T.A.R. Piemonte Torino Sez. I, Sent., 27-05-2011, n. 564 Forze armate

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

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Svolgimento del processo

1. Con ricorso ritualmente proposto, il sovrintendente della Polizia di Stato Z.M. ha impugnato gli atti indicati in epigrafe con cui il Capo della Polizia, su conforme parere del Consiglio Provinciale di Disciplina, gli ha irrogato la sanzione disciplinare della deplorazione congiunta alla pena pecuniaria nella misura di 5/30 di una mensilità dello stipendio e degli altri assegni a carattere fisso e continuativo, ai sensi degli articoli 5, 13 e 19 del D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737.

2. La predetta sanzione è stata irrogata sulla base della seguente, testuale motivazione: "Sovrintendente in servizio alla squadra mobile interveniva presso un istituto scolastico per un dissidio sorto tra un docente ed un genitore di un alunno. Nella circostanza, abusando della sua funzione e violando i doveri di servizio, prendeva arbitrariamente le parti del genitore dell’alunno, provocando la successiva censura del proprio operato da parte dell’intero corpo docenti. Denotava nella circostanza scarsa professionalità, operava con violazione dei propri doveri ed arrecava pregiudizio all’immagine della Polizia di Stato".

3. A fondamento del gravame, il ricorrente ha dedotto tre motivi, con i quali ha lamentato vizi di incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere sotto plurimi profili, nei termini che saranno più diffusamente esposti in seguito.

4. Si è costituito il Ministero dell’Interno, con il patrocinio dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di Torino, depositando costituzione di stile e documentazione, integrate successivamente da articolata memoria difensiva, a cui la difesa di parte ricorrente ha replicato a sua volta con memoria.

5. All’udienza del 20 aprile 2011, sentiti l’avv. Antonella Gianasso, su delega dell’avv. Cimino, per la parte ricorrente e l’avv. Prinzivalli per il Ministero resistente, la causa è stata trattenuta per la decisione.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato sotto tutti i profili dedotti e va respinto.

1. Con il primo motivo, il ricorrente ha lamentato la violazione degli articoli 5, 4 e 13 del D.P.R. 25 ottobre 1981 n. 737 e l’incompetenza del Capo della Polizia ad irrogare la sanzione impugnata. Ha sostenuto che la sanzione avrebbe dovuto essere irrogata dal questore (e non dal Capo della Polizia) sentito il parere della commissione consultiva di cui all’art. 15 dello stesso testo normativo (e non del Consiglio Provinciale di Disciplina); ciò in quanto:

– dal combinato disposto degli articoli 5 ultimo comma e 4 del predetto D.P.R. 737/1981 si evincerebbe il principio per cui è il questore l’organo esclusivamente competente ad irrogare la sanzione della deplorazione al personale appartenente ai ruoli diversi da quelli dirigenziali e direttivi in servizio presso le questure, laddove il Capo della Polizia sarebbe invece competente ad infliggere la medesima sanzione soltanto agli appartenenti alle qualifiche dirigenziali e direttive;

– inoltre, l’art. 13 del predetto D.P.R. 737/1981 dispone che per infliggere la deplorazione deve essere "sentito il parere della commissione consultiva di cui all’art. 15", laddove nel caso di specie la sanzione è stata invece inflitta su conforme parere del Consiglio Provinciale di Disciplina.

1.1. La censura è infondata e va disattesa.

Se è vero, infatti, che nel sistema delineato dal combinato disposto degli artt. 4 e 5 del D.P.R. 737/1981 le sanzioni disciplinari della deplorazione e della pena pecuniaria sono irrogate dal Capo della Polizia "agli appartenenti alle qualifiche dirigenziali e direttive" e dal questore "al personale dei restanti ruoli in servizio presso le questure e uffici dipendenti"; è anche vero, però, che nel caso di specie il procedimento disciplinare è stato avviato dal questore di Vercelli in relazione a fatti e circostanze ritenute (dal questore) tali da giustificare l’irrogazione "di una sanzione più grave della deplorazione", il che ha comportato necessariamente l’attivazione del diverso procedimento delineato dagli artt. 1921 del medesimo D.P.R. 737/1981, il quale si è correttamente articolato nelle fasi procedimentali ivi disciplinate, contemplanti rispettivamente: la nomina, da parte del questore, di un funzionario istruttore per lo svolgimento di inchiesta disciplinare; la contestazione degli addebiti all’interessato e l’acquisizione delle osservazioni di quest’ultimo; la redazione da parte dell’ufficiale istruttore di apposita relazione e la trasmissione di quest’ultima all’autorità che ha disposto l’inchiesta; la trasmissione, a cura di quest’ultima, di tutto il carteggio dell’inchiesta al consiglio provinciale di disciplina; la formulazione, da parte di quest’ultimo, di una proposta di sanzione applicabile, contenuta in un’apposita deliberazione da trasmettere alla direzione centrale del personale del dipartimento di pubblica sicurezza; infine, l’adozione da parte del Capo della Polizia di un apposito decreto (di proscioglimento o di irrogazione della sanzione) conforme alla proposta del Consiglio provinciale di disciplina, "salvo che egli (il Capo della Polizia) non ritenga di disporre in modo più favorevole all’inquisito".

