T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 27-05-2011, n. 780

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato il 15.1.2008 e depositato presso la Segreteria della Sezione il 12.2.2008, Immobiliare P &B di P.G. & C. S.A.S (già E.E. S.N.C.) ha impugnato il provvedimento del Comune di Adro di rigetto dell’istanza di permesso di costruire – avente ad oggetto la realizzazione di una nuova costruzione di deposito e stoccaggio materiali edili – presentato il 15 giugno 2007. Con il medesimo gravame, in via cumulativa, la medesima società ha proposto: a) azione di accertamento dell’intervenuta scadenza – per decorrenza del termine quinquennale – del vincolo espropriativo imposto sul fondo di proprietà con il PRG comunale del 1992, nonché la conseguente applicazione al medesimo terreno del regime urbanistico proprio delle cosiddette "zone bianche"; b) domanda di condanna dell’amministrazione comunale al pagamento del risarcimento del danno ingiusto patito dalla ricorrente e/o, comunque, al pagamento dell’indennizzo dovuto in forza della disciplina legislativa vigente, per la mancata destinazione urbanistica impressa all’area ad esito della decadenza del precedente vincolo.

La ricorrenti articola le seguenti doglianze:

1) Violazione e falsa applicazione art.10 bis legge 241/90. Eccesso di potere per travisamento di fatti e dei presupposti di diritto, per contraddittorietà con precedenti provvedimenti (nota 7.8.2007). Violazione legge 241/90 (articolo 10 bis, articolo 2). Difetto di motivazione.

Il provvedimento impugnato di rigetto si è limitato a richiamare il preavviso di rigetto (definito come "il diniego emanato in data 7 agosto 2007") confermandone il contenuto, senza esaminare le argomentazioni svolte dall’odierna ricorrente, in tal modo palesemente violando la finalità dell’art. 10 bis.

2) Violazione di legge (art. 9 D.P.R. 380/2001). Eccesso di potere per travisamento dei fatti. Carenza di istruttoria e difetto di motivazione.

Si contesta la fondatezza delle regioni ostative opposte, evidenziando che: a) l’art. 49 della LR 51/75 è stato abrogato sin dal 2006, b) in forza dell’art. 9 del DPR 380/01, in zona bianca quale è quella in questione, è possibile realizzare una superficie coperta pari a 1/10 dell’area di proprietà;

3) Sull’obbligo dell’amministrazione di attribuire una destinazione urbanistica all’ area.

Si evidenzia che l’Amministrazione aveva l’obbligo giuridico di provvedere, una volta decaduto il vincolo espropriativo, ad attribuire una nuova disciplina urbanistica all’area.

4) Sulla domanda risarcitoria.

Oltre che all’indennizzo si fa riferimento alla sussistenza di un danno ingiusto risarcibile ex art. 2043 c.c. per non avere l’amministrazione attribuito una nuova destinazione urbanistica all’area.

Muovendo dall’affermazione che – in relazione alla destinazione propria delle zone contermini – questa sarebbe dovuta essere produttiva/artigianale, si afferma sussistere un incremento di valore dal 1997, pari a 500.000 euro, come risultante da perizia di parte prodotta in corso di giudizio.

Si è costituito in giudizio l’intimato Comune di Adro, chiedendo il rigetto del gravame.

Alla pubblica udienza del 15.12.2010 il Collegio ha evidenziato ex art. 73, c. 3 del c.p.a. le seguenti possibili questioni d’inammissibilità rilevabili d’ufficio:

1) la domanda di accertamento del diritto alla attribuzione di una specifica destinazione urbanistica dell’area su cui era posto il vincolo decaduto potrebbe essere inammissibile, posto che non è stata proposta come art. 21 bis sul silenzio (ora art. 31 e 117 del cod. proc. amm.);

2) la domanda di accertamento del diritto all’indennizzo potrebbe essere dichiarata inammissibile per difetto di giurisdizione del GA ed inesistenza del presupposto della reiterazione del vincolo;

3) la domanda di risarcimento del danno da mancata attribuzione della zonizzzazione richiesta potrebbe essere dichiarata inammissibile per difetto di giurisdizione del GA.

