Cons. Stato Sez. VI, Sent., 30-05-2011, n. 3218 Personale ospedaliero

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata il Tribunale amministrativo regionale dell’Abruzzo – Sede di Pescara – ha respinto il ricorso con il quale gli odierni appellanti avevano chiesto l’annullamento della graduatoria della Facoltà di medicina e chirurgia dell’università di Chieti – laurea in fisioterapia – che aveva individuato gli ammessi alla riconversione (settanta posti) per i possessori di diploma di masso fisioterapista.

Essi avevano lamentato la loro illegittima esclusione, disposta in quanto non in regola con i requisiti del bando, ed erano insorti prospettando violazioni di legge ed eccesso di potere.

In particolare, avevano fatto presente di aver conseguito i diplomi nella regione Puglia tra il 2000 ed il 2002: sebbene fosse stato superato il limite di legge e di bando, la circostanza era ascrivibile alla Regione Puglia, che aveva dapprima ritardato lo svolgimento dei corsi e poi operato una sanatoria.

Il primo giudice ha respinto il ricorso affermando che il superamento del limite temporale per il conseguimento del diploma violava un requisito primario stabilito dal bando; quanto accaduto nella Regione Puglia non era opponibile all’Università di Chieti, che si era attenuta alla normativa generale ed al bando di concorso; l’elenco degli esclusi, affisso in bacheca senza alcuna comunicazione personale era conforme al bando ed indicava nella parte terza, il motivo della esclusione (integrava causa di non ammissione il possesso di titoli conseguiti dopo il 1997).

La tesi postulante la validità dell’attestato di massofisioterapista, ancorché conseguito dopo il 1997 non poteva essere accolta.

Gli originari ricorrenti hanno allora proposto appello, chiedendo la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo. Essi assumono che la Regione Puglia aveva univocamente manifestato la volontà di effettuare i corsi professionali necessari a qualificare professionalmente, tra gli altri, i masso fisioterapisti: ed aveva provveduto a sanare i numerosi corsi avviati da gestori privati e non previsti nel piano dell’anno 1996. L’Università di Chieti aveva inesattamente ritenuto che la figura professionale del massofisioterapista fosse stata soppressa. Essa era invece contemplata, in principio, dall’art. 6, comma 3, d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, tanto che il d.lgs. 7 dicembre 1993, n. 517 aveva modificato il testo della stessa disposizione. I corsi frequentati dagli appellanti erano validi ed efficaci per ottenere la riconversione creditizia di cui al bando della Facoltà di medicina e chirurgia dell’Università di Chieti. Gli appellanti avevano regolarmente frequentato i corsi, superato i relativi esami, e soltanto per un difettoso coordinamento della legislazione succedutasi non avevano potuto mettere a frutto il patrimonio cognitivo acquisito. La circostanza che non avevano potuto sostenere l’esame entro il 1998 non era loro ascrivibile: in ogni caso era incontestabile che tutti i corsi triennali di formazione dagli stessi frequentati si erano conclusi prima del 1998.

Gli odierni appellanti, che in virtù di ordinanze cautelari emesse dallo stesso Tribunale amministrativo regionale dell’Abruzzo e, successivamente, da questa VI Sezione del Consiglio di Stato erano stati ammessi con riserva ai corsi di laurea in fisioterapia (previo pagamento delle tasse universitarie) si erano ormai laureati con ottimi voti.

Gli appellanti con diverse memorie hanno puntualizzato e ribadito le censure, evidenziando che i diplomi di laurea che avevano conseguito non erano stati ancora loro consegnati e che pertanto non si poteva ravvisare alcuna carenza di interesse alla decisione del ricorso in appello. Peraltro l’Università di Chieti, per libera scelta, aveva ampliato il numero di posti originariamente fissati (e pari a 70). Essi avevano frequentato regolarmente i corsi per i quali i diplomi erano stati consegnati in ritardo (anni 2000/20002) ed avevano altresì riposto legittimo affidamento nella ammissione con riserva al corso universitario.

