Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 19-04-2011) 27-05-2011, n. 21342 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza del 17 marzo 2010 la Corte d’Appello di Messina ha rigettato l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione proposta da C.P. con riferimento alla custodia cautelare in carcere da lui patita dal 15 agosto 2000 al 12 ottobre 2000 nell’ambito di un procedimento penale a suo carico per vari reati in relazione ai quali era intervenuta sentenza del Tribunale di Patti in data 11 giugno 2008 che aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato in ordine al reato di cui all’art. 393 c.p., così riqualificato il fatto a lui ascrittogli originariamente qualificato come reato di estorsione, per mancanza di querela. La Corte territoriale, pur richiamando la giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo cui la riparazione per ingiusta detenzione deve essere riconosciuta in caso di derubricazione, ha ritenuto preferibile l’opposto orientamento giurisprudenziale secondo cui, ove la derubricazione sia conseguente ad accertamenti istruttori successivi alla detenzione stessa, la riparazione non è dovuta.

Il C. propone ricorso per Cassazione avverso tale sentenza lamentando illogicità della motivazione e violazione di legge con riferimento agli artt. 314 e 315 c.p.p.. In particolare il ricorrente, pure richiamando i due opposti orientamenti giurisprudenziali indicati nell’ordinanza impugnata, osserva che quello seguito dalla Corte territoriale sarebbe minoritario e, comunque, il danno per l’ingiusta detenzione sarebbe comunque uguale, sia in caso assoluzione, che in caso di derubricazione e conseguente assoluzione non nel merito, secondo un principio affermato anche dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 219 del 2008.
Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

Osserva il Collegio che l’art. 314 c.p.p., comma 1 regola il diritto alla riparazione a fronte dell’ingiustizia sostanziale, indicando le formule assolutorie che la legittimano, mentre il comma 2 ha riguardo alle ipotesi di ingiustizia formale. Orbene, va escluso che la presente fattispecie possa rientrare nelle ipotesi di cui al comma 1, come lo stesso ricorrente riconosce, stante la tassatività delle formule di proscioglimento ivi previste, dato che la legge ben può discriminare nell’ambito di situazioni differenti e non identiche, come si è rilevato a fronte di questione di legittimità costituzionale sollevata a proposito dell’istituto dell’amnistia (Cassazione penale, sez. 4A, 22 maggio 1996, n. 1345, Municinò).

Occorre, pertanto, esaminare la sua riconducibilità alle previsioni del comma 2. E’ indiscutibile che tra le cause di non punibilità previste dall’art. 273 c.p.p., la cui presenza rende illegittima l’applicazione della misura cautelare, si debba annoverare la mancanza di querela (Cass. 9.5.1994 n. 2128; Cass., sez. 4A, 4.7.1997, n. 1983), anche sul rilievo dell’obbligo del giudice di dichiarare immediatamente con sentenza in ogni stato e grado, ai sensi dell’art. 129 c.p.p., la mancanza di una condizione di procedibilità. Questa Corte non trascura che alcune sentenze, anche non datate (V. Sez. 4A, sentenza n. 40126 del 13.11.2002 Rv. 223285 e Sez. 4A sentenza n. 26368 del 03.04.2007, Rv. 236989 Cassazione penale, sez. un., 12 ottobre 1993, Durante; Cassazione penale, sez. 4A, 12 gennaio 1999, n. 36) hanno affermato che tale indirizzo non può dirsi operante per il difetto di querela che emerga solo per effetto della diversa qualificazione giuridica che al fatto venga data dal giudice di merito.

Con tali pronunce si ritiene che la formulazione letterale della norma dell’art. 314 c.p.p., comma 2 (con riferimento all’inciso "decisione irrevocabile") valorizza l’ingiustizia formale della misura, svincolata dall’esito del giudizio di merito, che è invece presupposto della riparazione prevista dal comma 1, di tal che l’istante ha diritto all’equa riparazione soltanto per assenza, all’epoca dell’applicazione o della conferma della misura, di gravi indizi di colpevolezza, ovvero per la presenza, a quella data, di cause di non punibilità.

