T.A.R. Piemonte Torino Sez. I, Sent., 27-05-2011, n. 554 Distanze

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I ricorrenti in epigrafe indicati – nelle rispettive qualità di amministratori e di condomini degli stabili facenti parte del complesso di corso V.E.I.N. in Torino – impugnano il permesso di costruire n. 194/2010 del 30 giugno 2010, con cui il Comune di Torino ha autorizzato V. S.r.l. a realizzare un fabbricato residenziale di sei piani fuori terra, più piano sottotetto ad uso abitativo e piano interrato ad uso autorimesse e cantine.

Il fabbricato dovrebbe sorgere "sul filo" della piazza interna al complesso edilizio, sulla quale si affacciano gli stabili in cui risiedono i ricorrenti, e occupare l’unica area non edificata fra quelle che contornano detta piazza.

Gli esponenti contestano la legittimità del titolo edificatorio sulla scorta di motivi di ricorso così articolati (il cui contenuto sarà meglio esposto in parte motiva):

I) Violazione del giudicato amministrativo. Violazione di legge: art. 12, d.P.R. n. 380/2001. Violazione di norme regolamentari e pianificatorie: art. 8, Norme di attuazione del P.R.G.C. della Città di Torino. Eccesso di potere per vizio del procedimento, errore e difetto dei presupposti, errore e difetto di motivazione.

II) Violazione del giudicato amministrativo. Violazione di legge: art. 12, d.P.R. n. 380/2001. Violazione di norme regolamentari e pianificatorie: artt. 2 e 8, Norme di attuazione del P.R.G.C. della Città di Torino. Eccesso di potere per vizio del procedimento, errore e difetto dei presupposti, errore e difetto di motivazione.

III) Violazione dell’art. 42 della Costituzione. Violazione di legge: artt. 14 e 15, l.r. n. 56/1977 e succ. mod. Eccesso di potere per vizio del procedimento, errore e difetto dei presupposti, illogicità e ingiustizia manifesta.

IV) Violazione del giudicato amministrativo. Violazione di legge: art. 12, d.P.R. n. 380/2001. Violazione di norme regolamentari e pianificatorie: art. 8, Norme di attuazione del P.R.G.C. della Città di Torino. Eccesso di potere per vizio del procedimento, errore e difetto dei presupposti, errore e difetto di motivazione.

V) Violazione di legge: art. 12, d.P.R. n. 380/2001; art. 9, d.M. 2 aprile 1968. Violazione di norme regolamentari e pianificatorie: art. 8, Norme di attuazione del P.R.G.C. della Città di Torino. Eccesso di potere per vizio del procedimento, errore e difetto dei presupposti, errore e difetto di motivazione.

Si sono costituti in giudizio il Comune di Torino e l’impresa controinteressata, entrambi contrastando nel merito la fondatezza del ricorso e opponendosi al suo accoglimento.

Nel corso del giudizio, le parti hanno depositato memorie difensive e di replica.

Il ricorso è stato chiamato alla pubblica udienza del 7 aprile 2011 e ritenuto in decisione.
Motivi della decisione

1) Con il primo motivo di ricorso, gli esponenti denunciano la violazione del giudicatosi formatosi sulla decisione della Quarta Sezione del Consiglio di Stato n. 222 del 31 gennaio 2005 che, respingendo l’appello avverso la sentenza di questo Tribunale n. 502 del 24 marzo 2004, sulla base di un parabola argomentativa diversa da quella tracciata dal giudice di primo grado, aveva dichiarato l’illegittimità del permesso di costruire n. 828/2003, avente ad oggetto la realizzazione di un edificio residenziale, costituito da due corpi di fabbrica di nove e undici piani fuori terra, nello stesso sito interessato dall’odierna iniziativa edificatoria.

Sostengono i deducenti che, non essendo medio tempore variati né lo stato dei luoghi né la normativa di riferimento, il nuovo permesso di costruire si porrebbe irrimediabilmente in contrasto con la pronuncia del giudice d’appello che aveva stabilito in termini definitivi l’inedificabilità dell’area in questione.

La censura non può essere condivisa in quanto – anche prescindendo dalla sostanziale diversità dell’intervento edilizio in contestazione rispetto a quello che formava oggetto del titolo abilitativo poi annullato e dalle sopravvenienze di diritto che sono seguite alla formazione del giudicato, con l’introduzione di una nuova definizione di "cortina edilizia" nelle norme di attuazione del piano regolatore – la decisione del Consiglio di Stato aveva comunque ammesso l’assentibilità di nuove costruzioni nell’area in esame, purché realizzate "a cortina" (concetto sul quale si avrà modo di soffermarsi più avanti).

2) Nel contesto del primo motivo di ricorso, gli esponenti denunciano anche la violazione dell’art. 8.14 delle norme di attuazione del piano regolatore che non consente, nella zona urbanistica interessata dall’intervento, nuove edificazioni nella aree interne agli isolati.

