Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 02-03-2011) 27-05-2011, n. 21308 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza emessa in data 21 Luglio 2009 al termine di rito abbreviato il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Genova ha condannato gli imputati, previa concessione delle circostanze attenuanti genetiche, per il reato previsto dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 1 bis, fatto commesso il 19 Gennaio 2009), per avere i Sigg. Pu. e C. trasportato circa 65 grammi di eroina e cocaina (contenenti gr. 6,8 di principio attivo) destinata al Sig. P.; le pene sono state fissate per P. in quattro anni e otto mesi di reclusione e 24.000,00 Euro di multa, per PU. in quattro anni e quattro mesi di reclusione e 20.000,00 Euro di multa, per C. in due anni e 8 mesi di reclusione e 12.000,00 Euro di multa.

La Corte di Appello di Genova ha integralmente confermato la prima decisione, respingendo i motivi di impugnazione in punto di responsabilità penale, escludendo la riconducibilità del fatto all’ipotesi prevista dal comma 5 dell’art. 73, citato, rigettando i motivi concernenti l’applicazione della recidiva e il trattamento sanzionatorio, ivi compresa la richiesta di applicazione della circostanza prevista dall’art. 114 c.p. avanzata dalla Sig.ra C..

Tutti gli imputati hanno proposto ricorso.

Il Sig. P. lamenta, in sintesi:

1. violazione di legge e vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e): la condanna è fondata su elementi indiziali privi dei necessari requisiti di precisione e concordanza.

E, infatti, il mancato controllo delle persone in occasione di precedenti trasferimenti non consente di ritenere provato che questi avessero correlazione con trasporti di sostanza stupefacente e lo stesso tenore delle comunicazioni intercorse in occasione del trasporto del 19 gennaio 2009, il cui contenuto non è riportato nella motivazione, è assolutamente privo di univocità e non consente, in violazione del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 75, di affermare che la sostanza fosse destinata a terzi e non al consumo personale;

2. violazione di legge e vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione alla mancata applicazione della disposizione del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5;

erroneamente la motivazione attribuisce al ricorrente la destinazione di tutta la sostanza sequestrata e considerata provata a suo carico una sistematica attività di spaccio, circostanze che non sono desumibili dal materiale probatorio, con la conseguenza che l’intera motivazione risulta viziata nella parte in cui esclude l’esistenza dell’ipotesi attenuata in parola;

3. violazione di legge e vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione all’applicazione della recidiva ex art. 99 c.p., avendo la Corte di Appello omesso di dare conto delle ragioni dell’applicazione della recidiva in una ipotesi in cui l’aumento è facoltativo e, come tale, necessita di specifica ed effettiva motivazione.

La Corte territoriale ha omesso di considerare i numerosi elementi di fatto puntualmente esposti in sede di appello (e sintetizzati a pag.

9 del ricorso) che dovrebbero condurre ad escludere la recidiva.

Il Sig. Pu. lamenta, in sintesi:

1. violazione di legge e vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, per avere la Corte di Appello omesso di considerare che la sostanza sequestrata aveva minimo principio attivo, era di pessima qualità e destinata a soddisfare le necessità di quattro persone, nonchè omesso di considerare la circostanza che le conversazioni intercettate non consentono affatto di affermare la sussistenza di un’attività sistematica di cessione a terzi;

2. violazione di legge e vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) per avere erroneamente il Tribunale ritenuto rilevanti i precedenti penali del ricorrente, in realtà risalenti nel tempo e relativi a fatti di modesta entità, ed avere immotivatamente considerata sussistere un’attività sistematica di spaccio che non trova riscontro in atti;

3. violazione di legge e vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione all’entità della pena inflitta, sproporzionata rispetto alla gravità del fatto e alla personalità del ricorrente.

La Sig.ra C. lamenta in sintesi:

1. violazione di legge e vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, per avere la Corte di Appello omesso di considerare il minimo ruolo svolto nella vicenda e la mancanza di prova circa la consapevolezza in ordine alla quantità di sostanza sequestrata;

2. violazione di legge e vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione alla mancata applicazione dell’art. 114 c.p. per avere la Corte di Appello omesso di considerare il ruolo marginale e la presenza occasionale della ricorrente.
Motivi della decisione

1. La contestazione mossa ai ricorrenti è di avere concorso nel procacciamento di oltre 60 grammi lordi di eroina, contenenti circa 7 grammi di principio attivo, destinati alla persona del Sig. P., avendo i Sigg. Pu. e C. provveduto in data 19 gennaio 2009 al ritiro dal venditore in Milano e al trasporto della sostanza.

La sentenza di primo grado ha ritenuto sussistere il reato contestato e che questo non rappresenti un episodio isolato, ma debba essere inserito in una più vasta attività di commercio di droga che, non specificamente contestata per non essere stato possibile determinare la natura e la quantità delle sostanze trattate in precedenti occasioni, contribuisce a qualificare il fatto del 19 gennaio 2009 e la sua gravità.

Tale valutazione è stata contestata dai ricorrenti odierni con i motivi di appello, che hanno sollecitato una diversa ricostruzione dei fatti e richiesto, in caso di condanna, un più mite trattamento sanzionatorio a causa della necessaria rivalutazione dei fatti in termini di minore gravità.

La sentenza della Corte di Appello ha respinto le richieste degli imputati e confermato l’impianto della prima decisione.

