Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 02-03-2011) 27-05-2011, n. 21307

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del Tribunale di Brescia in data 3 Dicembre 2008 gli odierni ricorrenti sono stati condannati perchè ritenuti responsabili di plurime condotte di violazione del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73 commesse dal mese di Ottobre 2006 al mese di Febbraio 2007, come specificamente contestato nei singoli capi di imputazione; applicata a tutti la disposizione contenuta nel comma 5 dell’art. 73, citato, il Tribunale ha determinato le penne nella misura di due anni di reclusione e 4.000,00 Euro di multa per il Sig. M., di due anni e quattro mesi di reclusione e 10.000,00 Euro di multa per la Sig.ra P. e di un anno di reclusione e 1.800,00 di multa per il Sig. Mo..

Con la sentenza emessa il 7 Gennaio 2010 la Corte di Appello di Brescia ha respinto tutti i motivi di appello e confermato la prima decisione, esaminando partitamente le censure prospettate (pagg. 6-9 della motivazione).

Avverso tale decisione gli imputati propongono separati ricorsi.

Il Sig. M. propone un unico motivo d’impugnazione con il quale si censura la motivazione della sentenza per genericità e mancato esame delle questioni sottoposte con i motivi di appello.

Analoga censura viene mossa con l’unico motivo di ricorso proposto dal Sig. MO., le cui censure evidenziano come la Corte di Appello abbia omesso di effettuare il controllo che le era stato richiesto con i motivi di appello.

La Sig.ra P. propone tre distinti motivi di ricorso, sintetizzabili come segue:

1. vizio di motivazione in relazione alle questioni sottoposte all’attenzione della Corte di Appello con riferimento alla specifica responsabilità penale della ricorrente;

2. vizio di motivazione con riferimento al contributo causale delle condotte della ricorrente e alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato;

3. vizio di motivazione per avere la Corte di Appello omesso di valutare l’esistenza di un contrasto insuperabile fra la decisione del Tribunale assunta in data 3 Dicembre 2008 e la decisione emessa dal Giudice dell’udienza preliminare in sede in data 3 Aprile 2007 a carico di altro imputato.

Lamenta, poi, la irrazionalità del trattamento sanzionatorio se rapportata al ruolo minimo della ricorrente e alle più contenute pene che il Giudice dell’udienza preliminare ha inflitto ad altro imputato che rivestiva un ruolo assai più significativo all’interno della contestazione di reato.
Motivi della decisione

La Corte ritiene che i motivi di ricorso siano manifestamente infondati e in parte generici.

1. Secondo il costante orientamento di questa Corte, si considerano generici, con riferimento al disposto dell’art. 59 c.p.p., comma 1, lett. c), i motivi che ripropongono davanti al giudice di legittimità le medesime doglianze presentate in sede di appello avverso la sentenza di primo grado e che nella sostanza non tengono conto delle ragioni che la Corte di Appello ha posto a fondamento della decisione sui punti contestati (cfr., tra le altre, Seconda Sezione Penale, sentenza 6 maggio 2003, Cucillo).

A tale proposito deve rilevarsi che non risponde a verità che la Corte territoriale non abbia offerto risposta alle censure mosse alla prima sentenza coi motivi di appello: dopo avere puntualmente sintetizzato i motivi di appello alle pagine 5 e 6 della motivazione, la Corte territoriale ha proceduto ad un esame di ciascuno dei medesimi, così che deve escludersi che sussista il lamentato vizio motivazionale e deve concludersi che i motivi di ricorso proposti dai Sigg. M. e Mo. sono viziati da genericità oltre che manifestamente infondati.

Ad analoga conclusione deve giungersi per i motivi primo e secondo della Sig.ra P..

2. Quanto al terzo motivo P., la Corte rileva che il terzo capoverso di pag. 9 della motivazione offra una puntuale e logica risposta alle censure mosse alla prima sentenza con riferimento all’entità del trattamento sanzionatorio.

Ogni riferimento alle decisioni assunte dal Giudice dell’udienza preliminare in sede di rito alternativo nei confronti di altri imputati non può trovare ingresso nel giudizio di legittimità e costituisce una censura inammissibile.

3. Sulla base delle considerazioni fin qui svolte i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con conseguente condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.

Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che i ricorrenti versino ciascuno la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, nonchè al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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