Cons. Stato Sez. VI, Sent., 30-05-2011, n. 3209 Giustizia amministrativa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza qui impugnata, il Tribunale amministrativo regionale della Liguria ha respinto il ricorso dell’odierna appellante F. D. G. s.p.a. volto ad ottenere l’annullamento della nota del Ministero delle attività produttive – Direzione generale per la promozione degli scambi, prot. n. 510106 dell’8 ottobre 2003, avente ad oggetto l’annullamento dell’atto di approvazione del programma promozionale per l’anno 2003 (denominato "Promozione 43^ edizione Salone Nautico Internazionale") e di ammissione delle relative spese, e di ogni altro atto presupposto, preparatorio o connesso, con particolare riferimento al decreto del Ministero delle attività produttive 22 luglio 2002.

La F. D. G. s.p.a. (società a capitale pubblico, originata dalla trasformazione in società per azioni, dal 1 gennaio 2003, dell’Ente Autonomo Fiera Internazionale di Genova, deputato all’organizzazione di manifestazioni fieristiche nonché allo svolgimento delle connesse attività promozionali) quando ancora rivestiva la pregressa veste giuridica aveva inoltrato al Ministero, con nota del 26 settembre 2002, una domanda di erogazione del contributo dell’art. 1 l. 29 ottobre 1954, n. 1083 (sulla concessioni di contributi per lo sviluppo delle esportazioni italiane) e riferito alle attività promozionali verso l’estero, da svolgersi in occasione del 43° Salone Nautico Internazionale, previsto a Genova per il successivo anno 2003. Ciò secondo il medesimo schema già seguito negli anni precedenti.

Trasmesso al Ministero il riepilogo del preventivo di spesa per un importo totale di Euro 161.000,00, l’ormai società aveva ottenuto l’approvazione del progetto e dell’allegato preventivo, come da nota prot. n. 610294 del 30 gennaio 2003. Perciò aveva dato corso al previsto programma promozionale e sostenuto i relativi costi, confidando nell’erogazione del contributo.

Inopinatamente però il Ministero, preso atto dell’intervenuta trasformazione dell’ente autonomo in società per azioni, aveva fatto presente che la stessa l. 29 ottobre 1954, n. 1083 prevedeva l’assegnazione del contributo ai soli soggetti non aventi scopo di lucro, ed aveva autoannullato il precedente atto di approvazione del programma promozionale e del preventivo.

La società aveva allora presentato ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Liguria sollevando cinque motivi di censura, chiedendo l’annullamento degli atti impugnati,previa eventuale rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità degli artt. 1 l. 29 ottobre 1954, n. 1083: 1, comma 40, l. 28 dicembre 1995, n. 549 e 22, comma 1, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 143, nonché previa rimessione alla Corte di giustizia delle Comunità europee della questione relativa all’interpretazione dell’art. 86, comma 1, del Trattato istitutivo ed alla sua compatibilità con le norme interne sopra indicate.

Il primo giudice ha in primo luogo preso in esame le doglianze di natura sostanziale proposte nel terzo e nel quarto motivo di gravame, respingendole. Ha così rilevato che esulava dalla materia controversa la questione della natura pubblicistica o privatistica rivestita dall’Ente Autonomo Fiera di Genova dopo la sua trasformazione in società per azioni. Assumeva rilievo invece la sola questione se fosse legittima l’esclusione dal contributo della l. 29 ottobre 1954, n. 1083 degli enti a scopo di lucro. Solo a quest’ultimo profilo (posto che il contributo stesso non spettava solo a soggetti di diritto privato, potendo caratterizzare anche l’attività d’impresa svolta dalla pubblica amministrazione) si riferiva infatti l’atto impugnato di diniego del contributo. Nessun dubbio al proposito v’era sul fatto che la società avesse acquisito lo scopo di lucro (ai sensi dell’art. 23 dello statuto sociale aggiornato, in relazione all’art. 2247 Cod. civ.). Lo statuto della F. D. G. s.p.a. infatti non prevedeva vincoli di destinazione a fini pubblici degli utili prodotti (a differenza di quanto prevedeva lo statuto del soppresso Ente autonomo) e neppure poneva limiti – se non quello del gradimento, denegabile solo a predeterminate condizioni – all’ingresso di capitale privato anche maggioritario o addirittura totalitario, il che comportava che il precedente ente fosse ormai effettivamente privatizzato. Lo scopo di lucro della F. D. G. s.p.a. era incontrovertibilmente estraneo all’Ente Autonomo F. D. G..

