Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 02-03-2011) 27-05-2011, n. 21306 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

volgimento del processo

Con sentenza del Tribunale di Rimini in data 13 Dicembre 1999 gli odierni ricorrenti sono stati condannati alla pena di sei anni di reclusione e 40.000,00 Euro di multa il Sig. M. e di cinque anni e quattro mesi di multa e 40.000,00 Euro di multa i Sigg.

R. e O. per il reato previsto dall’art. 110 c.p. e D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73 (esclusa l’aggravante dell’ingente quantità prevista dall’art. 80 della stessa legge), per avere detenuto e posto in vendita alla Sig.ra H. un quantitativo di 1.923 pastiglie di ecstasy per complessivi gr. 562 lordi circa e oltre 91 grammi netti di anfetamina.

In particolare, il Tribunale ha ritenuto che l’ammissione dei fatti da parte del solo Sig. M. contrasti con le risultanze probatorie e con la logica, con la conseguenza che anche la Sig.ra O., sua fidanzata, e il Sig. R. debbano rispondere di concorso nel medesimo reato.

Con la condanna qui impugnata la Corte di Appello di Bologna ha respinto i motivi relativi alla responsabilità degli imputati, ha concesso loro le circostanze attenuanti generiche, negate dal primo giudice, e conseguentemente ridotto le pene loro inflitte in cinque anni di reclusione e 15.493,00 Euro di multa per M. e in quattro anni di reclusione e 15,493,00 per R. e O..

In particolare, la Corte di Appello ha richiamato, condividendoli, i passaggi motivazionali nei quali il Tribunale afferma che gli imputati, tenuti sotto osservazione, dopo una trasferta milanese della coppia M. – O., giunsero nei pressi dell’abitazione dell’acquirente e parcheggiarono l’auto di proprietà della Sig.ra O. non lontano dall’ingresso; a questo punto il Sig. M. si era portato nell’abitazione e quindi, riferito all’acquirente che avevano la merce e appreso che tutto era a posto, era ridisceso; l’auto era stata spostata e parcheggiata vicino al portone d’ingresso e R. e M. ne erano discesi e portandosi con la droga nell’alloggio, dove la polizia giudiziaria era intervenuta.

Tutti gli imputati hanno proposto ricorso.

Il Sig. M. in sintesi lamenta:

a) nullità del giudizio e della sentenza di appello per violazione dell’art. 420 ter c.p.p. per avere la Corte territoriale erroneamente omesso di riconoscere il legittimo impedimento del Difensore di fiducia e celebrato il giudizio in sua assenza;

b) violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata applicazione nel massimo della diminuzione di pena a seguito delle riconosciute circostanze attenuanti e alla assenza di motivazione sia sull’entità della pena base sia sul successivo calcolo;

Il Sig. R. in sintesi lamenta:

a) vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e) in relazione alla mancata dichiarazione di assenza delle prove di responsabilità penale e, in via subordinata, alla mancata applicazione dell’istituto della connivenza non punibile: il Sig. M. ha riferito di avere casualmente incontrato il Sig. R. in Bologna e di avergli chiesto di accompagnare lui e la fidanzata a Riccione, cosa che R. aveva accettato di fare nulla sapendo della presenza di sostanza stupefacente.

Nessuna parte della successiva condotta autorizza a ritenere il ricorrente partecipe dell’acquisto e del trasporto della droga e della successiva trattativa tra il Sig. M. e l’acquirente.

Attesa la totale assenza di motivazione sulle criticità prospettate coi motivi di appello, la sentenza deve essere annullata;

b) vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e) in relazione alla mancata applicazione della circostanza prevista dall’art. 114 c.p..

La Sig.ra O. in sintesi lamenta:

a) violazione di legge in relazione agli artt. 42 e 530 c.p. e vizio di motivazione per avere la Corte territoriale erroneamente affermato al responsabilità della ricorrente, responsabilità che viene in poche righe riconosciuta in modo illogico per il ruolo che la ricorrente avrebbe svolto restando in auto mentre le altre due persone ne erano discese.

La motivazione omette del tutto di rispondere alle censure mosse coi motivi di appello e con la successiva memoria difensiva ed omette di illustrare quali elementi deporrebbero per la consapevolezza della presenza della sostanza stupefacente e per l’esistenza di un contributo causale;

b) violazione di legge in relazione al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 1, e vizio di motivazione per avere la Corte territoriale erroneamente determinato la pena base in misura molto superiore al minimo edittale introdotto con legge successiva alla data del fatto, soluzione illogica e contraddittoria se posta in relazione alla decisione di concedere le circostanze attenuanti generiche;

c) violazione di legge in relazione al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, e vizio di motivazione per avere la Corte territoriale omesso di dare risposta al motivo aggiunto concernente l’applicabilità dell’ipotesi attenuata in relazione al ruolo minimo rivestito dalla ricorrente;

d) violazione di legge in relazione all’art. 114 c.p. e vizio di motivazione per avere la Corte territoriale omesso di riconoscere detta diminuente senza fornire sul punto alcuna motivazione rispetto alla specifica richiesta contenuta nei motivi di appello.
Motivi della decisione

I ricorsi debbono sono, a parere della Corte, generici e manifestamente infondati.