A seguito di tali rilievi, il legale della ricorrente ha richiesto un rinvio ad altra udienza per poter controbattere.

E’ stato quindi accordato il rinvio all’udienza del 26.1.2011. A detta udienza è stato poi disposto, per ragioni d’ufficio, il rinvio all’udienza del 20.4.2011.

Alla pubblica udienza del 20.4.2011, il legale della ricorrente ha (con note d’udienza) replicato alle predette eccezioni d’ufficio, osservando:

a) la domanda di accertamento del diritto all’attribuzione di una destinazione urbanistica del fondo è una domanda incidentale conseguente a quella principale (annullamento del diniego formatosi sull’istanza di permesso costruire) e prodromica alla domanda di condanna dell’amministrazione ad imprimere una nuova destinazione all’area.

b) sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’articolo 133 lett. F del codice processo amministrativo e, in presenza di vincolo di fatto di durata indeterminata, può prescindersi dalla mancata reiterazione formale del vincolo.

C) sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice in tema di domande di risarcimento conseguenti a violazione di norme e principi urbanistici.

All’esito della pubblica udienza del 20.4.2011 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
Motivi della decisione

L’odierna ricorrente – Immobiliare P &B di P.G. & C. S.A.S – rappresenta quanto segue:

1) di essere sorta dalla trasformazione societaria con modifica della ragione sociale della precedente società, esistente fra i medesimi soci, denominata Euromercato edile SNC (cfr. l’atto in data 17.2.2005, di trasformazione di società in nome collettivo in società in accomandita semplice, a rogito del notaio Dott. Lera di Brescia, prodotto come doc. 2 del relativo fascicolo);

2) di essere proprietaria – in forza di atto di acquisto del 1998 (cfr. il doc. n. 2) – di un terreno in comune di Adro, frazione Torbiato, censito al mappale 42, foglio 28, del censuario di Adro, di superficie pari a mq. 4540, classificato dal P.R.G. del 1995 (approvato dalla Regione Lombardia il 5.8.1992) come "zona SP – attrezzature e servizi pubblici";

3) che Euromercato edile SNC aveva richiesto, con istanza del 31.12.2001 (cfr. il doc. n. 3), al Comune che venisse dichiarata la decadenza del vincolo suddetto per decorrenza del quinquennio, ai sensi di quanto disposto dall’art. 2 L. n. 1187 del 1968 recante modifiche alla L. 17.8.1942 n. 1150;

4) che l’Amministrazione comunale, con atto in data 15.1.2002, si era limitata a prendere atto dell’istanza senza tuttavia disporre alcunché (doc. 4);

5) che successivamente Euromercato edile SNC aveva nuovamente richiesto al Comune – con istanze in data 22.3.2003 e 12.10.2004 (cfr. i doc. 5 e 6) – che venisse dichiarata la decadenza del vincolo e si procedesse al nuovo azzonamento urbanistico del lotto, in conformità alla destinazione media di zona, come artigianale;

6) che il Comune – con note del 8.5.2003 e del 19.10.2004 (cfr. i doc. n. 7 e 8) – si era limitato a rappresentare che le istanze sarebbero state prese in considerazione in occasione dell’apprestamento di prossime varianti al PRG;

7) che Immobiliare P &B di P.G. & C. S.A.S. – in data 15.6.2007 – presentava istanza di permesso di costruire per la realizzazione di una nuova costruzione per deposito e stoccaggio materiali edili (cfr. il doc. n. 9);

8) che il Comune di Adro – con nota 7.8.2007 (cfr. il doc. n. 11) – inviava preavviso di rigetto, rilevando che: 1) l’area con vincolo scaduto è equiparabile all’area bianca priva di strumentazione urbanistica e destinazione funzionale, 2) ai sensi della L.R. 51/75 nelle aree prive di destinazione funzionale sono consentite esclusivamente costruzioni destinate alla sola residenza agricola con un indice non superiore allo 0,03 mc./mq.;.