La sentenza precisava che l’assenza di scopo lucrativo come requisito soggettivo per accedere al contributo non era previsto dalla l. 29 ottobre 1954, n. 1083 (la legge stessa indica genericamente i potenziali destinatari del beneficio in "istituti, enti e associazioni"), ma dall’art. 4 d.m. 18 luglio 2000 (recante criteri e modalità per la concessione del contributo per l’anno 2001), il quale per la prima volta aveva circoscritto l’ambito dei beneficiari agli istituti, enti e associazioni senza scopo di lucro.

Il d.m. 22 luglio 2002 (recante criteri e modalità per la concessione del contributo per l’anno 2003) aveva mantenuto questa limitazione. Si doveva allora verificare se si poteva considerare legittima una siffatta limitazione, introdotta mediante questo d.m. 22 luglio 2002, che, essendo richiamato nel provvedimento impugnato in via principale, concorreva ad integrarne la motivazione (contrariamente a quanto sostenuto dalla società).

Il Tribunale amministrativo ha ritenuto insussistente la denunciata illegittimità. Infatti, da un canto, il d.m. 22 luglio 2002 era necessitato, posto che l’art. 12 l. 7 agosto 1990, n. 241 subordina la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari a persone ed enti pubblici e privati alla predeterminazione ed alla pubblicazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi; e che una tale predeterminazione non era ricavabile dalla l. 29 ottobre 1954, n. 1083. In secondo luogo perché – per il contenuto di generalità ed astrattezza e per l’attitudine a introdurre precetti integrativi ed attuativi di norme primarie, comunque innovativi rispetto all’ordinamento – il d.m. 22 luglio 2002 andava considerato una fonte normativa secondaria regolamentare.

La limitazione del contributo ai soli soggetti senza scopo di lucro non si poteva considerare illegittima riguardo all’art. 1 l. n. 1083 del 1954, così come alle altre disposizioni invocate dalla ricorrente (l’art. 1, comma 4, l. 28 dicembre 1995, n. 549 riguardava l’iscrizione in bilancio dei contributi elencati nell’allegata tabella "A" e la relativa ripartizione, mentre l’art. 22, comma 1, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 143 concerneva la finalità dei contributi e la loro concedibilità anche a soggetti diversi da quelli contemplati dalla tabella "A"). In entrambi i casi si trattava di norme neutre rispetto alla natura, lucrativa o non lucrativa, dei beneficiari del contributo.

L’esclusione degli enti lucrativi dal contributo si giustificava inoltre sotto il profilo della ragionevolezza, data l’esistenza di altre previsioni di legge su provvidenze in favore di attività esercitate a fini di lucro (tale ratio era esplicitata dall’art. 4 d.m. 18 luglio 2000, avente il medesimo oggetto del d.m. 22 luglio 2002); era altresì conforme agli artt. 41 e 97 Cost.; rendeva il contributo della l. n. 1083 del 1954 compatibile con la normativa comunitaria sul divieto degli aiuti di Stato alle imprese (artt. 87 e 88 del Trattato istitutivo della Comunità europea).

A tale ricostruzione conseguiva il rigetto, da parte del Tribunale amministrativo, delle censure sostanziali e la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale. Infatti l’esclusione degli enti a scopo lucrativo dal novero dei beneficiari dei contributi era ascrivibile alla sola fonte regolamentare, non soggetta al sindacato costituzionale.

