Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 13-05-2011) 30-05-2011, n. 21627 Trasmissione di atti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 4 agosto 2010, il G.I.P. del Tribunale di Reggio Calabria ha disposto la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di 64 persone, fra le quali N.B..

L.R. a C.F., siccome indagati:

– N.B.:

-del reato di cui al capo a) della rubrica (art. 416 bis c.p., commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6: aver partecipato ad un’associazione criminosa di stampo mafioso denominata "ndrangheta", operante sul territorio della provincia di Reggio Calabria, del territorio nazionale ed estero, costituita da molte decine di locali (territori con almeno 50 associati), articolati in tre mandamenti e con organo di vertice denominato "Provincia", col ruolo di capo locale di Singen (Germania), incaricato di tenere il coordinamento fra i locali di quel paese e di tenere i contatti con gli esponenti di spicco della "Provincia") ; -del reato di cui al capo t) della rubrica (art. 81 cpv c.p., L. n. 895 del 1967, artt. 1, 2, 4 e 7, così come sostituiti dalla L. n. 497 del 1974, L. n. 203 del 1991, art. 7: aver introdotto illegalmente nel territorio dello Stato, detenuto e portato in luogo pubblico, un’arma comune da sparo, nella disponibilità dell’associazione criminosa, di cui al capo che precede);

– L.R.:

-del reato di cui al capo a) della rubrica (art. 416 bis c.p., commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6: aver partecipato ad associazione criminosa di stampo mafioso denominata "ndrangheta", operante nel territorio della provincia di Reggio Calabria, del territorio nazionale ed estero, costituita da molte decine di locali, articolati in tre mandamenti e con organo di vertice denominato "Provincia", con il ruolo particolare di capo ed organizzatore del locale di Laureana di Borrello con il grado di santista a livello di provincia, con il compito di decidere e partecipare ai riti di affiliazione, di curare i rapporti con le altre articolazione dell’associazione e di dirimere i contrasti interni ed esterni al sodalizio criminoso;

– C.F.:

-del reato di cui al capo a) della rubrica (art. 416 bis c.p., commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6: aver partecipato ad un’associazione mafiosa denominata "ndrangheta" operante sul territorio della provincia di Reggio Calabria, del territorio nazionale ed estero, costituita da molte decine di locali, articolata in tre mandamenti e con organo di vertice denominato "Provincia", in particolare quale partecipe attivo alla società di Siderno, con il compito di assicurare le comunicazioni tra gli assodati, partecipare alle riunioni ed eseguire le direttive dei vertici della società e dell’associazione, riconoscendo e rispettando le gerarchie e le regole interne del sodalizio.

2. Il G.I.P. di Reggio Calabria, nella sua lunga ed articolata ordinanza di 1585 pagine, ha indicato i validi indizi di colpevolezza emersi a carico dei tre indagati anzidetti per i reati a ciascuno di essi ascritti rispettivamente alle pagine 1372 e segg. dell’ordinanza con riferimento al N.; alle pagine 569 e segg. con riferimento al C. ed alle pagine 441 e segg. quanto al L.. Quanto al N. gli elementi di colpevolezza sono consistiti nelle intercettazioni telefoniche ed ambientali intrattenute con O.D., da intendere come il baricentro intorno al quale ruotavano tutti i personaggi di elevato spessore criminale appartenenti all’associazione mafiosa di cui sopra; il N. era residente nella città di Singen nel sud della Germania; era a capo di una ‘ndrangheta operante in quella città, strettamente collegata alla società di Rosarno.

Gli elementi indiziar a carico del L. sono consistiti nelle numerose intercettazioni ambientali nel corso delle quali il capo crimine O.D. aveva comunicato a diversi interlocutori che il L. fosse uno dei "carichisti" e cioè uno dei capi intermedi operanti nella fascia tirrenica. Quanto al C. gli indizi di colpevolezza sono consistiti principalmente nei dialoghi intercettati presso la lavanderia "Ape Green" sita all’interno del centro commerciale "I Portici" di Siderno, gestita da C.G., dai quali era emerso che C.F. classe 1983, figlio di C.C., rivestiva la carica di "capo giovane" nell’ambito dell’articolazione qualificata come "locale" di Siderno, incaricato di impartire gli ordini e le direttive ai suoi sottoposti per riferirne i risultati al "mastro di giornata". 3. Avverso detto provvedimento del G.I.P. del Tribunale di Reggio Calabria hanno proposto direttamente ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 311 c.p.p., comma 2, N.B., L.R. e C. per il tramite dei rispettivi difensori.

4. N.B. ha lamentato violazione di legge e motivazione insufficiente in quanto, nel caso in esame, non vi erano elementi univoci e concordanti tali da far ritenere che esso ricorrente avesse usato metodi mafiosi per perseguire un programma criminoso, atteso che non era dato ricavare un programma, non essendo stati da lui commessi o programmati reati specifici; d’altra parte ciò sarebbe stato incompatibile col suo stile di vita, essendo egli persona che aveva sempre lavorato come operaio.