9) di aver presentato il 10.8.2007 (cfr. doc. n. 12) al Comune un’articolata memoria con cui confutava i suddetti motivi, ma che l’Amministrazione, senza prendere in esame tali argomentazioni, emetteva il diniego definitivo di permesso di costruire in data 15.11.2007.

Con il ricorso all’esame, Immobiliare P &B di P.G. & C. S.A.S (già E.E. S.N.C.) introduce, in via cumulativa, una triplice azione:

a) chiede, in via impugnatoria, l’annullamento del provvedimento del 15 novembre 2007 del Comune di Adro, che ha rigettato l’istanza di rilascio di permesso di costruire – avente ad oggetto la realizzazione di una nuova costruzione di deposito e stoccaggio materiali edili – da essa presentata il 15 giugno 2007;

b) propone azione di accertamento dell’intervenuta scadenza – per decorrenza del termine quinquennale – del vincolo espropriativo imposto sul fondo di proprietà con il PRG comunale del 1992, nonché per la conseguente applicazione al medesimo terreno del regime urbanistico proprio delle cosiddette "zone bianche";

c) chiede la condanna dell’amministrazione comunale al pagamento del risarcimento del danno ingiusto patito dalla ricorrente e/o, comunque, al pagamento dell’indennizzo dovuto in forza della disciplina legislativa vigente, per la mancata destinazione urbanistica impressa all’area ad esito della decadenza del precedente vincolo.

La pluralità di domande proposte non determina di per sé inammissibilità del ricorso posto che ora il cumulo è espressamente previsto dall’art. 32 del c.p.a.

Alla disamina delle suddette domande vanno premesse le seguenti generali considerazioni relativamente alla situazione determinata dalla decadenza del vincolo espropriativo.

I vincoli espropriativi imposti su beni determinati dallo strumento urbanistico hanno, per legge, durata limitata a cinque anni. Alla scadenza, se non è intervenuta dichiarazione di pubblica utilità dell’opera prevista, il vincolo preordinato all’esproprio decade (cfr. l’art. 2 L. n. 1187 del 1968 ed ora l’art. 9 del T.U. delle norme in materia di espropriazione per pubblica utilità, approvato con D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327).

L’Ad. Plen. Cons. St. n. 7 del 2 aprile 1984, ha evidenziato che:

– va escluso che, in seguito alla perdita di efficacia di un vincolo di inedificabilità, riviva la situazione anteriore all’impostazione del vincolo, giacché essa resta definitivamente superata dalla nuova indicazione di piano;

– va pure escluso che i vuoti lasciati nella disciplina urbanistica vadano colmati con l’espansione delle destinazioni impresse alle aree limitrofe;

– nelle zone in cui sia venuto a scadenza un vincolo di inedificabilità è, invece, applicabile l’art. 4, ultimo comma della legge n. 10 del 1977, il quale stabilisce entro quali limiti possa rilasciarsi una "concessione di edificare" nei Comuni sprovvisti degli strumenti urbanistici generali;

– detta norma non si riferisce esclusivamente al caso di Comuni del tutto privi di tali strumenti, ma nella fattispecie in essa contemplata rientra anche l’ipotesi di piani generali che abbiano in parte perduto la loro efficacia;

– la previsione di una facoltà di edificare entro limiti assai rigorosi (0,03 mc/mq e soltanto fuori del perimetro dei centri abitati) risponde all’esigenza di non compromettere, con una intensiva utilizzazione del territorio comunale, ogni possibilità di una futura razionale disciplina urbanistica;

– tale esigenza si avverte a maggior ragione allorché le aree vicine abbiano già ricevuto da un piano una destinazione edificatoria privata, giacché in simili ipotesi la disponibilità complessiva di zone libere in rapporto al territorio comunale è minore rispetto al caso di totale mancanza di strumento urbanistico generale mentre maggiore ne è il fabbisogno, onde è da ritenere necessario, in attesa di nuove determinazioni dell’Amministrazione, un regime dei suoli rimasti privi di destinazione che non precluda definitivamente un razionale assetto urbanistico;

