Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 13-04-2011) 27-05-2011, n. 21347 Abuso di ufficio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ettivi ricorsi.
Svolgimento del processo

1. N.G., P.L., F.R., Pe.Gi., vigili urbani in servizio presso il comune di Milano, ricorrono avverso la sentenza resa in data 22 giugno 2010 dalla Corte di Appello di Milano, che ha ribadito la responsabilità di costoro per i seguenti reati:

1. N.G. e P.L., in servizio presso la stazione centrale di Milano per la repressione del commercio ambulante abusivo, per il delitto di cui all’art. 323 c.p., commesso in danno di due donne ucraine, O.D. e H.H., che avevano controllato, senza qualificarsi, e dopo aver preso a calci i bagagli delle donne ed urlato nei loro confronti, chiedendo che le stesse esibissero i documenti, alla richiesta di chiarimenti della D., l’avevano trascinata in un veicolo di servizio e condotta presso il comando. (capo A) Inoltre, sempre in concorso, per il reato di falso, (capo F) nella redazione della comunicazione di reato a carico della donna, che confezionavano ad arte in modo da garantirsi la impunità, e per il reato di calunnia, (capo g) avendo simulato a carico di costei tracce dei reati di cui agli artt. 337 e 651 c.p.;

2. Il N. anche per il reato di cui all’art. 610 c.p. per avere impedito, con uso di violenza fisica, alla D. di utilizzare il suo cellulare per avvisare il marito (capo B) e per il reato di cui agli artt. 594 e 612 c.p. in danno della D., apostrofata con epiteti offensivi. ( capo C).

2. Il N., ancora, e Pe.Gi., per il delitto di falso (capo D) avendo essi formato un verbale in cui attestavano che la donna vendeva abusivamente della birra in lattina nella piazza adiacente la stazione.

3. P. e F., infine, per avere formato un falso verbale di sequestro di 32 lattine di birra, attestando che la donna le avesse poste in vendita, mentre le stesse erano già in possesso dei vv.uu. perchè oggetto di un precedente intervento (capo E).

I ricorrenti:

N.G. e F.R., mediante unico atto presentato dal loro difensore, deducono che la pronunzia è viziata da inosservanza di norme processuali e della legge penale, poichè la testimonianza della parte lesa non è stata assunta nelle forme previste dall’art. 197 bis c.p.p., state la sua posizione di indagata per reato connesso. (basata sulla osservazione che la donna aveva al momento della iscrizione del procedimento in appello ancora la posizione di teste assistito – stante che la archiviazione era intervenuta successivamente. La Corte, inoltre, aveva disposto la rinnovazione della testimonianza, ma non aveva consentito la cross examination, violando l’art. 498 c.p.p.; con il secondo motivo, è dedotta la violazione di legge ed il difetto di adeguata motivazione, per la mancata visione in aula di un dvd che conteneva le immagini dei fatti accaduti in piazza, con ciò impedendo alla difesa di muovere rilievi e contestazioni. Con il terzo motivo, viene ribadita la inattendibilità della D., di cui vengono poste in rilievo le contraddizioni in cui sarebbe caduta e la inverosimiglianza del racconto, anche in relazione alle immagini fornite dalla registrazione video in atti, ed alle testimonianze raccolte in prime cure che vengono riportate dai ricorrenti e criticamente esaminate, alla esistenza del commercio abusivo delle lattine di birra ed alla assenza di un movente per gli asserti abusi; sempre sotto il profilo della violazione di legge e della inadeguatezza della motivazione, il N. contesta la sussistenza del reato di abuso, dato che la condotta addebita, semmai, reati e non atti illegittimi; inoltre, nessun vantaggio ne sarebbe venuto all’imputato, difettando il requisito della doppia ingiustizia; non sarebbero, poi, adeguatamente espresse le ragioni della condanna per i rimanenti reati, non avendo la corte risposto ai rilievi mossi con l’appello; analogo difetto delle motivazione riguarderebbe il diniego delle generiche e la mancata riduzione della pena; per il F., la difesa sottolinea che il reato di falso non ricorre, poichè egli ha agito sotto le direttive del superiore che si è assunto la responsabilità dell’accertamento.