In altre parole, poiché nel caso di specie il procedimento disciplinare è stato avviato ipotizzando l’irrogazione di una sanzione più grave della deplorazione (e quindi: sospensione o destituzione, di competenza del Capo della Polizia), è stato seguito, del tutto correttamente, il procedimento sopra delineato, ed è questo il motivo per cui:

– è stato acquisito il parere del Consiglio provinciale di Disciplina (e non quello della commissione consultiva, previsto dall’art. 13 comma 6 del predetto D.P.R. 737/81 per l’irrogazione della più lieve sanzione della deplorazione);

– la sanzione è stata irrogata dal Capo della Polizia (e non dal Questore).

Non sussiste, pertanto, il vizio di incompetenza dedotto dal ricorrente. Lo stesso articolo 21 comma 3 del D.P.R. 737/81, nell’attribuire al Capo della Polizia il potere di irrogare le sanzioni disciplinari della sospensione e della destituzione su conforme parere del Consiglio di Disciplina, fa salva l’eventualità che lo stesso Capo della Polizia "non ritenga di disporre in modo più favorevole all’inquisito", disponendone il proscioglimento o irrogandogli una sanzione meno grave della sospensione o della destituzione. In relazione a quest’ultima eventualità, la norma non impone al Capo della Polizia di ritrasmettere gli atti all’autorità astrattamente competente all’irrogazione della sanzione più lieve (ad es. il questore, con riferimento al personale dei ruoli non dirigenziali e direttivi in servizio presso la questura), bensì mantiene la competenza in oggetto in capo al medesimo organo di vertice della Polizia di Stato.

Tale conclusione appare in sintonia con il condivisibile principio affermato dalla più recente giurisprudenza secondo cui "nell’ordinamento della Polizia di Stato vige il modulo organizzativo della subordinazione gerarchica, prescritto dall’art. 4 del DPR n. 782/1985, nonché dall’art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile 1982, n. 335, dall’art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile 1982, n. 337 e dall’art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile 1982, n. 338, richiamati dal primo. Tale criterio organizzativo presuppone, come è noto, che l’ufficio sovraordinato e quello subordinato abbiano la medesima sfera di competenza, sebbene al secondo possa essere formalmente attribuita, in tale ambito, specifica competenza su taluni affari, peraltro di natura non esclusiva. L’assenza di esclusività comporta che il singolo affare, in astratto ascrivibile alla competenza dell’organo inferiore, bene possa essere avocato da quello superiore" (T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 20 luglio 2010, n. 16865).

Del resto, come giustamente affermato dalla difesa erariale, la diversa opzione interpretativa propugnata dal ricorrente avrebbe comportato lo svolgimento di un procedimento certamente meno garantistico per l’interessato, posto che in tal caso ad irrogare la sanzione sarebbe stato il questore, ossia lo stesso organo che aveva avviato il procedimento disciplinare e svolto una prima valutazione in ordine alla gravità dei fatti contestati al dipendente.

La censura formulata con il primo motivo va quindi disattesa perché infondata.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente ha lamentato la violazione dell’art. 12 del D.P.R. 25 ottobre 1981 n. 737 sul rilievo che il Questore, sia nella comunicazione di avvio del procedimento disciplinare sia nel decreto di nomina del funzionario istruttore, avrebbe proposto (al Capo della Polizia, erroneamente ritenuto competente) l’irrogazione "di una sanzione più grave della deplorazione", laddove la norma citata, al comma 3, vieta al superiore gerarchico di inoltrare rapporti all’organo competente ad irrogare la sanzione contenenti "una proposta relativa alla specie e all’entità della sanzione". Tale violazione avrebbe anticipato un giudizio di valore negativo, condizionato l’intero operato del funzionario istruttore (costretto ad agire in una situazione di condizionamento psicologico) e compromesso, in definitiva, le garanzie di imparzialità del procedimento disciplinare.