– non può obiettarsi che in tal modo le aree comprese nel perimetro dei centri abitati passino per effetto della caducazione dei vincoli, da un regime di temporanea inedificabilità a un regime di inedificabilità permanente, poiché i Comuni sono obbligati a dotarsi di uno strumento urbanistico generale che copra l’intero territorio, la situazione di inedificabilità conseguente alla sopravvenuta inefficacia di talune destinazioni di piano è per sua natura provvisoria, essendo destinata a durare fino all’obbligatoria integrazione del piano (o del programma di fabbricazione), divenuto parzialmente inoperante.

In applicazione di tali principi, secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza la decadenza dei vincoli urbanistici espropriativi o che, comunque, privano la proprietà del suo valore economico, comporta l’obbligo per il Comune di "reintegrare" la disciplina urbanistica dell’area interessata dal vincolo decaduto con una nuova pianificazione. Ne consegue che il proprietario dell’area interessata può presentare un’istanza, volta a ottenere l’attribuzione di una nuova destinazione urbanistica – così come è avvenuto nel caso in esame – e l’amministrazione è tenuta a esaminarla, anche nel caso in cui la richiesta medesima non sia suscettibile di accoglimento, con l’obbligo di motivare congruamente tale decisione (cfr. Cons. St., Sez. IV, 22 giugno 2004 n. 4426; T.A.R. Campania, Salerno, Sez. I, 3 giugno 2009, n. 2825; T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. III, 25 giugno 2009 n. 1167; Catania, Sez. I, 13 marzo 2008 n. 467; 18 luglio 2006 n. 1183; 21 giugno 2004 n. 1733), fermo restando, naturalmente, il potere discrezionale dell’amministrazione comunale in ordine alla verifica e alla scelta della destinazione, in coerenza con la più generale disciplina del territorio e con l’interesse pubblico al corretto e armonico suo utilizzo (cfr. Cons. St., sez. IV, 8 giugno 2007, n. 3025).

In altri termini, la giurisprudenza amministrativa ha costantemente affermato: a) l’ illegittimità del "silenzio serbato dall’Amministrazione rispetto alla diffida volta ad ottenere l’emanazione degli atti necessari a conferire una nuova destinazione urbanistica all’area dell’istante" (cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 19 maggio 2005 n. 860; T.A.R. Napoli, Sez. VIII, 16 settembre 2008 n. 10204); b) che l’Amministrazione ha l’obbligo di "attribuire una nuova destinazione all’area interessata e, in caso di inerzia, il privato potrà agire in via giurisdizionale mediante gli strumenti previsti contro il silenziorifiuto dall’art. 2, l. n. 205/2000" (cfr. Cons. St., Sez. IV, 28 gennaio 2002 n. 456); c) che l’accoglimento del gravame proposto contro il silenzio rifiuto formatosi su una diffida a provvedere sulla definizione urbanistica di un’area già oggetto di vincolo espropriativi scaduto comporta esclusivamente l’obbligo dell’Amministrazione di provvedere sull’istanza del soggetto interessato e di attribuire all’area una specifica e appropriata destinazione urbanistica" (cfr. T.A.R. Veneto, Sez. I, 12 marzo 2004 n. 639).