Si richiede infatti una decisione irrevocabile che accerti che il provvedimento custodiale è stato emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità: ciò vuoi dire che la causa di non punibilità (compresa nel concetto la causa di improcedibilità), deve risultare alla stregua dell’imputazione contenuta nell’ordinanza, non impugnata, applicativa della misura cautelare, ovvero in quella, patimenti non impugnata, adottata dal tribunale del riesame ex art. 309 c.p.p. o art. 310 c.p.p., o nella pronuncia di questa Corte investita da ricorso contro l’ordinanza del tribunale del riesame o da ricorso per saltum avverso il provvedimento restrittivo, vale a dire alla stregua dell’imputazione su cui si è formato il giudicato cautelare. L’ingiustizia formale deve dunque risultare accertata, per dar diritto alla riparazione, attraverso il giudicato cautelare. Diversamente, la Corte, chiamata nuovamente ad interpretare la portata della disposizione di cui all’art. 314 c.p.p., comma 2 di recente (Sez. 4A, Sentenza n. 8869 del 22.01.2007) ha statuito che la decisione emessa in sede di riesame non esaurisce la nozione di "decisione irrevocabile", tale potendosi e dovendosi considerare anche quella emessa all’esito del giudizio di merito sempre che, naturalmente, da essa si evinca la mancanza, sin dall’origine, delle condizioni di applicabilità della misura.

In tale prospettiva è stato quindi affermato che non costituisce "causa ostativa alla riparazione" la circostanza che "la ridefinizione dell’imputazione in altra – per la quale non era consentita, in ragione della pena edittale massima, l’emissione della misura custodiale in carcere, ai sensi dell’art. 280 c.p.p. – sia avvenuta in sede di merito e non già in un giudizio cautelare, per effetto di valutazione di circostanze emerse solo nell’istruzione dibattimentale o rilevate ex officio dal giudice".

Il Collegio ritiene di uniformarsi a tale interpretazione evidenziando che essa è in sintonia con i principi costituzionali (sent. Cort. Cost. nn. 231 e 413 del 2004) e del resto la soluzione che nega l’ingiustizia della detenzione nell’ipotesi in cui manchi una condizione di procedibilità, la cui necessità sia stata accertata all’esito del giudizio di merito, o che, comunque, correla quell’ingiustizia alla fattispecie delittuosa originariamente contestata e non a quella ritenuta in sentenza, contrasta con i principi affermati dalle Sezioni Unite in punto di rilevanza, ai fini del riconoscimento del diritto alla riparazione, anche degli accertamenti risultanti ex post (sentenza 12 ottobre 1993 – Durante), oltre ad apparire distonica con il fondamento solidaristico dell’istituto ripetutamente rimarcato dal giudice delle leggi.

Più recentemente le Sezioni Unite di questa stessa Corte hanno, d’altra parte, affermato che la circostanza di avere dato o concorso a dare causa alla custodia cautelare per dolo o colpa grave opera, quale condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione, anche in relazione alle misure disposte in difetto delle condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 c.p.p. (Cass. Sez Un. 27 maggio 2010 n. 32383).

L’applicazione degli esposti principi alla fattispecie dedotta in giudizio impone l’annullamento dell’ordinanza con rinvio alla Corte d’Appello di Messina, per un nuovo esame, atteso che la relativa laconica motivazione sul punto, non offre alcun elemento utile per capire le ragioni che avevano portato alla derubricazione del reato contestato, se si trattasse di una pura e semplice rilettura degli stessi elementi di accusa che esistevano al momento dell’emissione del provvedimento cautelare, oppure se a tale decisione si sia pervenuti grazie a successive acquisizioni probatorie; tenendo anche conto del rilievo che, in sede di convalida, il GIP aveva ritenuto convalidare l’arresto ravvisando nei fatti la fattispecie penale poi ritenuta giudizio di merito.
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Messina.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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