La disposizione cui fa specifico riferimento parte ricorrente è il secondo periodo dell’art. 8.14, secondo cui "le aree interne agli isolati, contestualmente a interventi di completamento, nuovo impianto e ristrutturazione, devono essere liberate e riqualificate per formare spazi di verde privato".

L’edificio in progetto, peraltro, non sorgerà nell’area interna all’isolato (cioè nella piazza antistante gli stabili dei ricorrenti), bensì esattamente sul filo di tale piazza, delimitandola mediante un fronte edilizio che integra la nozione di "cortina edilizia" dettata dall’art. 2.37 bis delle norme di attuazione, nel testo risultante dalle modifiche apportate con la variante n. 135/2006 ("Fronte costruito senza soluzioni di continuità su un filo edilizio come definito dal P.R.G.").

Tale modalità edificatoria è espressamente consentita dallo strumento urbanistico comunale (cfr. tavola normativa n. 3) che, relativamente all’area normativa in questione (area R3), consente interventi di completamento e di nuovo impianto nel "rispetto del filo stradale o del filo edilizio", cioè "a cortina".

E’ anche da precisare che la nozione di "cortina edilizia" dettata dal menzionato art. 2.37 bis prescinde, come logico, dalla natura pubblica o privata dello spazio sul filo del quale sorgerà la nuova costruzione.

Non deve trarre in inganno, a questo riguardo, la formulazione letterale dell’art. 8.12 delle norme di attuazione che descrive l’area normativa interessata dall’iniziativa edificatoria come "isolati residenziali a cortina verso spazio pubblico": tale disposizione, infatti, vale solamente a individuare la morfologia complessiva dell’area e non certo a costituire precetti limitativi degli interventi ivi ammissibili, anche perché sarebbe del tutto irrazionale ritenere che la scelta urbanistica implicante l’assentibilità dell’edificazione "a cortina" possa essere legata alla natura pubblica o privata dell’area frontistante.

3) Con il secondo motivo di ricorso, gli esponenti denunciano, sotto un diverso profilo (e in via subordinata rispetto alla censura dedotta con il primo motivo), la violazione dell’art. 8.14 delle norme di attuazione, nella parte in cui non ammette nell’area in questione interventi di completamento eccedenti il 10% della superficie lorda di pavimento ammissibile sul lotto, limite abbondantemente superato nel caso di specie ("In presenza di residue capacità edificatorie dell’area, gli interventi di completamento, realizzabili solo su cortina, con mantenimento dei bassi fabbricati, non possono eccedere il 10% della SLP ammissibile sul lotto, calcolata in base all’indice fondiario").

La disposizione che si assume violata non è riferibile, però, al caso di specie, poiché riguarda gli interventi di completamento nelle aree interne agli isolati, non le nuove costruzioni da realizzarsi "a cortina" verso questi spazi interni.

Tale conclusione si impone in base alla formulazione letterale dell’art. 8.14, ma anche seguendo il ragionamento per absurdum proposto dalla difesa della contro interessata in quanto, laddove si volesse riferire l’accennato limite del 10% alle nuove costruzioni "a cortina", ne deriverebbe l’assentibilità di interventi costruttivi talmente esigui (nella fattispecie, poco più di 200 mq) da rendere sostanzialmente inedificabile l’area.

4) Le censure dedotte con il terzo motivo di ricorso fanno riferimento alla rappresentazione grafica del complesso sulle tavole di piano, asseritamente operata in modo tale da far ritenere la proprietà pubblica della piazza antistante l’edificazione in progetto e, quindi, da modificarne indebitamente la natura privata.

La doglianza, in primo luogo, è inammissibile, poiché il ricorso non è stato notificato all’amministrazione preposta all’approvazione del piano regolatore e delle relative varianti.

Essa, in ogni caso, propone una questione irrilevante ai fini del decidere, atteso che la difesa comunale riconosce espressamente la natura privata dell’area, ma tale circostanza (per le ragioni appena enunciate) non influisce sull’assentibilità dell’intervento.

5) Con il quarto motivo di ricorso, gli esponenti denunciano la violazione delle distanze legali dalla proprietà privata antistante, atteso che il nuovo edificio, in alcuni punti, non rispetterebbe il prescritto limite minimo di m. 5.

L’irregolarità rilevata da parte ricorrente non sussiste, poiché la già citata Tavola normativa n. 3 stabilisce, per le nuove costruzioni in area normativa R3, il seguente parametro: "Distanza da confini privati: aderenza o = mt. 5".

L’edificio in progetto rispetta, almeno per quanto riguarda il piano terreno, il riferito parametro, atteso che il filo esterno dell’edificio è collocato in aderenza al confine di proprietà.

Il principio di prevenzione implica, d’altronde, che la possibilità di costruire "in aderenza", qualora riconosciuta dallo strumento urbanistico, non sia subordinata alla preesistenza di un edificio sul confine (cfr. Cass. civ., sez. II, 9 aprile 2010, n. 8465).

6) L’opposta valutazione si impone, invece, per le parti dell’edificio dal primo piano in su, essendo incontestato che i balconi in progetto aggettano sulla verticale dell’antistante piazza di proprietà privata, con conseguente violazione della distanza dal confine fissata dallo strumento urbanistico.