In relazione alla questione della tutela risarcitoria, va rilevato (cfr. Cass. Civ., Sez. I, 31 marzo 2008 n. 8384) che:

– la situazione di inedificabilità conseguente alla sopravvenuta inefficacia di talune destinazioni di piano (c.d. vuoto urbanistico) è per sua natura provvisoria, e destinata a durare fino all’obbligatoria integrazione del piano, divenuto parzialmente inoperante; con la conseguenza che l’autorità comunale – ove non reiteri il vincolo (con previsione di indennizzo)- ha l’obbligo di provvedere all’integrazione suddetta stabilendo la nuova destinazione da assegnare all’area;

– la situazione di inerzia della P.A. successivamente alla decadenza quinquennale del vincolo, non è equiparabile alla compressione del diritto dominicale provocata dai vincoli preordinati all’esproprio, nè definibile come espropriazione di valore (Cass. 14333/2003; Cons. St. 5178/2002), attesa la provvisorietà del regime urbanistico caratterizzato dall’applicazione dei limiti di salvaguardia previsti dalla norma in questione per le aree bianche, che, se da un lato non elimina una redditività del fondo diversa dallo sfruttamento edilizio, dall’altro non crea nel proprietario alcuna aspettativa in ordine al conferimento di particolari qualità edificatorie oltre quei limiti, o ancor meno riguardo a possibili lottizzazioni;

– che il proprietario non resta senza tutela a fronte dell’inerzia dell’ente territoriale, ben potendo, ove vi abbia interesse, promuovere gli interventi sostitutivi della Regione oppure reagire alla stessa attraverso la procedura di messa in mora e tipizzazione giurisdizionale del silenzio davanti al giudice amministrativo;

– che solo in caso di persistente inerzia a seguito di questa procedura potrà configurarsi la lesione al bene della vita, identificabile non già nello "ius aedificandi" – attesa l’impossibilità di affidamento del proprietario in merito a specifiche qualificazioni dei suoli nell’esercizio del potere discrezionale inerente alla pianificazione del territorio – bensì nell’interesse alla certezza circa le possibilità di adeguata e razionale utilizzazione della proprietà; di cui va ravvisata lesione risarcibile, alla stregua dei canoni di correttezza e buona fede, nello svolgimento del rapporto qualificato e differenziato tra soggetto pubblico e privato che nasce per effetto della sentenza conclusiva del giudizio di tipizzazione del silenzio (Cass. 11158/1998 cit.; Cons. St. 2107/1999; 621/1997).

In particolare, la Cassazione ha da tempo (cfr. Sez. I, 26 settembre 2003 n. 14333) posto in luce che:

– la protezione che l’interesse individuale, correlato al potere pianificatorio, riceve per la presenza delle regole che disciplinano il corretto esercizio di tale potere, si concretizza solo nell’attribuzione al titolare dell’interesse di strumenti di reazione all’inerzia dell’amministrazione;

– il ritardo dell’amministrazione comunale nell’adozione di una nuova disciplina urbanistica, non è idoneo a compromettere l’interesse al bene della vita, in cui il proprietario riponga le aspettative edificatorie con riguardo al fondo;

– l’esigenza di certezza riguardo all’esplicazione delle facoltà inerenti al diritto dominicale, è peraltro ricavabile dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, quale corollario del fondamentale principio del rispetto dei beni (art. 1, primo periodo, prot. addizionale n. 1), di modo che la durata indeterminabile del vincolo ingenera uno stato di precarietà riguardo al futuro impiego del bene, foriero di squilibri tra l’interesse della comunità e i diritti fondamentali dell’uomo (Corte eur. diritti dall’uomo 2.8.2001, Elia c. Governo Italia; 23.9.1982, Sporrong e Lonnroth c. Governo Svezia);

– l’eventuale profilo di danno che il protrarsi dello stata d’incertezza può arrecare alla sfera soggettiva del proprietario, al di là della mera attribuzione di poteri di reazione procedimentale all’inerzia amministrativa, scaturisce solo all’esito di un accertamento giudiziale dell’inadempimento all’obbligo della ripianificazione, cui il proprietario dall’area dimostri di avere specifico interesse, attivando la procedura di "annullamento del silenzio";

– in virtù della pronuncia si crea nel ricorrente un’aspettativa qualificata ad ottenere una disciplina dell’area, quale che sia, ma comunque idonea a porre fine allo stato di incertezza urbanistica, sicché solo in caso di persistente inerzia successiva alla tipizzazione del silenzio si verifica un fatto lesivo commisurabile agli obblighi di correttezza e buona fede che i nuovi principi in tema di responsabilità amministrativa esigono nel momento in cui si instaura tra cittadino e pubblica amministrazione un contatto qualificato (Cass. 10.1.2003, n. 157).