P.L., sempre a mezzo del difensore, denuncia il vizio di violazione di legge ed il difetto di motivazione in ordine alla mancata visione in sede dibattimentale delle immagini registrate, nel supporto dvd, dei fatti svoltisi nella piazza (OMISSIS), con la conseguente violazione del diritto di difesa, in quanto la proiezione pubblica avrebbe permesso di mettere in evidenza come la registrazione scagionasse l’imputato. La riproduzione in camera di consiglio, senza contraddittorio, integrava l’assunzione di una prova illegittima e perciò non utilizzabile. Con un secondo motivo, la difesa si duole della mancata assunzione della teste H., negata con motivazione illogica, in quanto non riferita ad elementi di fatto, ma limitata alla constatazione che la parte aveva scelto di farne richiesta ex art. 507 c.p.p. solo al termine dell’istruttoria.

Il vizio di violazione di legge ed erronea applicazione della legge penale è invocato anche per il ritenuto abuso, non avendo la corte specificato quali sarebbero le norme di legge o di regolamento violate e per il difetto del requisito della doppia ingiustizia.

In relazione al delitto di calunnia, il ricorrente rileva che la Corte non ha correttamente individuato l’elemento soggettivo, essendo al contrario palese che la donna aveva rifiutato di consegnare i documenti e, quindi, aveva effettivamente commesso il reato di cui all’art. 651 c.p., di cui alla denuncia, e la successiva resistenza;

per tale considerazione di verità era ancora evidente la insussistenza dei delitti di falso, inscindibilmente legati a quello di calunnia. Pe.Gi., in ultimo, lamenta che, con motivazione non corretta, sia stata affermata la sua responsabilità per il delitto di falso, senza considerare l’elemento soggettivo; il dolo è stato individuato nella mera falsità della attestazione del sequestro, non considerando che egli aveva obbedito alle direttive dategli dal N., non avendo alcun motivo di dubitare dell’operato di costui, anche perchè, pur presente nella piazza, egli si trovava in un lato da cui non aveva visione dei fatti avvenuti.
Motivi della decisione

I ricorsi sono da dichiarare inammissibili ed i ricorrenti sono da condannare ciascuno al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della cassa delle ammende.

Verranno esaminate in primo luogo le questioni, che presentano, nei distinti ricorsi, profili di sovrapponibilità o comunque il cui accoglimento potrebbe, per l’effetto estensivo, incidere su più posizioni.

1. Palesemente infondata è la eccezione di inutilizzabilità della testimonianza della parte offesa D., per vizio di forma. E’ da mettere in evidenza, in punto di fatto, che la Corte di appello, affermata, sostanzialmente, per la posizione rivestita dalla teste, nel corso del giudizio di primo grado, di indagata, la non utilizzabilità della sua testimonianza, nel dibattimento di secondo grado ha preso atto che era sopravvenuto decreto di archiviazione nei suoi confronti e, quindi, ne ha disposto la nuova citazione – previa rinnovazione ex art. 603 c.p.p. – sempre nelle forme previste dall’art. 197 c.p.p..

Questo procedere è esente dai denunciati vizi: in primo luogo, è ammissibile la rinnovazione della prova dichiarata inutilizzabile, allorchè la inutilizzabilità non derivi dalla violazione di un divieto probatorio ex art. 191 c.p.p., ma, come nel caso di specie, dalla violazione di regole attinenti alla assunzione della prova; ne consegue che il giudice di appello ha il potere, ex art. 603 c.p.p., comma 3, di disporre la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, allo scopo di assumere detta prova nel pieno rispetto delle forme stabilite dal codice di rito.

1. In secondo luogo, è esente da pecche la modalità della assunzione quale teste ordinario, in linea con il recente arresto, emesso dalla sezioni unite di questa corte, che ha affermato, prendendo in esame la posizione relativa alla persona offesa indagata in un procedimento connesso o relativo a reato collegato, che si sia già chiuso con provvedimento di archiviazione, che "la disciplina limitativa della capacità testimoniale di cui all’art. 197 c.p.p., comma 1, lett. a) e b), all’art. 191 bis c.p.p. e all’art. 210 c.p.p., non è applicabile alle persone sottoposte a indagini nei cui confronti sia stato emesso provvedimento di archiviazione" (Sez.Un. De Simone del 2009).