Con i motivi di ricorso vengono riproposte in gran parte le questioni sollevate in sede di appello e si lamenta, tra l’altro, il vizio di carenza di motivazione per avere la sentenza omesso di dare risposta ai temi introdotti con gli atti di impugnazione.

2. Il contenuto dei motivi di ricorso impone alla Corte di osservare preliminarmente che il giudizio di legittimità rappresenta lo strumento di controllo della corretta applicazione della legge sostanziale e processuale e non può costituire un ulteriore grado di giudizio volto alla ricostruzione dei fatti oggetto di contestazione.

Si tratta di principio affermato in modo condivisibile dalla sentenza delle Sezioni Unite Penali, n. 2120, del 23 novembre 1995-23 febbraio 1996, Fachini (rv 203767) e quindi dalla decisione con cui le Sezioni Unite hanno definito i concetti di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione (n. 47289 del 2003, Petrella, rv 226074).

Una dimostrazione della sostanziale differenza esistente tra i due giudizi può essere ricavata, tra l’altro, dalla motivazione della sentenza n. 26 del 2007 della Corte costituzionale, che (punto 6.1), argomentando in ordine alla modifica introdotta dalla L. n. 46 del 2006 al potere di impugnazione del pubblico ministero, afferma che la esclusione della possibilità di ricorso in sede di appello costituisce una limitazione effettiva degli spazi di controllo sulle decisioni giudiziali in quanto il giudizio avanti la Corte di cassazione è "rimedio (che) non attinge comunque alla pienezza del riesame di merito, consentito (invece) dall’appello".

Se, dunque, il controllo demandato alla Corte di cassazione non ha "la pienezza del riesame di merito" che è propria del controllo operato dalle corti di appello, ben si comprende come il nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., lett. e) non autorizzi affatto il ricorso a fondare la richiesta di annullamento della sentenza di merito chiedendo al giudice di legittimità di ripercorrere l’intera ricostruzione della vicenda oggetto di giudizio.

Tale impostazione è stata ribadita, anche dopo la modifica della lett. e) dell’art. 606 c.p.p. apportata dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, comma 1, lett. b) dalle sentenze della Seconda Sezione Penale, n. 23419 del 23 maggio-14 giugno 2007, PG in proc. Vignaroli (rv 236893) e della Prima Sezione Penale, n. 24667 del 15-21 giugno 2007, Musumeci (rv 237207).

Appare, dunque, del tutto convincente la costante affermazione giurisprudenziale secondo cui è "preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti" (fra tutte: Sezione Sesta Penale, sentenza n. 22256 del 26 aprile-23 giugno 2006, Bosco, rv 234148).

3. L’applicazione di tali principi al caso in esame impone di ritenere i motivi di ricorso generici e manifestamente infondati.

Va, in primo luogo, escluso che la sentenza di appello ometta di dare risposta alle censure introdotte con gli atti di impugnazione e incorra così nel vizio di carenza di motivazione.

Per quanto sintetica, la motivazione esamina i motivi di ricorso di ciascuno degli imputati e da conto in maniera chiara delle ragioni che conducono alla reiezione dei motivi.

Va, poi, escluso che la sentenza impugnata meriti censura allorchè afferma che il fatto di reato non si connota per occasionala e scarsa rilevanza, ma appare sintomatico di una sistematicità di condotta, in presenza di due sentenze di merito che giungono a valutazioni conformi, è il giudice di legittimità può procedere all’esame anche della motivazione della sentenza di primo grado al fine di apprezzare gli argomenti logici utilizzati dal giudice di appello con rinvio alla ricostruzione dei fatti operata con la precedente decisione.

Ebbene, alle pagine 4 e 5 della sentenza di primo grado si dà conto delle numerose conversazioni telefoniche da cui emergono sia i contatti del Sig. Pu. con il fornitore milanese della sostanza sia le conversazioni tra i Sigg. Pu. e P. per la ricerca di acquirenti cui destinare parte della sostanza sia, infine, le telefonate di terzi interessati alla sostanza.

Sulla base di questo retroterra fattuale appare immune da vizi logici la sentenza della Corte di Appello nelle parti in cui collega i precedenti viaggi a quello effettuato in giorno 19 gennaio 2009 e non possono trovare ingresso in questa sede le censure con le quali i ricorrenti finiscono per prospettare una diversa ricostruzione dei fatti, del loro ruolo e dei livelli di responsabilità che non può costituire oggetto di esame in sede di legittimità. 4. La Corte ritiene che anche i residui motivi dei ricorrenti siano manifestamente infondati.

Le decisioni dei giudici di merito offrono una motivazione coerente e logica in ordine alla qualificazione giuridica dei fatti e all’esclusione dell’ipotesi prevista dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5 e di quella prevista dall’art. 114 c.p., nonchè in ordine al regime delle circostanze del reato;

in particolare, non risulta censurabile la valutazione circa l’applicazione del regime della recidiva, che la Difesa non condivide proponendo una diversa lettura degli elementi processuali, ma che la Corte di Appello ha motivato dando prevalenza ad alcuni degli elementi esaminati senza incorrere in contraddittorietà o illogicità.

Quanto, infine, alle censure in punto di determinazione della pena, si tratta di doglianze generiche e non ammissibili in questa sede a fronte delle chiare e non illogiche motivazioni offerte dai giudici di appello, del tutto coerenti con la ricostruzione dei fatti e con la valutazione di gravità delle condotte.

Sulla base delle considerazioni fin qui svolte i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con conseguente condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.

Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che i ricorrenti versino ciascuno la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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