Fatte queste premesse, il Collegio rileva l’inammissibilità delle domande di cui al capo b) e c) del ricorso.

Infatti, in relazione alla domanda di accertamento (dell’intervenuta scadenza – per decorrenza del termine quinquennale – del vincolo espropriativo imposto sul fondo di proprietà con il PRG comunale del 1992, nonché la conseguente applicazione al medesimo terreno del regime urbanistico proprio delle cosiddette "zone bianche") va osservato che deve escludersi la sussistenza di uno specifico interesse di parte ricorrente a svolgere siffatta domanda, posto che lo stesso Comune di Adro ha riconosciuto tale dato di fatto e l'(astratta) applicabilità – all’area di proprietà della Immobiliare P &B di P.G. & C. S.A.S. – del regime edificatorio di cui all’art. 9 D.P.R. 380/2001 (salvo negare il rilascio del titolo per asserita insussistenza dei presupposti richiesti).

La ricorrente – come è stato evidenziato – ha sì richiesto due volte al Comune di procedere alla riclassificazione dell’area, ma a fronte della risposta negativa ricevuta non ha richiesto alla Regione l’esercizio dei poteri sostitutivi ad essa spettanti, in base alla disciplina legislativa in allora vigente, né proceduto alla tipizzazione del silenzio promuovendo la relativa azione. Nè potrebbe sostenersi che l’azione in questione possa essere considerata come domanda di accertamento del silenzio ex art. 117 c.p.a. (già art. 21 bis L. n. 1034 del 1971) – ai fini di far constare l’inadempimento dell’Amministrazione all’obbligo sulla stessa gravante di procedere all’attribuzione di una specifica destinazione urbanistica dopo la scadenza del vincolo – perché non è questo l’oggetto della domanda, come chiaramente ed inequivocamente espresso nel ricorso e nelle memorie.

La domanda di accertamento di cui alla lett. b) va dunque dichiarata inammissibile.

In relazione alla domanda (di cui al capo c) di condanna dell’amministrazione comunale al pagamento del risarcimento del danno ingiusto patito dalla ricorrente e/o, comunque, al pagamento dell’indennizzo dovuto in forza della disciplina legislativa vigente, per la mancata destinazione urbanistica dell’area dopo la decadenza del precedente vincolo, vanno svolte le seguenti considerazioni.

Va chiarito, innanzi tutto, che non si è in presenza di una reiterazione del vincolo, ma della scadenza del primo vincolo, senza che l’Amministrazione abbia provveduto ad una nuova zonizzazione e senza che la proprietaria dell’area abbia fatto constare – attraverso la specifica procedura ex art. 34 e 117 c.p.a. – l’inadempimento dell’Amministrazione.

In tale contesto, non sussistono quindi i presupposti per l’indennizzo ex art. 39 T.U. sugli espropri, (di cui al D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327), posto che tale disposizione, al c. 2, prevede che l’indennità è dovuta da parte dell’autorità che ha "disposto la reiterazione del vincolo" e che i profili attinenti alla spettanza o meno dell’indennizzo e al suo pagamento non attengono alla legittimità del procedimento, ma riguardano questioni di carattere patrimoniale, che presuppongono la conclusione del procedimento di pianificazione e sono devolute alla cognizione della giurisdizione ordinaria. (cfr. Cons. St., Sez. IV, 6 maggio 2010 n. 2627).