Anche tale censura è infondata.

2.1. In primo luogo va osservato che gli atti censurati dal ricorrente non costituiscono il "rapporto" di cui fa menzione il citato articolo 12, ma soltanto gli atti con cui il questore ha proceduto alla nomina del funzionario istruttore.

2.2. In secondo luogo, nei predetti atti il questore non ha formulato alcuna proposta di sanzione, ma si è limitato ad evidenziare che, in relazione alla particolare gravità dei fatti, era ipotizzabile l’adozione di sanzioni disciplinari più gravi di quelle attribuite dalla legge alla propria competenza, e che, quindi, era necessario procedere ad una "inchiesta disciplinare" e alla nomina del "funzionario istruttore", secondo quanto previsto dall’art.19, comma 2 del D.P.R. 737/1981. Pertanto, come giustamente osservato dalla difesa erariale, l’espressione contestata dal ricorrente non ha costituito una (indebita) proposta di sanzione disciplinare, ma il presupposto essenziale e necessario dell’atto di nomina del funzionario istruttore, cui il questore era tenuto in forza della disposizione sopra richiamata.

3. Con il terzo motivo, il ricorrente ha lamentato vizi di eccesso di potere per travisamento dei fatti ed erronea valutazione dei presupposti, difetto d’istruttoria e di motivazione. Ha sostenuto, in particolare, che nel corso del procedimento disciplinare non sarebbero stati adeguatamente valutati gli elementi istruttori raccolti; che la condotta ascritta al ricorrente non avrebbe trovato alcun preciso ed inequivoco riscontro nelle dichiarazioni acquisite in sede istruttoria, peraltro rese dalle stesse parti interessate; che le valutazioni del Consiglio Provinciale di Disciplina sarebbero state fatte proprie dal decreto di irrogazione della sanzione disciplinare in modo del tutto apodittico; che, infine, non vi sarebbe stata immediatezza della contestazione degli addebiti disciplinari rispetto ai fatti.

Anche tale censura è infondata e va disattesa.

3.1. La difesa erariale ha prodotto in giudizio gli atti del procedimento disciplinare, ed in particolare la relazione del funzionario istruttore (estremamente dettagliata e completa), i verbali del consiglio di disciplina e la deliberazione conclusiva di quest’ultimo, con la proposta di sanzione da irrogare.

Tali atti attestano in maniera inequivocabile la completezza e l’accuratezza dell’istruttoria eseguita dall’Amministrazione, nonchè la logicità e la ragionevolezza delle valutazioni svolte dalla P.A. sulla scorta di tali risultanze.

3.2. Il provvedimento sanzionatorio è stato motivato per relationem con riferimento alle valutazioni svolte dal consiglio di disciplina delle delibera del 27 gennaio 2005, espressamente richiamata nell’atto impugnato.

La motivazione per relationem è espressamente consentita dall’art. 3, comma 3 della L. 241/90.

3.4. Infine, nello speciale sistema sanzionatorio disciplinato dal D.P.R. n. 737 del 1981 (e, segnatamente, ai sensi dell’art. 12 del medesimo decreto, in tema di contestazione degli addebiti), non è previsto che la contestazione avvenga in un termine perentorio (Consiglio Stato, sez. VI, 19 agosto 2009, n. 4989). Peraltro, nel caso di specie la contestazione degli addebiti è avvenuta a distanza di appena 6 giorni da quello in cui la questura ha avuto notizia dei fatti occorsi e a distanza di appena 30 giorni da questi ultimi: un arco temporale estremamente contenuto che certamente non ha impedito al ricorrente di difendere compiutamente e tempestivamente le proprie ragioni nell’ambito del procedimento disciplinare: come, del resto, gli atti di causa documentano in modo incontrovertibile (cfr. "giustificazioni" presentate dall’interessato in data 27.11.2004, doc. 7 Avvocatura).

4. In conclusione, alla stregua di tali rilievi, il ricorso va respinto perché infondato.

Le spese di lite possono essere compensate attesa la peculiarità della fattispecie esaminata.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo respinge e compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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