2. E ciò in quanto, come osservato nel corpo della pronuncia, allorchè, per l’adozione e l’approvazione di iniziative esattamente antitetiche all’esercizio dell’azione penale, quale la archiviazione, ogni "immanenza" procedimentale sia cessata nei confronti del soggetto interessato e non vi sia più la esigenza di apprestargli la specifica tutela difensiva prevista dalle menzionate norme.

3. In concreto, a fronte della possibilità di rinnovazione dell’atto non utilizzabile, la modalità di ascolto come testimone assistito non era giustificata al momento della assunzione della prova, nè si vede una ragione logica idem est giuridica per attribuire ad un dato temporale estraneo alla disciplina de qua e totalmente diatonico la possibilità di far rivivere uno status quello di indagato che non esiste più. 4. Quanto, poi, alla violazione del disposto dell’art. 498 c.p.p. è da osservare che l’assunzione della prova testimoniale direttamente a cura del giudice, pur non essendo conforme alle regole che disciplinano la prova stessa, non da luogo ad alcuna nullità, non essendo riconducibile alle previsioni di cui all’art. 178 c.p.p., nè ad inutilizzabilità, trattandosi di prova assunta non in violazione di divieti posti dalla legge bensì con modalità diverse da quelle prescritte (così fra le tante Sez. 5, Sentenza n. 38271 del 17/07/2008).

5. Inoltre, ed il rilievo incide sul profilo di ammissibilità della censura, che deve definirsi perciò generica e priva di un preciso collegamento con la pronuncia, il ricorrente non indica quale concreto vulnus della sua posizione difensiva sia derivato dal modo di procedere contestato, ossia quali carenza istruttorie si siano verificate e come il difetto dell’esame incrociato abbia inciso sull’accertamento delle condotte dell’imputato.

6. Anche il motivo, relativo alla mancata visione in aula del DVD, contenente le immagini relative allo svolgimento dei fatti per cui è processo, enunciato da più ricorrenti, non ha pregio alcuno.

7. Vale sul punto sottolineare che il supporto, contenente la registrazione delle riprese filmate ad opera delle telecamere di sorveglianza, costituisce una prova documentale, disciplinata dall’art. 234 c.p.p., e come tale ritualmente versata in atti, a disposizione delle parti, con il diritto di trame copia e di prenderne visione; nessuna lesione sulla conoscenza del contenuto delle riprese è, dunque, ravvisabile nella omessa riproduzione in aula. Del resto, le difese non si lamentano che sia stato loro inibito l’accesso al supporto, ma incentrano le loro lagnanza sulla possibilità di sviluppare argomentazioni a favore dei loro assistiti, con l’ausilio delle immagini, o di contestare le sequenze visive alla teste parte offesa, per meglio metterne in evidenza la inattendibilità; si tratta, dunque, non già di violazione dei diritti della difesa, che, comunque, avrebbero potuto essere esercitati, come di fatto è avvenuto, ma considerazioni di puro merito, ed in parte anche di tecnica retorica, estranee al tema decisionale, che evidentemente non possono essere oggetto di esame in questa sede.

8. Quel che invece rileva, nel giudizio di legittimità, passando così all’esame dei motivi con cui il N. ed il P. contestano la ravvisabilità a loro carico dei delitti di abuso e di violenza, è che la pronuncia impugnata abbia dato adeguata risposta, sia dal profilo dell’analisi dei dati sia dal profilo logico, alle osservazioni ed alle contestazioni mosse dagli appellanti sullo svolgimento dei fatti risultante dalle sequenze filmate. Tale obbligo motivazionale è stato compiutamente assolto dalla corte distrettuale, che ha diffusamente, nel corpo della pronuncia, analizzato i movimenti e gli atteggiamenti delle parti ed ha altresì precisato che le discrasie, sottolineate con il gravame, circa le immagini e le visuali, trovavano anche e sopratutto spiegazione nella "parzialità del filmato", che era stato estrapolato, proprio ad opera di uno degli imputati, il N., da una più ampia registrazione, in seguito cancellata, per esservi state impresse sopra altre riprese relative a giorni successivi. Ancora, il giudice territoriale ha ribadito che le scene salienti, che attesterebbero il compimento di abusive attività di compravendita da parte della parte offesa, siano mancanti, così come quelle relative alle fasi di violenta opposizione alla azione dei vv.uu., descritte invece nel verbale a carico della donna per la contestazione del delitto di resistenza; ha integrato le immagini con le dichiarazioni della donna, di cui ha ritenuto la attendibilità, dati i riscontri provenienti dalla visione del filmato (come ad esempio l’assenza di peso del borsone, attestante che esso era vuoto e non come asserito dagli imputati, pieno di ben 32 lattine di birra), ricostruendo la dinamica dei fatti, con procedimento adeguato e logico. Tale apparato argomentativo viene contestato dagli imputati opponendo, attraverso una diversa valutazione delle prove, una ricostruzione dei fatti a loro favorevole, e perciò non tenendo conto dei limiti del giudizio di legittimità. Invero, a questa corte non è consentito procedere a nuove ricostruzioni, che implicano apprezzamenti di merito, dovendo invece controllare che il giudice nel provvedimento impugnato sia pervenuto al suo accertamento senza violare le regole di cui all’art. 192 c.p.p. e dando congrua risposta alle contrarie argomentazioni difensive. Tale procedimento è stato esattamente seguito dalla corte milanese, che ha espresso, con una puntigliosa disamina di ogni questione, un logico convincimento. E deve ribadirsi al riguardo che il giudice di appello può anche richiamarsi alla sentenza di primo grado e deve rispondere ai rilievi che assumono un valore centrale potendosi esimere dalle riposte a osservazioni che non incidono sul nucleo centrale della decisione, come nella specie avvenuto.