L’appellata Amministrazione si è costituita nell’appello, depositando due memorie e chiedendo la reiezione del gravame. Essa ha ribadito l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado per omessa notifica ad almeno un controinteressato: la circostanza che essi fossero stati ammessi in qualità di "soprannumerari" non elideva quell’obbligo di notifica. Nel merito, era evidente la correttezza delle statuizioni della sentenza, avendo gli appellanti conseguito i diplomi di "massoterapia" dopo il 1994 ed in relazione ad attività formative alla cui programmazione e progettazione l’Ateneo di Chieti non aveva in alcun modo partecipato.

Con ulteriori note di replica gli appellanti hanno fatto presente che, a seguito dell’ampliamento del numero dei partecipanti al corso di laurea disposto dal’Università di Chieti, non era individuabile alcun soggetto controinteressato e che la posizione dell’appellata appariva collidere con i principi del giusto affidamento, depositando gli attestati di frequenza dai quali risultava che tutti avevano superato l’esame universitario finale con un lusinghiero punteggio.

Alla camera di consiglio fissata per l’esame dell’istanza cautelare di sospensione della esecutività della sentenza appellata, la Sezione ha accolto l’appello cautelare ed ha sospeso l’esecutività della sentenza.

Alla odierna pubblica udienza del 15 aprile 2011 la causa è stata posta in decisione.
Motivi della decisione

1. L’appello è fondato va accolto nei termini di cui alla motivazione che segue, con conseguente annullamento dell’impugnata sentenza ed accoglimento del ricorso di primo grado.

1.1. Va preliminarmente disattesa l’eccezione sollevata dall’appellato Ateneo, volta a sostenere l’originaria inammissibilità del ricorso di primo grado a cagione dell’omessa notifica ad almeno un controinteressato: l’ampliamento della platea degli ammessi alla frequentazione del corso non rendeva individuabile l’individuazione di alcun controinteressato in senso tecnico.

2. Ciò premesso, si ritiene indispensabile, ai fini di una migliore intelligenza delle pretese devolute alla cognizione del Collegio, ricostruire l’evoluzione della legislazione riguardo a questo specifico settore.

2.1. Il dato da cui è necessario trarre le mosse riposa nell’art. 1, comma 1, l. 19 maggio 1971, n. 403 (nuove norme sulla professione e sul collocamento dei massaggiatori e massofisioterapisti ciechi), che – professionalizzando l’attività in questione – legittimava l’esercizio della "professione sanitaria ausiliaria" di massaggiatore e massofisioterapista soltanto per i massaggiatori e i massofisioterapisti diplomati da una scuola di massaggio e massofisioterapia statale o autorizzata con decreto del Ministro per la sanità. La giurisprudenza (Cons. Stato, IV, 23 novembre 1985, n. 567) rilevò infatti che mercé detta disposizione l’attività di massaggiatore e di massofisioterapista aveva acquisito natura giuridica di libera professione. Occorreva dunque una previa abilitazione basata su un’apposita formazione tecnica dell’interessato. Quanto alla competenza amministrativa, dopo il passaggio delle competenze in materia di corsi professionali alle Regioni, competenti ad accreditare le scuole in questione erano quest’ultime.

2.2. Il successivo dato normativo di rilievo è quello dell’art. 6, comma 3, d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, vale a dire la c.d. seconda riforma sanitaria, che, dopo aver posto disposizioni per la formazione universitaria del personale esercente le professioni sanitarie all’epoca chiamate "ausiliarie", ha demandato al Ministro della sanità l’individuazione delle figure professionali da formare e dei relativi profili. Ciò in conformità alla previsione dell’art. 1, comma 1, lett. o) l. 23 ottobre 1992, n. 421 (delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale) in base a cui dovevano essere previste nuove modalità di rapporto tra Servizio sanitario nazionale ed università, tra l’altro, per la formazione in ambito ospedaliero del personale sanitario e per le specializzazioni "post laurea".

La disposizione di cui all’art. 6 (rapporti tra Servizio sanitario nazionale ed Università), comma 3,del conseguente d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 è stata poi modificata dall’art. 7 d.lgs. 7 dicembre 1993, n. 517.