Al riguardo va richiamato anche quanto affermato da Cass. Civ. SS.UU. 19.4.2010 (ord. N. 9302), che ha posto in luce come " il fatto costitutivo del diritto all’indennizzo non è individuabile nell’imposizione originaria di un vincolo di inedificabilità, e neanche nella protrazione di fatto del medesimo dopo la sua decadenza, il relativo obbligo insorgendo in seguito all’atto che formalmente ed esplicitamente lo reitera una volta superato il primo periodo di ordinaria durata temporanea del vincolo, reiterazione non desumibile nel caso di protrazione di fatto dello stesso e neppure per implicito da atti di diniego di domande di autorizzazione lottizzatoria o di concessione (Cass. n. 1754 del 2007 e n. 24099 del 2004)".

In relazione alla richiesta di risarcimento del danno va osservato che, pur sussistendo la giurisdizione del G.A. (cfr. implicitamente Cons. St., IV, 6.11.2009 n. 6936) ne va rilevata l’infondatezza alla luce delle considerazioni svolte dalla Cass. Civ. (cfr. Sez. I n. 14333/2003 e n. 8384/2008 sopra richiamate) che hanno concluso nel senso che solo in caso di persistente inerzia successiva alla tipizzazione del silenzio, potrebbe verificarsi un fatto lesivo commisurabile agli obblighi di correttezza e buona fede che i nuovi principi in tema di responsabilità amministrativa esigono nel momento in cui si instaura tra cittadino e pubblica amministrazione un contatto qualificato (Cass. 10.1.2003, n. 157).

Va ora esaminata la domanda di annullamento del diniego di rilascio di permesso di costruire, avverso la quale la ricorrente formula i primi due motivi di censura.

I due mezzi vanno esaminati congiuntamente

Con il primo motivo si lamenta la violazione dell’art. 10- bis della L. n. 241 del 1990, ponendo in luce come il Comune di Adro, con il provvedimento impugnato, si è limitato a richiamare il preavviso di rigetto (definito come "il diniego emanato in data 7 agosto 2007") confermandone il contenuto, senza neppure esaminare le argomentazioni svolte dall’odierna ricorrente, in tal modo palesemente violando la finalità dell’art. 10 bis.

Con il seconda censura viene contestata la fondatezza delle regioni ostative opposte, evidenziando che: a) l’art. 49 della LR 51/75 è stato abrogato sin dal 2006, b) in forza dell’art. 9 del DPR 380/01 in zona bianca quale è quella in questione, è possibile realizzare una superficie coperta pari a 1/10 dell’area di proprietà.

Le doglianze non hanno fondamento.

Quanto alla prima va rilevato che il provvedimento in tema di rilascio o meno di permesso di costruire ha carattere vincolato, atteso che, ai sensi dell’art. 12, I comma del DPR n. 380/01, esso può essere negato solo per il contrasto con disposizioni di legge, di strumenti urbanistici o di regolamenti edilizi. In tale contesto assume carattere decisivo la valutazione circa la sussistenza dei requisiti per il rilascio del permesso di costruire di cui al secondo motivo.

In relazione alla seconda, va premesso il richiamo all’ art. 9 del D.P.R. 6.6.2001 n. 380, il quale, nel disciplinare l’attività edilizia in assenza di pianificazione urbanistica, dispone che: "1. Salvi i più restrittivi limiti fissati dalle leggi regionali e nel rispetto delle norme previste dal decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, nei comuni sprovvisti di strumenti urbanistici sono consentiti:

a) gli interventi previsti dalle lettere a), b) e c) del primo comma dell’articolo 3 che riguardino singole unità immobiliari o parti di esse;

b) fuori dal perimetro dei centri abitati, gli interventi di nuova edificazione nel limite della densità massima fondiaria di 0,03 metri cubi per metro quadro; in caso di interventi a destinazione produttiva, la superficie coperta non può comunque superare un decimo dell’area di proprietà…."