Il primo giudice ha poi ritenuto infondata la censura di violazione dell’art. 86 del Trattato istitutivo della Comunità europea (art. 82 della versione del Trattato in vigore dal 1 febbraio 2003): il regolamento in esame non solo non realizzava discriminazioni a vantaggio di imprese pubbliche e comunque di soggetti con connotazione imprenditoriale in senso proprio, ma evitava anche che i contributi erogati dallo Stato fossero in contrasto con la disciplina comunitaria sugli aiuti di Stato.

Quanto alle doglianze procedimentali contenute nei primi due motivi di ricorso, andavano disattese sia perché l’annullamento d’ufficio dei provvedimenti che comportavano illegittimo esborso di pubblico denaro non richiede una specifica valutazione sull’interesse pubblico, sia ai sensi della prima parte del comma 2 dell’art. 21octies della l. 7 agosto 1990, n. 241, aggiunto dalla l. 11 febbraio 2005 n. 15 (il contenuto dispositivo dell’atto non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato).

L’originaria ricorrente rimasta soccombente ha proposto appello chiedendo la riforma della decisione del Tribunale amministrativo.

Riepilogata in punto di fatto la vicenda contenziosa, essa ha sostenuto, quanto alle riproposte censure procedimentali, che l’atto non era vincolato; che costituiva manifestazione di autotutela; che ben l’appellante avrebbe potuto interloquire sul contenuto del medesimo evitando che l’amministrazione emettesse un atto palesemente illegittimo. Non si poteva quindi affermare l’ininfluenza dell’avvenuta violazione delle garanzie procedimentali.

Nel merito, richiamato il legittimo affidamento che aveva riposto nell’erogazione del contributo, e fatto presente che la trasformazione statutaria sino a quel momento era rimasta virtuale e non aveva determinato ingressi di capitale privato, per cui la situazione sostanziale era identica a quella degli anni precedenti (allorché analogo contributo fosse stato richiesto e puntualmente erogato) ha contestato la ricostruzione del primo giudice.

Ad avviso dell’appellante, il Tribunale amministrativo aveva illegittimamente integrato la motivazione del provvedimento negativo. Quest’ultimo aveva fatto riferimento alla sola trasformazione in ente privato (società per azioni) dell’Ente Autonomo Fiera Internazionale di Genova e non già al neointrodotto "scopo di lucro".

L’atto di diniego andava allora annullato proprio per le considerazioni svolte dal primo giudice circa l’assenza, nella l. n.1083 del 1954, di qualsivoglia discriminazione tra soggetto pubblico e privato. Ed illegittimamente la causa del diniego era stata sostituita dal primo giudice con il ravvisarla nel sopravvenuto scopo lucrativo del richiedente.

Inoltre, anche ad aderire alla tesi del primo giudice, le successive considerazioni della sentenza erano erronee. I regolamenti attuativi della l. 28 dicembre 1995, n. 549 e del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 143 non prevedevano l’esclusione dei contributi degli enti con scopo lucrativo. L’unica fonte che ciò prevedeva era rappresentata dal decreto 22 luglio 2002. Questo erroneamente era stato qualificato quale decreto ministeriale dal primo giudice: di conseguenza erano travisanti le ulteriori considerazioni su natura ed efficacia del medesimo. In ultima analisi quell’atto era inidoneo a fondare una limitazione soggettiva dei soggetti destinatari del contributo previsto dalla legge.

Il d. lgs 31 marzo 1998, n. 143 semmai, aveva attribuito al d.m. 15 marzo 1999, n. 104 la possibilità di ampliare (e non già di restringere, e men che meno mercè un decreto direttoriale) la platea dei fruitori del contributo. Il decreto direttoriale 22 luglio 2002 (che non a caso non richiamava la legge n. 400 del 1988) era illegittimo nella sostanza e nella forma perché straripava dalle competenze.Il suo art. 2 confliggeva con i principi di cui agli artt. 41 e 97 Cost. e il diritto comunitario e realizzava una paradossale disparità: mentre un ente pubblico economico poteva essere ammesso al contributo, sene escludeva una società per azioni, ancorché totalmente partecipata da enti pubblici.