Perciò ad oggi la formulazione di questo art. 6, comma 3, per quanto interessa la vicenda in esame, risulta la seguente: "A norma dell’art. 1, lett. o), l. 23 ottobre 1992, n. 421, la formazione del personale sanitario infermieristico, tecnico e della riabilitazione avviene in sede ospedaliera ovvero presso altre strutture del Servizio sanitario nazionale e istituzioni private accreditate. I requisiti di idoneità e l’accreditamento delle strutture sono disciplinati con decreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica d’intesa con il Ministro della sanità. Il Ministro della sanità individua con proprio decreto le figure professionali da formare ed i relativi profili. Il relativo ordinamento didattico è definito, ai sensi dell’art. 9 l. 19 novembre 1990, n. 341, con decreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica emanato di concerto con il Ministro della sanità. Per tali finalità le regioni e le università attivano appositi protocolli di intesa per l’espletamento dei corsi di cui all’art. 2 l. 19 novembre 1990, n. 341. (…) I corsi di studio relativi alle figure professionali individuate ai sensi del presente articolo e previsti dal precedente ordinamento che non siano stati riordinati ai sensi del citato art. 9 della legge 19 novembre 1990, n. 341, sono soppressi entro due anni a decorrere dal 1° gennaio 1994, garantendo, comunque, il completamento degli studi agli studenti che si iscrivono entro il predetto termine al primo anno di corso".

In attuazione di tale previsione, il Ministro della sanità, con d.m. 14 settembre 1994, n. 741 (regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale del fisioterapista) ha individuato il profilo professionale e il percorso formativo del fisioterapista. Dopo aver confermato che a regime solo il diploma universitario di fisioterapista poteva abilitare all’esercizio della relativa professione, al fine di regolare il passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento ha previsto che sia un decreto interministeriale ad individuare i diplomi in precedenza conseguiti che potessero considerarsi equipollenti al nuovo titolo universitario ai fini dell’esercizio dell’attività professionale e dell’ammissione ai pubblici concorsi.

Prima che tale decreto fosse adottato è però intervenuta la l. 26 febbraio 1999, n. 42 (disposizioni in materia di professioni sanitarie), che, nel quadro della c.d. terza riforma sanitaria, ha disciplinato innovativamente e nei confronti di tutte le professioni sanitarie il passaggio dal vecchio ordinamento al nuovo, fondato ormai sul previo conseguimento del diploma universitario.

In tal senso, in patente funzione transitoria, l’art. 4, comma 1, della stessa legge stabilì (riguardo ai diplomi conseguiti in base alla normativa precedente quella di attuazione dell’art. 6, comma 3, d.lgs. n. 502 del 1992, vale a dire antecedenti la seconda riforma sanitaria), l’equipollenza, per l’esercizio professionale, ai nuovi diplomi universitari dei diplomi e attestati conseguiti in base alla normativa precedente che avevano permesso l’iscrizione ai relativi albi professionali, l’esercizio di attività professionale in regime di lavoro dipendente a autonomo o che fossero previsti dalla normativa concorsuale per l’accesso al S.S.N. o ad altri comparti del settore pubblico.

In una tale cornice, l’art. 4, comma 2, demandò ad apposito decreto del Ministero della sanità, di concerto con il Ministero dell’università e della ricerca scientifica, la definizione dei criteri per il riconoscimento come equivalenti ai diplomi universitari di cui all’art. 6, comma 3, d.lgs. n. 502 del 1992, ai fini dell’esercizio professionale e dell’accesso alla formazione postbase, degli ulteriori titoli acquisiti anteriormente all’emanazione dei decreti di individuazione dei profili professionali.

In attuazione dell’art. 4 l. 26 febbraio 1999, n. 42 è poi stato emanato il d.m. 27 luglio 2000 il quale – sulla base dell’esigenza di individuare i titoli equipollenti ai diplomi universitari a norma del citato art. 4, comma 1, per dare certezza alle situazioni ed uniformità di comportamento – ha stabilito, all’art. 1, che i diplomi e gli attestati conseguiti in base alla normativa precedente a quella attuativa dell’art. 6, comma 3, d.lgs. n. 502 del 1992 (indicati nella sezione B della riportata tabella) sono equipollenti, ai sensi dell’art. 4, comma 1, l. n. 42 del 1999, al diploma universitario di fisioterapista di cui al decreto 14 settembre 1994, n. 741 del Ministro della sanità indicato nella sezione A della stessa tabella, ai fini dell’esercizio professionale e dell’accesso alla formazione postbase.