9. Parimenti Inammissibile è il motivo, avanzato dal P., connesso alla ricostruzione dell’episodio ora esaminato sull’intervento nella piazza, circa la mancata audizione della teste H.H., sollecitata dalla difesa ex art. 507 c.p.p..

La Corte ha ritenuto, come si legge nella ordinanza dibattimentale di rigetto, che la audizione non avesse carattere di decisività e tanto basta ad escludere, motivatamente, l’esercizio del potere istruttorio sollecitato, che ha, appunto, quale presupposto la assoluta necessità della nuova prova. Del resto, è pacifico che l’art. 507 c.p.p., attribuisce al giudice un potere e non un dovere di integrazione probatoria, il che esclude che l’apprezzamento di merito, ove motivato, come nel caso in esame, possa essere sindacato in sede di legittimità. 10. In ultimo, entrambi i ricorrenti N. e P. contestano erroneamente la non configurabilità dell’art. 323 c.p., nella specie, invero, sussistente. Le argomentazioni, al riguardo svolte, non hanno alcun rilievo, posto che la condotta tenuta dai due p.u., ha integrato, oltre che delle fattispecie penalmente rilevanti, anche delle evidenti violazioni delle norme che legittimano l’intervento ed il comportamento del vigile urbano, che non deve, a suo piacimento, sottoporre a controlli i cittadini, come avvenuto nelle specie, ma deve operare al fine di contestare le infrazioni che sono rimesse al suo accertamento ed portare avanti la conseguente azione di prevenzione e repressione. Tale profilo è stato esattamente richiamato dalla corte, così come quello dell’evento di danno, correttamente centrato sulla violenza fisica e psicologica subita dalle due donne.

11. Pari rilievi di inammissibilità sono da formulare per le rimanenti censure avanzate dagli imputati, che verranno esaminate tenendo conto della formulazione della imputazione e della loro posizione di concorrenti: a) In ordine ai delitti di violenza privata, ingiurie, falso (di cui a capi f ed e) e calunnia, la responsabilità del N., affermata in forza di una ragionata quanto approfondita disamina di tutti i passaggi della sua azione, viene contestata dal ricorrente con una generica accusa di insufficienza della motivazione; è del tutto assente il confronto con la decisione, poichè egli si limita a riproporre la versione dei fatti offerta nei gradi di merito, cui la corte ha risposto, sicchè la censura è apodittica e non dialetticamente orientata a mettere in evidenza errori o pecche del provvedimento, tali da imporne l’annullamento, b) Per quanto riguarda la posizione del P., che è stato chiamato a rispondere del delitto di falso di cui al capo f) e di calunnia di cui al capo g) sopra menzionati, è da mettere in rilievo che le sue doglianze si connotano, al pari di quelle del coimputato, di aspecificità. Tali, infatti, devono considerarsi, secondo l’insegnamento di questa corte, quelle che si limitano a riprendere massime ed arresti giurisprudenziali, in realtà valevoli per indistinti casi, ma non indicano nei punti della decisione che riguardano l’impugnante, le effettive distorsioni dell’iter della motivazione. Tale deve essere considerato il ricorso dell’imputato, che dopo il richiamo dei principi in tema di falso e calunnia, si è limitato a richiamare quanto già enunciato in sede di appello ed a lamentarsi che in relazione alle circostanze in cui si erano svolti i fatti difettavano gli elementi soggettivi ed oggettivi dei delitti contestati.