1. La Corte ritiene di dover affrontare preliminarmente il primo motivo di ricorso proposto dal Sig. M..

Si tratta di motivo generico, e dunque inammissibile ai sensi dell’art. 581 c.p.p., lett. c) e art. 591 c.p.p., lett. c), in quanto non affronta gli argomenti posti dalla Corte di Appello a fondamento dell’ordinanza dibattimentale che ha respinto l’istanza volta al riconoscimento del legittimo impedimento sulla base dell’immotivata prospettazione dell’impossibilità di nominare un sostituto processuale.

2. Quanto al residuo motivo del ricorso M. e ai motivi di ricorso R. e O., la Corte ritiene che il contenuto delle impugnazioni imponga una osservazione preliminare.

Il giudizio di legittimità rappresenta lo strumento di controllo della corretta applicazione della legge sostanziale e processuale e non può costituire un terzo grado di giudizio volto alla ricostruzione dei fatti oggetto di contestazione.

Si tratta di principio affermato in modo condivisibile dalla sentenza delle Sezioni Unite Penali, n. 2120, del 23 novembre 1995-23 febbraio 1996, Fachini (rv 203767) e quindi dalla decisione con cui le Sezioni Unite hanno definito i concetti di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione (n. 47289 del 2003, Petrella, rv 226074).

Una dimostrazione della sostanziale differenza esistente tra i due giudizi può essere ricavata, tra l’altro, dalla motivazione della sentenza n. 26 del 2007 della Corte costituzionale, che (punto 6.1), argomentando in ordine alla modifica introdotta dalla L. n. 46 del 2006 al potere di impugnazione del pubblico ministero, afferma che la esclusione della possibilità di ricorso in sede di appello costituisce una limitazione effettiva degli spazi di controllo sulle decisioni giudiziali in quanto il giudizio avanti la Corte di cassazione è "rimedio (che) non attinge comunque alla pienezza del riesame di merito, consentito (invece) dall’appello".

Se, dunque, il controllo demandato alla Corte di cassazione non ha "la pienezza del riesame di merito" che è propria del controllo operato dalle corti di appello, ben si comprende come il nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., lett. e) non autorizzi affatto il ricorso a fondare la richiesta di annullamento della sentenza di merito chiedendo al giudice di legittimità di ripercorrere l’intera ricostruzione della vicenda oggetto di giudizio.

Tale impostazione è stata ribadita, anche dopo la modifica della lett. e) dell’art. 606 c.p.p. apportata dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, comma 1, lett. b) dalle sentenze della Seconda Sezione Penale, n. 23419 del 23 maggio-14 giugno 2007, PG in proc. Vignaroli (rv 236893) e della Prima Sezione Penale, n. 24667 del 15-21 giugno 2007, Musumeci (rv 237207).

Appare, dunque, del tutto convincente la costante affermazione giurisprudenziale secondo cui è "preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti" (fra tutte: Sezione Sesta Penale, sentenza n. 22256 del 26 aprile-23 giugno 2006, Bosco, rv 234148).

3. Alla luce di tali principi interpretativi la Corte ritiene che l’esame delle motivazioni delle due sentenze di merito imponga di concludere per la inammissibilità dei motivi d’impugnazione concernenti la penale responsabilità degli imputati, apparendo del tutto privi di vizi logici i passaggi motivazionali che escludono la ignoranza dei ricorrenti circa la presenza della sostanza stupefacente, circa le effettive ragioni della trasferta a Riccione dopo il viaggio a Milano e circa l’apporto delle loro condotte, riconducibili alla previsione dell’art. 110 c.p..

Ad analoga conclusione deve giungersi quanto ai motivi di ricorso concernenti l’applicazione della disposizione prevista dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, non risultando nè incoerente coi dati di fatto nè illogico il giudizio di gravità formulato dai giudici di merito e le conseguenti valutazioni in tema circostanze che attenuano la gravità del fatto.

4. Quanto, poi, ai motivi di ricorso R. e O. relativi alla mancata applicazione della disposizione prevista dall’art.114 c.p.p., si è in presenza di censure che non possono trovare ingresso in questa sede, non difettando una specifica e logica motivazione sul punto.

I giudici di merito hanno considerato, con valutazione di fatto sottratta al controllo di legittimità se congruamente motivata, che la condotta di ciascuno dei ricorrenti dette un apporto causale consapevole e non privo di rilevanza al verificarsi della cessione di droga, illustrando nella penultima pagina le ragioni per cui tale conclusione opera anche per la Sig.ra O..

5. Resta così da esaminare il motivo di ricorso O. relativo all’entità del trattamento sanzionatorio.

La motivazione con cui i giudici ci merito hanno accolto i motivi d’impugnazione relativi alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche non si pongono affatto, a parere di questa Corte, in contrasto con la determinazione della pena base in misura non prossima ai minimi edittali.

La stessa motivazione evidenzia sotto plurimi profili la gravità obiettiva del fatto, legata al numero elevatissimo di pasticche di sostanza proibita, e considera tale gravità così evidente da inibire l’applicazione del massimo di diminuzione della pena ai sensi dell’art. 62 bis c.p..

Tale motivazione appare coerente coi dati processuali e priva di contraddittorietà, ed è pertanto non censurabile in sede di legittimità.

Anche questo motivo di ricorso risulta, dunque, manifestamente infondato.

6. Sulla base delle considerazioni fin qui svolte i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con conseguente condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.

Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che i ricorrenti versino ciascuno la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente la pagamento delle spese del presente giudizio,, nonchè ciascuno di essi al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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