L’appellata Amministrazione ha depositato un’articolata memoria chiedendo la reiezione del ricorso in appello. A suo avviso l’obbligo di escludere dal contributo le società con scopo di lucro si rinveniva nel citato art. 1 l. 29 ottobre 1954, n. 1083.

L’art. 22, comma 1, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 143, semmai, nello stabilire una possibile deroga al principio della non concedibilità del contributo alle società per azioni, rafforzava la tesi fondata sul tenore letterale della l. n. 1083 del 1954.

Non era vero che l’avvenuta trasformazione in società per azioni aveva lasciato inalterata la composizione del precedente organismo e, in ogni caso, l’argomento non aveva valore decisivo. Le norme applicate e l’interpretazione che di esse aveva reso l’amministrazione sfuggivano a qualsiasi eccezione di incostituzionalità.

L’appellante società ha depositato una memoria conclusiva confutando le tesi dell’Amministrazione e facendo presente che, in difetto di impugnazione incidentale, il capo dell’impugnata sentenza che aveva affermato che il citato art. 1 l. n. 1083 del 1954 non conteneva un’espressa esclusione delle società aventi fini di lucro, doveva considerarsi coperto dal giudicato.

All’odierna pubblica udienza del 15 aprile 2011 la causa è stata posta in decisione.
Motivi della decisione

1.L’appello è fondato va accolto.

1.1. Si deve premettere che è infondata la tesi secondo cui il primo giudice ha integrato la motivazione dell’atto impugnato in primo grado: quest’ultimo infatti richiamava in premessa il decreto direttoriale 22 luglio 2002: perciò la ricostruzione della sentenza è immune da questa menda.

2. Si deve poi concordare con l’affermazione della sentenza – incontestata dall’Amministrazione appellata – secondo cui l’individuazione dello scopo non lucrativo quale requisito soggettivo per accedere al contributo non era stato prevista dalla l. 29 ottobre 1954, n. 1083 (che indica i potenziali destinatari del beneficio genericamente in "istituti, enti e associazioni").

In ragione della genericità delle espressioni utilizzate, si deve ritenere che questa legge non prevede una preclusione fondata sulla natura (privatistica o pubblicistica), e nemmeno sullo scopo istituzionalmente perseguito dal richiedente.

Appare poi corretta la valutazione del primo giudice, di sostanziale ininfluenza e neutralità delle ulteriori leggi invocate dall’appellante, soprattutto con riferimento all’art. 22, comma 1, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 143, concernente la finalità dei contributi e la concedibilità degli stessi anche a soggetti diversi da quelli contemplati dalla tabella "A".

2.1. La sentenza appellata, invece, non è condivisibile quando, nel ricercare la fonte dell’esclusione degli enti aventi scopo di lucro dalla platea dei beneficiari del contributo, ha ritenuto legittimo il rinvenirla – per il 2003 – nel decreto 22 luglio 2002: tanto da affermare che – visto che la limitazione non derivava da una legge ma da un regolamento – non era ipotizzabile la questione di legittimità costituzionale.

2.2. Questa ricostruzione non è condivisibile per due ordini di ragioni.

In primo luogo, va considerato che i regolamenti attuativi della l. 28 dicembre 1995. n. 549 e del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 143 non prevedono l’esclusione dai contributi degli enti con scopo lucrativo.

Va rammentato infatti che con d.m. 15 marzo 1999, n. 104 erano state dettate le disposizioni recanti criteri e modalità per la concessione di contributi ai sensi della l. 29 ottobre 1954, n. 1083 e dell’art. 22, comma 1, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 143.