A questo punto, ai sensi dell’art. 7 d.lgs n. 7 dicembre 1993, n. 517, modificativo dell’art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 502 del 1992, il quale disciplina la formazione del personale della riabilitazione, il Ministro della sanità avrebbe dovuto individuare le figure professionali da formare e i relativi profili, con conseguente soppressione, entro due anni dal 1 gennaio 1994, dei corsi di studio relativi alle figure professionali così individuate e previsti dal precedente ordinamento, che non fossero stati già riordinati ai sensi dell’art. 9 l. 19 novembre 1990, n. 341.

Non essendo però intervenuto un atto di individuazione della figura del massofisioterapista come una di quelle da riordinare, né essendo intervenuti atti di riordinamento del relativo corso di formazione o di esplicita soppressione, quella professione (e relativa abilitazione) è in sostanza rimasta configurata nei termini del vecchio ordinamento, con conseguente conservazione dei relativi corsi di formazione.

3. La questione che si presenta nella controversia in esame concerne la possibilità che i diplomi di massoterapista conseguiti dagli appellanti siano riconosciuti dall’Università ai fini della "riconversione creditizia" per il conseguimento della laurea triennale.

3.1. In punto di fatto è incontestato anche da parte degli appellanti che il diploma, o attestato, dagli stessi conseguito sia successivo al 1997 (epoca finale, quest’ultima, ai fini della dichiarazione di equipollenza, ai sensi del testo dell’art. 4, comma 1, l. n. 42 del 1999, dove si richiama il l’art. 6, comma 3, d.lgs. n. 502 del 1992 come modificato dall’art. 7 d.lgs. n. 517 del 1993).

3.2. A tal proposito, il richiamato articolo 4 l. n. 42 del 1999 non va considerato come norma "a regime", applicabile estensivamente anche ai titoli conseguiti successivamente (sulla scorta della precedente normativa: l. 10 maggio 1971, n. 403, in relazione al diploma di massofioterapista). La norma ha invece finalità transitoria, essendo finalizzata a consentire che i (soli) titoli rilasciati dalle scuole regionali nel previgente sistema potessero essere equipararti a quelli di nuova istituzione (qualificati da un diverso e più impegnativo iter di conseguimento). L’utilizzo del participio passato ("conseguiti") e qualificazione dei "vecchi" diplomi come ormai appartenenti alla "precedente normativa", escludono che questi ultimi siano stati conservati a regime mediante un mero affiancamento al nuovo sistema ivi introdotto.

Pur nell’esclusività del nuovo sistema basato sulla formazione universitaria, la legge ha insomma consentito ai possessori dei diplomi regionali già conseguiti nel vigore della precedente disciplina di poter continuare ad operare in campo professionale.

3.3. Di converso, in materia di riconoscimento di crediti formativi universitari, l’art. 5, ultimo comma, d.m. 3 novembre 1999, n. 509 disponeva che "le università possono riconoscere come crediti formativi universitari, secondo criteri predeterminati, le conoscenze e abilità professionali certificate ai sensi della normativa vigente in materia, nonché altre conoscenze e abilità maturate in attività formative di livello postsecondario alla cui progettazione e realizzazione l’università abbia concorso".

Simile previsione è contenuta all’art. 5, comma 7, d.m. 22 ottobre 2004, n. 270 integralmente sostitutivo del precedente e cui si è già fatto riferimento.

4. In sintesi, mediante il d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 (di riordino della disciplina in materia sanitaria) è stato ridefinito il profilo di fisioterapista, quale operatore sanitario in possesso del diploma universitario abilitante (cfr. d.m. 14 settembre 1994, n. 741, art. 1, recante regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale del fisioterapista).

Il d.m. 27 luglio 2000,sull’equipollenza di diplomi e di attestati al diploma universitario di fisioterapista, di attuazione dell’art. 4, comma 1, l. 26 febbraio 1999, n. 42 – ha stabilito la sola equipollenza tra i diplomi e gli attestati conseguiti prima della riforma (al di fuori di strutture universitarie) e il diploma universitario di fisioterapista di cui al d.m. 14 settembre 1994 n. 741.