Egli aveva effettuato viaggi in Italia in periodi festivi, sicchè non era immaginabile un’attività mafiosa svolta nei periodi feriali;

e le intercettazioni telefoniche non potevano costituire autonoma fonte indiziaria fine a se stessa; inoltre due anni di intercettazioni non avevano consentito di ottenere una prova seppur generica nella commissione di qualsiasi reato o di episodio da cui trarre convincimento che esso ricorrente si fosse avvalso della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento per il raggiungimento di un fine qualsiasi.

Non sussisteva poi un cd. locale in Germania, di cui esso ricorrente sarebbe stato capo, in quanto non c’era stato alcun riscontro circa l’esistenza di un’organizzazione adeguata al perseguimento di un programma mafioso; nè alcun comportamento tenuto da esso ricorrente era stato di comprovato allarme sociale.

5. L.R. ha lamentato violazione di legge e motivazione inadeguata, in quanto gli indizi posti a suo carico dal G.I.P. erano privi del requisito della gravità, siccome desunti dagli esiti di tre intercettazioni telefoniche, riguardanti conversazioni fra O.D. ed altre persone, intercettazioni che non avevano la ritenuta valenza indiziaria, trattandosi di identiche frasi, pronunciate dal medesimo soggetto in tre sole occasioni.

Le intercettazioni che riguardavano esso ricorrente erano poi totalmente etero accusatorie, essendo esse relative a conversazioni nel corso delle quali i conversanti avevano accusato un terzo di aver commesso un determinato reato; era pertanto necessario il riscontro di altri elementi di supporto, tali da integrare la genericità dell’accusa; al contrario il G.I.P. aveva omesso di motivare sull’esistenza di tali riscontri, i quali avrebbero dovuto essere esterni, tratti da dati obiettivi ed idonei a convalidare l’attendibilità dell’accusa. Non era stato accettato se e quali rapporti vi fossero stati fra i soggetti intercettati ed esso ricorrente; se e quali rapporti vi fossero stati fra le altre persone indicate dall’ O. ed esso ricorrente; ed era evidente l’assoluta mancanza di elementi idonei a dimostrare la frequentazione fra esso ricorrente ed anche alcuni soltanto dei coindagati. Il G.I.P. era poi caduto in contraddizione logica in quanto nella specie non erano intervenuti plurimi riferimenti alla caratura criminale di esso ricorrente ed al suo attuale ruolo svolto nella ‘ndrangheta, atteso che i riferimenti ad esso ricorrente non erano plurimi ma solo in numero di tre; nessuno di essi aveva mai fatto riferimento ad una sua caratura criminale; il suo attuale ruolo ndranghetista era stato solo affermato dall’ O. e non emergeva da alcun altro dato diverso.

I suoi precedenti penali erano risalenti nel tempo e non tali da giustificare un ruolo così rilevante all’interno di un’associazione criminosa; era poi un dato neutrale e non costituiva riscontro della sua partecipazione alla contestata associazione il fatto che egli fosse effettivamente proveniente da Laureane di Borrello.

Non poteva escludersi l’ipotesi che l’ O. fosse stato mosso da intenti calunniatori ovvero che fosse stato male informato od appositamente depistato; infine l’ O. non si era autoaccusato del reato o di altri reati fine, commessi in concorso con esso ricorrente; ed anche tale ultimo elemento deponeva per la sua non affidabilità. 6. C.F. ha lamentato:

a)-violazione di lappa, con riferimento alle intercettazioni telefoniche disposte nei suoi confronti;

b)-violazione di legge a motivazione incompleta ad inesistente, in Quanto il provvedimento impugnato aveva fornito elementi dai quali desumere la sussistenza di un’organizzazione criminosa denominata come "locale di Siderno" operando un’incongrua dilatazione dell’area di responsabilità, atteso che l’associazione mafiosa era un reato associativo a struttura mista, distinto da quelli meramente associativi, nei quali, oltre al dato strutturale organizzativo, era richiesta la realizzazione di delitti-scopo, ovvero l’esercizio attuale di contegni di violenza e di minaccia nei confronti delle persone ed delle cose. Ad esso ricorrente era stato contestato di far parte della cosiddetta "società di Siderno"; tuttavia per la sussistenza del reato di associazione criminosa contestatogli era necessaria sia l’adesione soggettiva, sia esistenza di un contributo oggettivamente significativo, in quanto le due componenti oggettiva e soggettiva erano pari menti indispensabili ed il contributo alla vita dell’ente criminoso doveva possedere carattere di stabilità e di continuità, rivelando una effettiva affectio societatis, non potendo assumere natura partecipativa sporadiche attività che andavano a beneficio anche solo indiretto dell’ente criminoso; simmetricamente un’affectio societatis che non si fosse estrinsecata in significativi gesti di sostegno causale alla vita associativa non poteva essere ritenuta penalmente rilevante.