In ogni caso, poi, valgono le considerazioni già svolte sui limiti del sindacato di legittimità: in realtà, i rilievi, meramente elencati, si traducono in una versione dei fatti favorevole all’imputato, in base ad una diversa valutazione – di merito – dei suoi atteggiamenti, che il giudice distrettuale, con esaustiva motivazione, ha ritenuto pienamente conforme al paradigma disegnato dalle fattispecie in esame. c) Anche il gravame del F., cui è stata imputata, insieme al P., la falsità di cui al capo e) non ha fondamento alcuno.

Il ricorrente oppone un difetto di consapevolezza, cagionato un mero errore, non giuridicamente rilevante. In tema di falsità documentali, ai fini dell’integrazione del delitto di falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici ( art. 476 c.p.), l’elemento soggettivo richiesto è il dolo generico, che consiste nella consapevolezza della "immutatio veri". E se deve escludersi che il dolo generico possa ritenersi sussistente per il solo fatto che l’atto contenga un asserto obiettivamente non veritiero, dovendosi, invece, verificare anche che la falsità non sia dovuta ad una leggerezza dell’agente, come pure ad una incompleta conoscenza e o errata interpretazione di disposizioni normative o, ancora, alla negligente applicazione di una prassi amministrativa, tuttavia deve considerarsi nel caso in esame che il F. procedette alla falsa attestazione di un accertamento in realtà mai compiuto.

In punto di motivazione, la corte di appello ha messo in evidenza come l’imputato fosse presente durante l’episodio principale avvenuto nella piazza antistante la stazione, concernente la assetta vendita delle lattine di birra e avesse, dunque, una piena conoscenza dei fatti, e quindi della inesistenza (con conseguente falsità della comunicazione) delle condotte addebitate alle due donne, il che esclude in radice la sostenuta natura colposa o involontaria della falsa comunicazione di reato. d. Le considerazioni che precedono escludono che il gravame di Pe.Gi., imputato con il N. del falso di cui al capo b), incentrato sul difetto dell’elemento soggettivo, abbia fondamento. Il segmento della azione condotta contro le due donne, che lo riguarda, è ampiamente esaminato dalla Corte che ha desunto il suo dolo,- nel senso sopra indicato, di piena consapevolezza della inesistenza della addebito-, dalla compiuta attestazione e sottoscrizione di fatti non avvenuti in sua presenza; ha rilevato, anche per il Pe., che costui aveva ammesso di non aver partecipato ai fatti avvenuti in piazza della stazione; inoltre egli era a conoscenza delle giustificazioni offerte dalla donna circa il suo fermo presso il comando, poichè egli si trovava nella stessa stanza dove era stata accolta la D. ed aveva assistito alle sue proteste. Tale motivazione, ancorata alle emergenze processuali ed priva di palesi incongruenze, anzi logicamente in linea con la ricostruzione dei fatti, eseguita dai giudici di merito, non presenta alcun errore in diritto, posto che la responsabilità dell’agente discende dalla personale assunzione della commissione di fatti in sua presenza, cui, vanamente, il Pe. oppone la obbligatorietà dell’ordine pervenutogli dal N., che di certo non poteva annullare la sottostante necessità di compiere i dovuti accertamenti nei confronti della denunciata. e. In ultimo, è da dichiarare inammissibile il motivo di gravame, proposto dal solo N. in ordine al trattamento sanzionatorio, che egli reputa eccessivo, posto che la Corte ha adeguatamente motivato sia sulla assenza di elementi favorevoli ad un ridimensionamento, mediante la concessione delle generiche, in considerazione della gravità della condotta, caratterizzata da un uso distorto dei suoi poteri, sia sulla congruità della pena, attestata sui minimi edittali. Tale giudizio di merito, congruamente espresso, è dunque insindacabile in questa sede. f. In conseguenza della inammissibilità, i ricorrenti sono da condannare, ciascuno, al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro mille alla cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille ciascuno in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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