Nel caso in esame, l’Amministrazione universitaria non avrebbe perciò potuto procedere direttamente al riconoscimento delle equivalenze ex art. 4, comma 2, l. n. 42 del 1999 (che dovrebbero integrare le fattispecie di equipollenza ex lege), perché si tratta di adempimenti riservati ad un non emanato decreto ministeriale (della sanità d’intesa con l’università e ricerca scientifica), nel quale avrebbero dovuto per l’appunto essere stabiliti i criteri e le modalità di tali ricognizioni.

5. In questo complesso sistema, i corsi formativi organizzati dalle regioni non risultano essere stati interrotti. Di converso, la pacifica circostanza che i diplomi di formazione professionale rilasciati dopo la riforma non abbiano equipollenza con le attuali lauree universitarie relative alla corrispondente disciplina sanitaria, non implica – come sostenuto dall’appellata Università – che tali diplomi regionali siano da considerare inefficaci.

Questo Consiglio di Stato ha ritenuto che le regioni potevano continuare a svolgere anche successivamente al riassetto dell’intero sistema (di cui al d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 6) le attività di formazione professionale, stante la diversità della "tipologia di formazione delle finalità dei corsi, del valore dei titoli rilasciati" rispetto a quella di livello universitario, così che – ferma restando la differenza fra la formazione professionale regionale e quella statale (la quale sola è direttamente connessa all’attività di formazione culturale e scientifica realizzata in sede di istruzione superiore ed universitaria) – i corsi e i diplomi regionali continuano ad avere efficacia per le professioni sanitarie (aggettivate come "ausiliarie"), sia pure con utilità minori e diverse dall’abilitazione diretta alla professione stessa (Cons. Stato, IV, 5 agosto 2003, n. 4476).

Permane dunque il cd. doppio canale di formazione. Ciò – come rilevato nella detta decisione- ai sensi dell’art. 141 d. lgs. 31 marzo 1998, n. 112 che i prevede che i titoli rilasciati in sede di formazione professionale devono ritenersi tutt’oggi volti al conseguimento di una qualifica (attestato di qualifica o patente di mestiere), di un diploma di qualifica superiore o di un credito formativo, escludendosi così effetti irrilevanti o di inefficacia.

La mancanza di equipollenza alla laurea e l’inidoneità all’esercizio della professione, non implicano l’inutilità del titolo conseguibile (ed effettivamente conseguito), come sostenuto dall’Università quando ha ritenuto che i diplomi degli odierni appellanti – solo perché conseguiti dopo la riforma- fossero da intendersi ormai legalmente tardivi.

6. Va rammentato che l’Università escluse dalla graduatoria gli appellanti, prospettando l’impedimento al riconoscimento dei crediti formativi per il conseguimento della laurea breve, in relazione ai corsi professionali dagli stessi frequentati, sulla scorta di un duplice requisito negativo la cui verificazione è, in punto di fatto, incontestata:

a) i corsi non terminarono nel 1997 e i diplomi attestati non furono conseguiti prima di allora;

b)l’Università non aveva partecipato alla progettazione e alla realizzazione di detta attività formativa.

7. L’Ateneo, così operando, ha sostanzialmente connotato di inefficacia i titoli conseguiti dagli appellanti e non ha tenuto conto di tre distinte emergenze processuali (peraltro debitamente portate dagli appellanti alla cognizione dell’Ateneo).

In un siffatto quadro normativo che consentiva alle regioni di continuare ad organizzare i corsi di formazione professionale, si è omesso di considerare che:

1) la Regione Puglia continuò ad organizzare i corsi;

b) gli appellanti parteciparono a corsi organizzati antecedentemente all’epoca ultima di "possibile equipollenza", coincidente con il 1997;

c) è in questa sede incontestato che il ritardo nel conseguimento dei diplomi, lungi dall’essere ad essi imputabile, dipese da lentezze organizzative riferibili alla Regione Puglia. ma che ciò non poteva comportare che le conseguenze negative dovessero ricadere sugli incolpevoli partecipanti ai corsi.