Così la sussistenza del giuramento di mafia non poteva valere come contributo alla vita dell’associazione, in quanto non poteva ritenersi penalmente partecipe al sodalizio criminoso chi, pur avendo ricevuto l’affiliazione, non avesse apportato alcun contributo concreto all’associazione criminosa di stampo mafioso; altrimenti la fattispecie sarebbe stata caratterizzata dalla cd. colpa d’autore, che stigmatizzava il soggetto soltanto per il suo modo di essere;

l’affiliazione non poteva in quanto tale costituire il requisito sufficiente per la partecipazione ad un sodalizio di stampo mafioso, atteso che nei reati di partecipazione ad associazioni criminose il delitto in concreto si perfezionava nel momento in cui il soggetto avesse apportato, per la realizzazione della finalità perseguita dall’ente e divenuta cosi causa comune dell’agire suo e dell’organismo strutturato, un minimo di contributo effettivo alla vita dell’ente, nel quale si risolveva la sua partecipazione semplice o qualificata al sodalizio; ed il suo contributo penalmente rilevante doveva costituire, per la sua dimensione qualitativa o per la sua reiterazione quantitativa, indice inequivoco del volontario perseguimento degli scopi dell’associazione, nella consapevolezza di innestare sinergicamente la propria condotta su quella degli altri associati; non erano pertanto condivisibili le tesi, secondo cui sarebbe stato superfluo l’accertamento del ruolo specifico rivestito dal soggetto nell’ambito associativo, essendo invece necessario somministrare la responsabilità in base ad una limpida individuazione dei compiti concreti svolti da ciascun associato. I gravi indizi di colpevolezza a carico della ricorrente erano stati individuati in alcuni dialoghi intercettati presso la lavanderia "Ape Green", ubicata all’interno del centro commerciale "I Portici" di Siderno, in particolare nella conversazione del 31 luglio 2009, durante la quale il gestore della lavanderia, tale C. G., parlando con i suoi due interlocutori, aveva riferito che esso ricorrente, inteso come "figlio di C." rivestiva, all’interno del locale di Siderno, il ruolo di "capo giovane" ed aveva altresì attribuito ad altre due persone identificate compiutamente, altri precisi ruoli; ora, mentre nei confronti di tali due persone, pur esattamente identificate, non erano state emesse ordinanze cautelari, esso ricorrente era stato al contrario identificato come "capo giovane" di Siderno solo perchè suo padre si chiamava C., e solo perchè esso ricorrente era l’unico figlio maschio maggiorenne di detto C..
Motivi della decisione

1. E’ noto che il ricorso immediato per cassazione avverso un’ordinanza dispositiva di una misura coercitiva può essere proposta, ai sensi dell’art. 311 c.p.p., comma 2, dall’indagato o dal suo difensore solo per violazione di legge, la quale è ravvisarle, in caso di allegazione di vizi attinenti alla motivazione, unicamente se il provvedimento impugnato risulti assolutamente privo dei requisiti minimi di esistenza di una motivazione. Il ricorso per saltum in cassazione è invero un tipo di gravame alternativo rispetto a quello proponibile al Tribunale del riesame, innanzi al quale possono essere invece proposte anche censure riguardanti lo sviluppo logico giuridico delle argomentazioni del provvedimento impugnato, ovvero prospettazioni alternative circa gli elementi probatori acquisiti agli atti e posti a fondamento della misura coercitiva (cfr. Cass. 6^, 13.11.08 n. 44996, rv. 241664).

2. Nella specie in esame, le censure proposte nella presente sede dai tre ricorrenti, tranne quella sub a) proposta da C. F., sono tutte sostanzialmente riferite all’insufficienza degli elementi indiziari emersi a loro carico, ovvero all’omessa valutazione di altre risultanze a loro favorevoli; e tali censure, siccome attinenti alla motivazione, non sono per loro natura suscettibili di esame nella presente sede di legittimità, non integrando il vizio di violazione di legge, con conseguente qualificazione dei tre ricorsi in esame come istanze di riesame della misura cautelare adottate nei loro confronti dal G.I.P. di Reggio Calabria (cfr. Cass. sez. 3 n. 10232 del 25/02/2010 dep. 15/03/2010, Fernandez Tejeda, Rv. 246350).

3. Quanto sopra vale anche nei confronti del ricorrente C. F., l’unico, come sopra detto, ad aver proposto sub a) una censura concernente una presunta violazione della legge penale.

Ma, poichè il motivo di ricorso dal medesimo proposto sub b) è chiaramente inteso a censurare la motivazione del provvedimento impugnato, è da ritenere che anche il ricorso in esame vada qualificato come istanza di riesame, ritenendosi all’uopo sufficiente che almeno uno dei motivi di ricorso non sia strettamente riferito alla violazione di legge.

4. Ai sensi dell’art. 568 c.p.p., comma 5, i ricorsi proposti da C.F., N.B. e L.R. vanno pertanto rimessi al Tribunale del riesame di Reggio Calabria, competente a conoscere i gravami dai medesimi effettivamente proposti.

5.Dovrà provvedersi all’adempimento di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.

Qualificati i ricorsi come richieste di riesame, dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Reggio Calabria.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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