Le parti resistenti eccepiscono, al riguardo, che:

– si tratta di questione inerente diritti soggettivi che appartiene, perciò, alla giurisdizione del giudice ordinario;

– l’art. 56 del regolamento edilizio comunale ammette sporgenze sugli spazi pubblici o di uso pubblico antistanti gli edifici;

– i ricorrenti non hanno interesse a dedurre la censura in quanto anche i balconi dei loro edifici aggettano sulla piazza.

Nessuno di questi argomenti, peraltro, vale ad escludere il vizio di legittimità rivelato dalla censura in esame.

La questione inerente il mancato rispetto delle distanze dai confini appartiene alla cognizione del giudice ordinario quando la controversia sia instaurata fra soggetti privati, vertendosi in tal caso in materia di diritti soggettivi; qualora, invece, sia contestata la legittimità del titolo abilitativo rilasciato in violazione delle norme sulle distanze, si verte in tema di interessi legittimi che radicano la competenza del giudice amministrativo (cfr., fra le molte, Cons. Stato, sez. IV, 16 novembre 2007, n. 5837).

L’art. 56 del regolamento edilizio, in secondo luogo, non può trovare applicazione nella fattispecie, essendo riferito alle sole sporgenze su spazi pubblici, mentre la stessa eccepiente riconosce la natura privata dello spazio frontistante il nuovo edificio.

L’interesse degli esponenti a denunciare il pregiudizio che è insito nella violazione edilizia non viene meno, infine, nell’ipotesi (comunque non rigorosamente comprovata) in cui gli stessi ricorrenti si fossero resi responsabili di analoghe violazioni.

Ne consegue che il progetto di nuova edificazione deve ritenersi illegittimamente assentito nella parte in cui contempla la realizzazione di balconi che, aggettando sulla sottostante piazza privata, eccedono il confine di proprietà.

7) Con il quinto e ultimo motivo di ricorso, gli esponenti denunciano la violazione della distanza minima di m. 10 tra pareti di edifici antistanti, fissata dall’art. 9, comma 1, n. 2, del d.M. lavori pubblici 2 aprile 1968, precisando che l’impresa avrebbe cercato di mascherare la violazione mediante la costruzione di una "pergola".

Va anzitutto rilevato, per quanto concerne quest’ultimo elemento architettonico, come esso consti semplicemente di pilastri che formano una sorta di atrio dell’edificio e risulti irrilevante, pertanto, ai fini del computo delle distanze fra pareti.

Nel merito, la doglianza appare generica in quanto i deducenti si sono limitati ad affermare la violazione delle distanze, ma non hanno allegato alcun elemento circostanziato atto a costituire principio di prova della dedotta censura e giustificare, quindi, l’esperimento di conseguente attività istruttoria.

Le difese del Comune, per contro, rendono puntualmente conto delle indicazioni tecniche contenute negli elaborati progettuali dalle quali si desume il rispetto della prescritta distanza minima.

8) In definitiva, il permesso di costruire impugnato resiste alle censure di legittimità dedotte dai ricorrenti, fatta eccezione per la parte in cui, come riferito sub 6), autorizza la costruzione di balconi aggettanti sulla sottostante proprietà privata.

Occorre domandarsi, al riguardo, se l’accertamento di un’illegittimità che, in relazione alle caratteristiche complessive dell’opera, non presenta rilievo preminente, determini l’annullamento del titolo abilitativo nella sua interezza ovvero limitatamente alle parti dell’edificio riscontrate irregolari.

La più recente giurisprudenza dei giudici di prime cure (pronunciandosi in materia di annullamento d’ufficio da parte della competente amministrazione, ma i termini della questione non sembrano mutare nel caso in cui l’effetto demolitorio derivi dalla pronuncia del giudice), facendo applicazione del principio di proporzionalità, ammette la possibilità di un annullamento parziale del titolo edilizio (T.A.R. Abruzzo, Pescara, 11 marzo 2010, n. 173).

Pare maggiormente persuasivo, però, il tradizionale orientamento della giurisprudenza amministrativa che, nel caso di titolo edilizio relativo ad un fabbricato unico, esclude la possibilità di annullamento parziale dello stesso, poiché una simile statuizione è ammissibile solo se nel provvedimento siano individuabili autonome statuizioni (Cons. Stato, sez. V, 22 maggio 2006, n. 2960).

L’annullamento parziale del permesso di costruire, pertanto, può aversi solo quando l’opera autorizzata sia scindibile in modo tale da poter essere oggetto di distinti progetti e concessioni; nel caso contrario, dovrà semmai essere il Comune ad eseguire il giudicato d’annullamento rilasciando, a richiesta del privato, un nuovo permesso emendato dai vizi per i quali il precedente era stato annullato (Cons. Stato, sez. V, 11 ottobre 2005, n. 5495).

9) La peculiarità della controversia consiglia di compensare integralmente le spese di lite fra le parti costituite.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *