’istituto della revisione e per contraddittorietà e manifesta illogicità di motivazione sul punto.
I motivi posti a sostegno del ricorso proposto da R.A. sono manifestamente infondati.
E’ necessario in primo luogo osservare che la consulenza di parte non può essere considerata prova ai sensi e per gli effetti previsti dall’art. 630 c.p.p., lett. c).
La consulenza di parte non è altro che la esposizione al giudice del proprio parere tecnico, come precisato dall’art. 223 c.p.p..
Non può, pertanto, la istanza di revisione fondarsi su una consulenza tecnica di parte.
Del resto la Suprema Corte ha messo in dubbio che anche la perizia disposta dal Giudice, prova ai sensi degli artt. 220 – 223 c.p.p., possa legittimare una istanza di revisione (vedi Cass., Sez. 1, penale, 28 marzo 1995 – 2 maggio 1995, n. 1856), ammissibile soltanto, secondo la più recente giurisprudenza, quando sia fondata su nuove acquisizioni scientifiche idonee di per sè a superare i criteri adottati in precedenza (vedi Cass., Sez. 1, penale, 9 marzo 2005 – 2 maggio 2005, n. 16455, CED 231579).
Ma anche a volere superare tale impostazione va detto che, come chiarito dalla Corte di merito, nel caso di specie il consulente di parte ha espresso una valutazione probabilistica in relazione allo stato di mente dell’imputato all’epoca dei fatti sui quali è stato giudicato.
Orbene la mera possibilità che il condannato si sia trovato all’epoca dei fatti in tale stato di mente da escludere la sua capacità di intendere e volere, non può essere posta a fondamento di una istanza di revisione, perchè un giudizio peritale espresso in termini probabilistici non rende evidente che il condannato debba essere assolto perchè persona non imputabile (vedi Cass., Sez. 6, penale, 17 giugno 1983-2 luglio 1983, Milillo; Cass. 16 dicembre 1987, Bruno).
Inoltre – hanno rilevato i giudici di appello – la malattia indicata dal consulente di parte non appare una infermità mentale in senso patologico tale da dover far ritenere l’assenza di imputabilità (vedi Cass., Sez. 1, penale, 25 marzo 2004 – 9 aprile 2004, n. 16940, CED 227926).
Quanto ai documenti clinici allegati è appena il caso di notare che, come messo in evidenza nel provvedimento impugnato, dagli stessi è emerso uno stato ansioso depressivo che, per quanto detto, non determina assenza di imputabilità (vedi Cass., Sez. 1, penale, 15 novembre 1988, n. 11061).
Da quanto detto emerge che nessuna censura sotto il profilo della legittimità può essere mossa alla motivazione del provvedimento impugnato e che la Corte di merito correttamente non ha instaurato la fase del contraddittorio, provvedendo ai sensi dell’art. 634 c.p.p., comma 1, apparendo ictu oculi la manifesta infondatezza della istanza di revisione, nel senso che non apparivano necessari ulteriori accertamenti ed approfondimenti.
Per le ragioni indicate il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato a pagare le spese del procedimento ed a versare la somma, liquidata in via equitativa, in ragione dei motivi dedotti, di Euro 1.500,00 alla Cassa delle ammende.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese del procedimento ed a versare la somma di Euro 1.500,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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