8. Dalla documentazione depositata in atti appare al Collegio che il ritardo nel rilascio dei diplomi sia ascrivibile alla Regione Puglia. Al contempo, appare indubitabile l’affidamento degli appellanti nel partecipare a detti corsi, che per circostanza loro non riferibile si conclusero tardivamente.

A fronte di tali fatti, che richiedevano venisse valutato e ponderato l’affidamento risposto nella conseguibilità dei crediti universitari per effetto della frequenza ai predetti corsi, l’Amministrazione universitaria solo ha opposto la circostanza (discendente dal d.m. 22 ottobre 2004, n. 270) che non aveva concorso alla progettazione e realizzazione delle attività formative di livello postsecondario, affermando l’"inopponibilità" di siffatta specifica condizione.

Osserva il Collegio che in questa situazione non ricorre una questione di "opponibilità" di una condizione, ma il dovere di valutazione di tale condizione, provata in fatto, e di ponderazione del legittimo affidamento riposto dagli appellanti sull’utilità dei titoli conseguiti.

9.D’altro canto, se era legittima la previsione del bando che sanciva la non equipollenza o equivalenza dei titoli posteriori al 1997 in quanto non rientranti nella previsione del decreto applicativo della l. n. 42 del 1999, non altrettanto è legittimo l’assunto della nullità assoluta, cioè dell’inefficacia, dei detti titoli sol perché conseguiti dopo quel termine.

La ragione del riconoscimento mediante crediti formativi universitari della carriera pregressa è finalizzata ad abbreviare il percorso di studi dello studente nel corso di laurea, e concerne l’apprezzamento – da parte del singolo ateneo, in relazione all’attinenza con la disciplina di laurea – del curriculum dello studente riguardo a corsi, diplomi, ed attività di settore perfezionati e certificati (art. 7, comma 5, d.m. 22 ottobre 2004, n. 270). Sarebbe perciò non logico considerare che da un siffatto riconoscimento siano escluse esperienze che sono state certificate come conformi a quelle richieste dall’ateneo procedente, e solo perché prive di formale equipollenza con il diploma di laurea conseguire cui è orientato il percorso formativo. L’espressione "conoscenze ed abilità certificate" implica invece un curriculum composto di corsi e titoli privi ancora di utilità professionale ed abilitativa rispetto all’obiettivo universitario da raggiungere, ma comunque in sé utilizzabili per abbreviarne il percorso. Il corredo delle esperienze certificate precedenti va inteso riferendolo alla esperienza da poter vantare, al fine di raggiungere più celermente (mediante la laurea) l’obiettivo dell’abilitazione professionale: tale circostanza, di regola, presuppone proprio che i titoli in curriculum siano normalmente ancora inidonei a maturare equipollenze al diploma da conseguire. All’Ateneo peraltro non è sottratta la discrezionalità di apprezzare con maggiori crediti un’esperienza abilitante rispetto ad una meramente formativa: ciò che risulta illegittimo, invece, è il negare ex ante qualsiasi rilievo nei confronti di diplomi espressamente considerati fra quelli chiamati al riconoscimento, solo perché sprovvisti di equipollenza.

10. La circostanza infine, che gli appellanti abbiano regolarmente frequentato i corsi universitari cui furono ammessi in sovrannumero e superato gli esami finali, conseguendo il titolo, conferma la considerazione dell’illegittimità degli atti impugnati, essendo stato omesso di tener conto degli elementi di fatto che avevano condotto al ritardo nel rilascio dei diplomi, con l’effetto di addossarne le conseguenze ai medesimi frequentatori dei corsi e ed essendo stata omessa la valutazione in concreto dell’esperienza professionale maturata dagli appellanti mercè l’incontestata frequentazione dei corsi, ed assumendo invece la negazione in assoluto di qualsiasi valore ai corsi medesimi.

Alla stregua di queste considerazioni l’appello va accolto, con conseguente riforma dell’appellata decisione, accoglimento del ricorso di primo grado ed annullamento degli atti impugnati.

La particolarità e complessità delle questioni implicate impone l’integrale compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

definitivamente pronunciando sull’appello, numero di registro generale 5781 del 2007, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma dell’appellata decisione, accoglie il ricorso di primo grado ed annulla gli atti impugnati.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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