Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 05-05-2011) 27-05-2011, n. 21355

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

lgimento del processo

1. R.R.R.C. propone ricorso avverso la sentenza del 26/06/2008 della Corte d’appello di Milano, con la quale è stata confermata la sua condanna per il delitto di favoreggiamento personale, individuato nell’azione realizzata dall’odierno ricorrente, costituita dal passare dall’abitazione di tale S., ricercato per il delitto di tentato omicidio, a rilevare i suoi effetti personali, tenendo con questi contatti.

Con il primo motivo si eccepisce nullità della sentenza, per erronea applicazione degli artt. 56 e 378 c.p., nonchè per mancanza ed illogicità della motivazione, nella parte in cui ha valorizzato il comportamento tenuto dal ricorrente, costituito dal recarsi nell’abitazione del ricercato, senza sottoporre a verifica l’assunto che tale non fosse che una sua autonoma iniziativa, come era stato prospettato e non smentito dai fatti, poichè non risultava accertato che l’abitazione ove R. si era recato fosse di uso esclusivo del ricercato, e che non sussistesse diversa motivazione della presenza dell’odierno ricorrente in quel luogo.

Si richiamano quindi le deduzioni di fatto contenute in appello circa la diversa motivazione della presenza in casa del ricorrente, oltre che l’irrilevanza delle pretese cautele da questi predisposte nel salire nell’alloggio, che potevano giustificarsi in altri modi, nonchè la deduzione puramente ipotetica sulla necessità che l’azione fosse svolta per recuperare chiavi e documenti del ricercato, non reperiti nel corso della perquisizione, la cui assenza poneva un problema di configurazione del tentativo o del reato impossibile.

Si contesta inoltre l’interpretazione fornita dal giudice alle affermazioni svolte dal ricorrente al telefono con il preteso favorito, mentre era nell’alloggio in compagnia degli agenti ivi appostati, in ogni caso lamentando l’irrilevanza di tale azione al fine di favorire il S..

Si ritiene inoltre che il comportamento contestato non implichi violazione del precetto penale, non essendovi un obbligo di collaborazione del cittadino; non è stato considerato l’interesse primario di R. di difendersi da possibili accuse; è stata attribuita valenza alla frase da lui pronunciata al telefono, dinanzi agli agenti, di lasciare perdere, dinanzi ai propositi di S. di presentarsi alla Polizia, senza valutarne da un canto la natura rivelatrice della buona fede, dall’altro l’irrilevanza della condotta rispetto a risultati efficaci per l’amico per sottrarsi alle investigazioni; manca in ogni caso la valorizzazione del nesso causale tra le condotte del ricorrente e la sottrazione del ricercato alle investigazioni.

2. Con il secondo motivo si lamenta vizio di cui all’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in riferimento all’esclusione delle attenuanti generiche, al riconoscimento della recidiva ed al giudizio di comparazione, lamentando l’inadeguatezza della pena determinata alla luce dei criteri di cui all’art. 133 c.p. e costituzionali.

Contrariamente all’assunto contenuto in motivazione la difesa nell’appello aveva prospettato elementi di fatto che giustificano il riconoscimento delle attenuanti generiche, quali la risalente amicizia con il preteso favorito, situazione in riferimento alla quale il giudice del gravame si era limitato ad una valutazione di inadeguatezza delle circostanze esposte e non aveva sottoposto ad analisi, come invece richiesto dalla giurisprudenza, tutti gli elementi indicativi di una minore gravità dei fatti.

Analogo vizio attiene all’aumento di pena per la recidiva, determinata nella misura di due terzi, senza rilevare che si tratta di recidiva facoltativa e che, in senso contrario rispetto all’adeguatezza dell’aumento, intervengono le stesse situazioni di fatto valorizzate dalla Corte per giustificare una rideterminazione, in senso più favorevole di quanto avvenuto in primo grado, della sanzione.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile. In ordine al primo motivo il ricorrente ripropone le medesime questioni in diritto già sottoposte al giudice d’appello, senza confrontarsi con la motivazione con la quale tale giudice è giunto a respingere i motivi di gravame.

In particolare, nel contestare la responsabilità per il reato di favoreggiamento si ignorano le risultanze probatorie che, grazie alle intercettazioni, hanno consentito di escludere la fondatezza della versione dei fatti che offre il ricorrente, e relativa ad un suo interesse personale nella presenza nell’alloggio, contrastata dalla costante monitorizzazione della sua attività a cura del mandante, indagato per omicidio, e la cui fuga R. stava agevolando, attività di cui è dato pienamente conto nella pronuncia impugnata.

In particolare la sentenza coerentemente ed esaustivamente motivata, pone in luce l’attività realizzata in favore del coimputato in primo grado, e succedutasi anche all’accesso nell’abitazione di questi ed al controllo delle forze dell’ordine, con ciò smentendo in fatto la versione riduttiva offerta dalla difesa, e volta a prospettare la verificazione, a tutto concedere, di un tentativo di favoreggiamento.

Anche il rilievo in fatto che postula la mancanza di prove sull’essenzialità dell’attività di R. per favorire la latitanza del S., volutamente ignora la conversazione telefonica, riportata in sentenza, sulla base della quale S., parlando con un amico dopo i controlli subiti dall’odierno ricorrente, da conto del fallito tentativo di ritirare i documenti dall’alloggio, e della necessità di attribuire l’incarico ad altri;

tale circostanza permette di escludere la fondatezza in diritto della prospettazione del ed reato impossibile, per l’inutilità dell’azione contestata all’imputato, ai fini di favorire S., che in ogni caso, come si evince dall’ampiezza del capo di imputazione, riguarda anche le informazioni a questi fornite.

D’altro canto è del tutto pacifico che la natura del reato contestato sia quello di reato di pericolo, inquadramento che prevede la consumazione anticipata e prescinde dalla realizzazione dell’esito avuto di mira dall’agente, perfezionandosi solo con lo svolgimento dell’attività potenzialmente idonea a ottenere lo scopo di aiutare terzi ad eludere l’investigazione, attività pienamente, e reiterata mente posta in essere dal prevenuto, come è agevole ricavare in base agli accertamenti di fatto analiticamente riportati nella pronuncia impugnata.

2. Riguardo alla contestazione di difetto di motivazione relativa alla richiesta di riconoscimento delle attenuanti generiche è bene rimarcare, vertendosi in ambito di esercizio della discrezionalità del giudice per adeguare la pena alla particolare situazione di fatto, come valutata oggettivamente e soggettivamente, che il suo oggetto attiene all’indicazione compiuta delle ragioni che hanno condotto il giudicante alla specifica quantificazione, e non deve involgere tutti i diversi elementi di fatto offerti dalla difesa, ben potendo gli stessi essere di fatto superati dalle opposte indicazioni contenute in sentenza (Sez. 6, Sentenza n. 34364 del 16/06/2010, dep.23/09/2010, imp. Giovane, Rv. 248244); nella specie la pronuncia, in senso diverso, ha valorizzato sia le circostanze di fatto, che escludevano la versione riduttiva offerta dalla difesa, che i numerosi precedenti risultanti a carico dell’imputato, valutando impossibile, in forza di tali elementi oggettivi e soggettivi, accedere all’istanza di concessione del beneficio; tale valutazione appare congrua, anche in ragione della genericità delle motivazioni addotte a sostegno dell’opposta richiesta; ciò consente di valutare la pronuncia sul punto esente da vizi.

3. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p. la condanna al pagamento delle spese processuali, nonchè di una somma in favore della cassa delle ammende, determinata come in dispositivo.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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