Detto decreto legislativo (in ordine al cui schema la Sezione consultiva per gli atti normativi di questo Consiglio di Stato aveva reso il parere 31 agosto 1998, n.163 affermando l’ "esclusiva competenza del Ministro del Commercio per l’estero per l’apprestamento delle norme regolamentari di cui si tratta"), non detta alcuna restrizione circa la concedibilità del contributo agli enti con scopo lucrativo, e all’art. 6 dispone che "con provvedimento del dirigente della direzione generale per la promozione degli scambi e per l’internazionalizzazione delle imprese sono approvati i modelli della domanda di ammissione al contributo di cui all’art. 2 nonché della relazione sull’esecuzione del programma di attività di cui all’art. 3".

Il decreto 22 luglio 2002 del Direttore generale per la promozione degli scambi e per l’internazionalizzazione delle imprese (recante criteri e modalità per la concessione di contributi ad istituti, enti ed associazioni, ai sensi della l. 29 ottobre 1954, n. 1083; modelli per la relativa domanda di ammissione, e schemi per la relazione sull’esecuzione del programma di attività promozionale) all’uopo emanato per l’anno 2002, invece, all’art. 2 prevede che "possono richiedere il contributo ai sensi della normativa vigente gli istituti, gli enti e le associazioni senza scopo di lucro, nonché le camere italoestere in Italia, iscritte all’albo di cui all’art. 22, comma 1, della legge n. 580/1993. Deve intendersi senza scopo di lucro l’organizzazione che non agisce per produrre profitto ovvero che non prevede la distribuzione di utili ai soci, neppure in caso di scioglimento".

2.3. Il primo giudice ha ritenuto che la prescrizione contenuta in quest’ultimo decreto va considerata attuativa dell’art. 12 l. 7 agosto 1990, n. 241, qualificando questo stesso decreto come di natura regolamentare e definendolo "decreto ministeriale".

Tale ricostruzione è inesatta.

In primo luogo, essa pretermette – dal punto di vista formale – che non si tratta di "decreto ministeriale", ma di "decreto direttoriale"; poi – dal punto di vista sostanziale – che il d.m. 15 marzo 1999, n. 104 (Regolamento recante criteri e modalità per la concessione di contributi ai sensi della legge 29 ottobre 1954, n. 1083, e dell’articolo 22, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 143), in attuazione del quale era stato emanato quello stesso decreto 22 luglio 2002, non conteneva siffatte limitazioni soggettive. In ultimo, che lo stesso d.m. marzo 1999, n. 104 – al cui art. 6 si richiamava nelle premesse quel decreto del 2002 – non attribuiva a un siffatto strumento lo stabilire esclusioni soggettive dal contributo, ma solo la funzione di "approvare i modelli della domanda di ammissione al contributo di cui all’art. 2 nonché della relazione sull’esecuzione del programma di attività di cui all’art. 3.".

2.4. Indipendentemente dalla questione dell’idoneità di una fonte regolamentare a introdurre un requisito negativo come quello in questione (l’assenza dello scopo di lucro), va considerato che una tale limitazione, nel caso di specie, non è prevista dalla legge e non è stata introdotta nemmeno con regolamento.

In realtà, la limitazione è stata posta mediante un atto (il decreto 22 luglio 2002) a carattere non regolamentare, attuativo di una previsione regolamentare (l’art. 6 d.m. marzo 1999, n. 104) avente però altro oggetto e che la stessa Amministrazione (cfr. pag. 1 della memoria di primo grado 10 novembre 2005) ritiene una mera "circolare applicativa". Un tale atto – pur contenendo effettivamente una siffatta previsione innovativa, generale ed astratta – è privo di natura e di efficacia regolamentare perché difetta degli elementi formali, sostanziali e procedimentali stabiliti per i regolamenti ministeriali dall’art. 17, comma 3, l. 23 agosto 1988, n. 400: infatti non reca la denominazione di "regolamento", non è basato su una clausola a regolamentare – che deve essere contenuta in una legge e non già in un altro regolamento ministeriale ("… quando la legge espressamente conferisca tale potere…") -, non è stato emanato previo parere del Consiglio di Stato. Non a caso, nelle premesse, non richiama la medesima l. n. 400 del 1988.

Un distinzione come quella in questione – che presenta i caratteri apparenti di una norma – esulava dunque dalla funzione affidata ad un tale decreto dal richiamato art. 6 del d.m. n. 104 del 1999.

Non solo: la materia di tale requisito negativo, o meglio la distinzione che esso presuppone, esclude anche che si tratti di meri "criteri" o di "modalità", cui le amministrazioni devono attenersi, a norma dell’art. 12 l. n. 241 del 1990 per la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari o per l’attribuzione di vantaggi economici, da adottare con le "forme previste dai rispettivi ordinamenti".

Si è dunque in presenza di una previsione che avrebbe dovuto essere introdotta con un atto avente effettiva natura di fonte normativa, ma che invece è stata introdotta con un diverso ed inidoneo strumento.

Queste considerazioni, che si incentrano sull’inidoneità dello strumento che pone una siffatta limitazione a spiegare effetti normativi, in particolare a stabilire il requisito negativo in forza del quale è stato emanato l’atto impugnato, conducono a non considerare il decreto 22 luglio 2002, in parte qua, applicabile, visto che è in palese conflitto con la legge (che non prevede siffatta distinzione) che governa la fattispecie e che va qui applicata, e che si versa in tema di contribuzioni finanziarie già stabilite e cui pertanto la società interessata aveva ormai acquisito il diritto.

Ne consegue che, essendo a sua volta basato su una distinzione soggettiva non prevista dalla legge né in base alla legge, l’impugnato atto di autotutela circa l’erogazione del contributo concesso all’appellante è illegittimo per violazione di legge, secondo quanto assunto dalla società interessata.

3.Per quanto tale considerazione possa essere considerata assorbente, il Collegio ritiene che siano altresì fondate le doglianze relative all’omesso avviso dell’avvio del procedimento di autotutela e al legittimo affidamento riposto dall’appellante nell’erogazione del contributo per aver già svolto l’attività promozionale.

Sulla circostanza che l’atto impugnato fosse qualificabile – al di là del nomen iuris – quale atto a contenuto revocatorio, vale a dire quale provvedimento di autotutela, non vi sono dubbi.

Il primo giudice ha escluso la fondatezza della censura ai sensi dell’art. 21octies, comma 2, prima parte, l. 7 agosto 1990 n. 241 (aggiunto dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15). In caso di omessa comunicazione di avvio del procedimento, sia per l’ipotesi di atto vincolato che per quella di atto discrezionale, l’amministrazione può infatti dimostrare in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, e così superare la censura di carattere formale (cfr. Cons. Stato, VI, 7 gennaio 2008, n. 19). La norma è applicabile in astratto ratione temporis anche alle controversie pendenti, stante la sua natura processuale.

Sennonché risulta evidente che, per quanto si è detto, non ricorre quell’ipotesi perché l’appellata Amministrazione avrebbe dovuto fornire gli elementi necessari a dimostrare l’inutilità pratica dell’annullamento e perché- se anche si fosse ritenuto che il decreto del 2002 poteva essere posto a base dell’atto di autotutela – l’Amministrazione medesima avrebbe dovuto vagliare la rispondenza al vero dell’avvenuto espletamento dei compiti promozionali da parte della società appellante, se fosse ravvisabile un tutelabile affidamento sull’erogazione del contributo, e la rilevanza della circostanza soggettiva che la stessa società, quando domandò il contributo ed avviò il programma promozionale, non aveva ancora mutato veste giuridica.

4. In conclusione, l’appellata sentenza non resiste alle censure dedotte con l’appello e pertanto, in accoglimento del gravame, va annullata, con accoglimento del ricorso di primo grado ed annullamento degli atti impugnati.

La particolarità e novità delle questioni esaminate legittima l’integrale compensazione tra le parti delle spese dell’ odierno giudizio
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)definitivamente pronunciando sull’appello, numero di registro generale 4267 del 2006, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’impugnata decisione ed in accoglimento del ricorso di primo grado annulla gli atti impugnati.

Spese processuali compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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