Come è stato rilevato da un consolidato orientamento del Supremo Consesso amministrativo (cfr. Sez. IV, 23 settembre 2004 n. 6212), la norma in questione alla lett. B) individua due requisiti generali ed autonomi, aventi contenuto eterogeneo, che devono contestualmente concorrere ai fini del rilascio del titolo edilizio. E’ stato infatti osservato, circa la delimitazione dell’ ambito applicativo del precetto sancito dall’art. 9 cit., che va ritenuto insuperabile, a mente dell’art. 12, co. 1, disp. prel. c.c., il tenore testuale della disposizione. Per questa via è stata affermata la legittimità del diniego del permesso di costruire, richiesto per la realizzazione di un insediamento produttivo in "zona bianca" e fuori dal perimetro del centro abitato, che non rispetti il doppio limite previsto dalla citata disposizione, riferito sia alla densità fondiaria, sia alla misura massima della superficie coperta realizzabile (cfr. Cons. St., Sez. IV, 5 febbraio 2009 n. 679; 26 settembre 2008, n. 4661; 19 giugno 2006, n. 3658).

Nel caso di specie è dimostrato che non sussiste tale duplice requisito.

Infatti, dalla tavola n. 5 (prospetti e sezioni) risulta che l’altezza della struttura era prevista in m. 7, calcolata al netto del carro ponte (cfr. il doc. n. 8 dell’Amministrazione).

Il progetto prevedeva quindi di edificare una superficie coperta di mq. 410, inferiore al 10% della superficie del lotto, ed una volumetria (mq. 410 x m. 7 di altezza = mc. 2.870, determinando un indice edificatorio di 0,67 mc/ mq. (mc. 2.870: mq. 4240 = 0,67).

Parte ricorrente, al fine di superare tale dirimente rilievo, pone in luce (v. la memoria depositata il 24.11.2010) che l’edificio in questione è un capannone ad uso produttivo privo di pareti laterali, consistendo in pilastri di sostegno di una copertura priva di tamponamenti laterali, sicché non si determinerebbe alcuna volumetria, rilevante sotto il profilo urbanistico.

La tesi non può essere condivisa.

La realizzazione di una struttura siffatta implica comunque un impegno volumetrico invero la presenza di pareti costituisce requisito là dove si tratti di edificio residenziale – ma non sempre è così: si veda quanto affermato dalla Cassazione civile Sez. II, 29 dicembre 2005 n. 28784 (e i precedenti ivi richiamati: n. 14379/1999; n. 11291/1998): "costituisce costruzione anche un manufatto privo di pareti ma realizzante una determinata volumetria, e pertanto la misura delle distanze legali per verificare se il relativo obbligo è stato rispettato deve esser effettuata assumendo come punto di riferimento la linea esterna della parete ideale posta a chiusura dello spazio esistente tra le strutture portanti più avanzate del manufatto stesso" – ma in caso di edificio produttivo è spesso sufficiente realizzare – per il tipo di lavorazione svolto – la copertura, senza che abbisogni la chiusura delle pareti laterali. Ciò non vuol dire però che non si determini la realizzazione di un impegno volumetrico dell’area in questione, valutabile alla stregua dell’ indice di fabbricabilità.

Propria la peculiarità delle strutture produttive comporta che, in relazione a tali costruzioni si faccia utilizzo del differente indice di copertura, ma ciò non toglie che, laddove siano richiesti il rispetto di entrambi gli indici, come nella fattispecie di cui all’art. 9, debba considerarsi anche l’impegno volumetrico delle strutture in questione.

Resta da ultimo irrilevante la circostanza che la seconda proposizione giustificativa del diniego (il richiamo all’art. 49 della L.R. 51/1975) risulti erronea, trattandosi di norma abrogata sin dal 2005.

Infatti, in presenza di una doppia proposizione motivazionale a sostegno dell’atto di diniego, l’ illegittimità di una sola delle due risulta, per consolidato orientamento giurisprudenziale, irrilevante, essendo sufficiente l’atra a sorreggere il provvedimento.

Sussistono giusti motivi per addivenirsi alla compensazione, fra le parti, delle spese del giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, respinge la domanda di annullamento, dichiara inammissibile quella di accertamento e quella di richiesta di condanna al pagamento dell’indennizzo ex art. 39 DPR n. 327/01, respinge la domanda di condanna al risarcimento dei danni.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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