Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 19-04-2011) 27-05-2011, n. 21340 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza del 23 aprile 2009 la Corte d’Appello di Bari ha rigettato l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione proposta da R.A.M., S.F., S.A. e S.G. nella qualità di eredi di S.C., in relazione alla custodia cautelare da questi sofferta dal 13 marzo 2000 al 13 agosto 2001 nell’ambito del procedimento penale a suo carico per i reati di associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti e detenzione di armi, conclusosi con sentenza di assoluzione della Corte d’Appello di Bari in data 25 settembre 2003. La Corte territoriale ha motivato tale ordinanza ritenendo sussistente la colpa grave dell’imputato ostativa al riconoscimento della richiesta riparazione, ed individuandola in due captazioni ambientali attestanti l’intento del capoclan T.S. di arruolare il S. nell’organizzazione criminale da lui capeggiata; in particolare una prima intercettazione è relativa ad un colloquio del T. con suo nipote avente ad oggetto richiesta di informazioni riguardo al S., ed una seconda intercettazione è relativa ad un colloquio del medesimo T. direttamente con il S. e pure finalizzato ad assumere informazioni in vista del detto arruolamento. La Corte d’Appello ha pure considerato che il S. aveva deciso di non rispondere alle domande degli inquirenti relative alle sue frequentazioni con ambienti malavitosi, peraltro confermate dai suoi precedenti penali, in tal modo impedendo all’autorità giudiziaria di raccogliere elementi utili alle indagini in senso favorevole all’imputato, e facendo permanere la convinzione della giustezza della tesi accusatoria che ha indotto all’emissione del provvedimento cautelare restrittivo.

I suddetti eredi del S. propongono ricorso per Cassazione avverso tale ordinanza lamentando erronea applicazione di norme di diritto con riferimento all’art. 606 c.p.p., lett. a) in relazione all’art. 314 c.p.p.. In particolare i ricorrenti deducono che quegli stessi elementi che avevano indotto gli inquirenti ed i giudici del primo grado a ritenere la colpevolezza dell’imputato, in realtà non erano concludenti e giustificativi della sofferta detenzione, come definitivamente riconosciuto dalla sentenza di assoluzione della Corte d’Appello di Bari; pertanto, l’unico comportamento dell’imputato, ritenuto ostativo al riconoscimento della riparazione, sarebbe costituito dalla legittima facoltà di non rispondere, erroneamente equiparata dalla Corte territoriale, alla risposta mendace che induce in errore l’autorità giudiziaria.
Motivi della decisione

Il ricorso non è fondato e va conseguentemente rigettato.

La Corte territoriale ha logicamente e compiutamente motivato il provvedimento impugnato ravvisando la colpa grave del S. nelle frequentazioni di ambienti malavitosi comprovate dalle due intercettazioni telefoniche finalizzate ad assumere informazioni in vista di un arruolamento dello stesso S. nel clan allora capeggiato da T.A.. Una di tale telefonate è intercorsa fra il T. ed il medesimo S. che si è prestato, dunque a trattare in vista di un suo coinvolgimento nell’attività criminosa organizzata, pur essendo già colpito da precedenti condanne per reati associativi. Pertanto, tale motivazione è corretta in quanto tiene conto dei principi ripetutamente affermati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il giudice deve fondare la deliberazione conclusiva su fatti concreti e precisi e non su mere supposizioni, esaminando la condotta tenuta dal richiedente, indipendentemente dall’eventuale conoscenza, che quest’ultimo abbia avuto, dell’inizio dell’attività di indagine, al fine di stabilire, con valutazione "ex ante", non se tale condotta integri estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorchè in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto (Cass. Sez. Un. 26 giugno 2002 n. 34559).

Il silenzio dell’imputato in occasione dell’interrogatorio da parte del G.I.P. costituisce mera considerazione aggiuntiva che non inficia l’ordinanza impugnata che, come detto, ha ben individuato il comportamento colposo dell’imputato ostativo al riconoscimento della richiesta riparazione. In tale quadro è del tutto irrilevante il giudizio sulla responsabilità penale che si sarebbe fondato su una diversa interpretazione delle medesime intercettazioni telefoniche, in quanto il giudizio sulla riparazione, come detto, deve tenere conto dell’esistenza degli indizi che hanno condotto alla misura restrittiva, e del comportamento dell’imputato che ha contribuito alla formazione degli stessi.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *