Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 12-04-2011) 27-05-2011, n. 21397 Poteri della Cassazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 13.5.2010 la Corte d’Appello di Catanzaro in riforma della sentenza del GUP presso il Tribunale di Lamezia Terme riduceva la pena inflitta a T.L. per i reati di concorso in rapina aggravata, violazione di domicilio in danno di F. S., F.D. e P.S.E. e violenza sessuale di gruppo in danno di S.N.E., confermando nel resto l’impugnata sentenza.

Ricorre per Cassazione il difensore dell’imputato deducendo come unico motivo la mancanza e manifesta illogicità della motivazione.

Lamenta il ricorrente la mancata valutazione da parte della Corte territoriale delle deduzioni difensive sviluppate nella memoria prodotta in sede di appello. In particolare la circostanza che il T. nel momento in cui i suoi correi avevano posto in essere le condotte illecite contestate era in un’altra stanza con la N. S. con conseguente insussistenza del reato di violenza sessuale di gruppo e di rapina. Sostiene che il giudice d’appello, seppure sollecitato nei motivi di gravame, non ha affrontato il tema del concorso dell’imputato nei reati in esame.

Nell’esaminare la doglianza formulata dal ricorrente che riguarda la tenuta argomentativa della sentenza, appare utile ricordare, in via preliminare, i rigorosi limiti del controllo di legittimità sulla sentenza di merito.

Invero, ai sensi di quanto disposto dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il controllo di legittimità sulla motivazione non concerne ne la ricostruzione dei fatti nè l’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento.

Deve aggiungersi che l’illogicità della motivazione, deve risultare percepibile ictu oculi, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Cass., Sez. 4, 4 dicembre 2003, Cozzolino ed altri). Inoltre, va precisato, che il vizio della "manifesta illogicità" della motivazione deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica "rispetto a sè stessa", cioè rispetto agli atti processuali citati. I limiti del sindacato della Corte non paiono mutati neppure a seguito della nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), intervenuta a seguito della L. 20 febbraio 2006, n. 46. La Corte, anche nel quadro nella nuova disciplina, è e resta giudice della motivazione.

Nel caso di specie il ricorrente non solo ha reiterato doglianze già esposte con i motivi d’appello e debitamente disattese dalla Corte di merito, ma non ha nemmeno sostenuto il suo assunto con richiamo ad atti specifici e ben individuati del processo che il giudice di merito avrebbe omesso di valutare. hi proposito il Collegio osserva che è ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio della c.d.

"autosufficienza" del ricorso in base al quale quando la doglianza fa riferimento ad atti processuali, la cui valutazione si assume essere stata omessa o travisata, è onere del ricorrente suffragare la validità del proprio assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti specificatamente indicati o la loro allegazione (ovviamente nei limiti di quanto era già stato dedotto in precedenza), essendo precluso alla Corte l’esame diretto degli atti del processo, a meno che il fumus del vizio dedotto non emerga all’evidenza dalla stessa articolazione del ricorso (cfr.

Cass. n. 20344/06; Cass. n. 20370/06; Cass. n. 47499/07; Cass. n. 16706/08).

Nel caso in esame il ricorrente non ha messo a disposizione di questa Corte di legittimità gli elementi obiettivi necessari per apprezzare, sulla base di atti specificatamente trascritti o allegati, la sussistenza o l’insussistenza di un fumus delle doglianze e quindi l’utilità o la superfluità di un esame diretto dei relativi atti. Quanto alle definizioni giuridiche occorre comunque considerare che il reato di cui all’art. 609 octies c.p., si differenzia da quello di cui all’art. 609 bis c.p., in quanto richiede la partecipazione da parte di più persone riunite agli atti di violenza sessuale. Deve comunque osservarsi che se è necessario che costoro partecipino all’esecuzione materiale del reato, non occorre però che tutti compiano gli atti di violenza sessuale, poichè la partecipazione ricorre ogni volta che è comunque dato un contributo causale alla realizzazione del reato. Ne consegue che sussiste la violenza sessuale di gruppo sia quando gli aggressori congiuntamente o "a turno", sottopongono la vittima ad atti di violenza sessuale, sia quando tali atti sono compiuti da uno solo di essi, poichè il fatto è sempre dovuto all’azione congiunta di tutti i compartecipi. Per le stesse ragioni non è necessario che i componenti del gruppo assistano al compimento degli atti di violenza sessuale, essendo sufficiente che essi siano presenti sul luogo ove la vittima è trattenuta ed al momento in cui gli atti di violenza sessuale sono compiuti da uno di loro, poichè costui trae forza dalla loro presenza "in loco" e quindi la violenza sessuale è riferibile all’intero gruppo., (vedi in tal senso Cass. sent. N. 1156/2010; Cass. pen. sez. 3^ sent. 23 marzo 2005, n. 17843, rv 231524; vedi anche Cass. pen. sez. 3^ sent. 5 aprile 2000, n. 6464, rv 216978). Sulla base di tale precisazioni emerge evidente che nel caso in esame correttamente i giudici di merito hanno ritenuto sussistente il reato in argomento. Hanno infatti affermato che il T. dopo avere usato minacce nei confronti delle donne ed afferrato altresì per i capelli la S.N.E., al fine di costringerla a compiere l’atto sessuale, è stato sorpreso dalla P.G. mentre stava consumando un atto sessuale di natura orale con quest’ultima con la simultanea presenza dei minori nel luogo e nel momento della consumazione del reato.

In applicazione a tali principi il Collegio ritiene che le risultanze processuali inadeguatamente esposte e le argomentazioni esposte nel motivo in esame si risolvono in censure in punto di fatto che tendono unicamente a prospettare una diversa ed alternativa lettura dei fatti di causa, ma che non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità a fronte di una sentenza impugnata che, come già detto, appare congruamente e coerentemente motivata con riguardo alla sussistenza dei reati e al concorso del T. nella realizzazione degli stessi. Infondate sono le contestazioni in diritto.

Il ricorso deve essere respinto. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali Oscurare i dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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