Cass. pen., sez. II 31-10-2008 (09-10-2008), n. 40824 Separazione – Processo del tribunale monocratico – Persistenza della cognizione del tribunale collegiale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
Il difensore di fiducia di R.A. e A.C. chiede l’annullamento della sentenza del 6 marzo 2004, con la quale la Corte d’Appello di Palermo ha dichiarato estinto per prescrizione il reato di truffa aggravata per il quale i due erano stati condannati dal Tribunale di Palermo ed ha confermato la condanna al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite, da quantificarsi in sede di giudizio civile, confermando la provvisionale di cento milioni e la condanna al pagamento delle spese sostenute dalle parti civili.
La truffa aggravata dichiarata estinta per prescrizione è consistita nel fatto che i due ricorrenti, rappresentante legale e gestore di fatto della Strumentalia sas, in concorso con M.F. titolare di una farmacia, ponevano in essere i seguenti artifici e raggiri: il M. stipulava un contratto di leasing finanziario in quaranta rate con la Comini spa per l’importo complessivo di L. 434.500.000 per la fornitura di beni per la farmacia da parte della Strumentalia sas, fornitura che in realtà risultava fittizia. La Strumentalia incassava la somma dalla Comini, ma il M. pagava solo la prima rata. Il tutto procurava un danno di rilevante entità alla Comini, che si costituiva parte civile nel processo. Il ricorso è articolato in tre motivi.
Con il primo si contesta alla sentenza di non aver rilevato l’incompetenza del giudice di primo grado e di non aver annullato di conseguenza la sentenza dallo stesso emessa, ritrasmettendo gli atti al giudice competente. La Corte avrebbe violato così gli artt. 17, 24 c.p.p., e artt. 33 quinquies, septies ed octies c.p.p., ed avrebbe emesso una sentenza priva di motivazione o con motivazione manifestamente illogica sul punto. La tesi dei ricorrenti è che il Tribunale in composizione collegiale non poteva spogliarsi del processo rimettendolo al giudice monocratico, anche se, a seguito della separazione dei procedimenti concernenti altri imputati che avevano chiesto riti alternativi, i reati per i quali si procedeva con rito ordinario nei confronti dei ricorrenti erano di competenza del giudice monocratico.
La Corte ha giustificato la decisione del tribunale con due argomenti. Ha sostenuto che l’art. 17 bis c.p.p., è applicabile solo nel caso di separazione disposta dopo una precedente riunione e non per la separazione disposta in un processo per reati contestati insieme sin dall’inizio. Ha poi sostenuto che la legge non prevede una sanzione.
Tale motivazione è condivisibile. L’art. 17 c.p.p., disciplina i meccanismi di riunione dei processi e prevede che la riunione deve avvenire davanti al tribunale collegiale quando alcuni dei processi pendono dinanzi a tale tribunale ed altri dinanzi al Tribunale monocratico. All’interno di tale ambito, la norma completa la disciplina prevedendo che il processo così riunito rimane incardinato dinanzi al Tribunale collegiale anche nel caso di successiva separazione dei processi, senza che sia necessario cambiare nuovamente il giudice. L’ultimo frammento della norma è, pertanto, tutto interno e strettamente ancorato alla specifica disciplina e non può essere trasformato in regola generale, valida anche per il caso in cui non vi è stata una modifica del giudice originariamente competente a causa della riunione. Non lo consente la struttura della norma e la stretta correlazione tra le regole che essa detta. Lo esclude inoltre la chiara ratio dell’art. 17 c.p.p., che è finalizzato ad evitare le diseconomie processuali che si determinerebbero procedendo prima alla unificazione di processi incardinati dinanzi a giudici diversi e poi ad un nuovo cambio del giudice, con ritorno del processo al giudice monocratico. Problema che non si pone nel caso in cui non vi sia stata una preventiva riunione.
Nè può condividersi la affermazione del ricorrente secondo cui tale regola costituirebbe un principio generale: se i rapporti tra giudice monocratico e collegiale fossero regolati in via generale da questo principio, non si spiegherebbe perchè il legislatore avrebbe dettato, all’interno delle situazioni tracciate e regolate dall’art. 17 c.p.p., la norma dell’art. 17 c.p.p., u.p.. La presenza di questa norma specifica comprova che non vi è una regola generale in tal senso.
Con un secondo rilievo si assume che vi è stata irritualità nella fissazione della nuova udienza davanti al giudice monocratico eseguita con ordinanza del giudice collegiale senza che tale ordinanza venisse notificata agli interessati a cura del giudice collegiale. Con riferimento a questa censura la Corte aveva però espressamente motivato, spiegando che i due imputati erano presenti alla lettura della ordinanza il che ha reso superflua la notifica (sentenza di appello, pag. 6) e la circostanza non è stata contestata nei motivi di ricorso in cassazione.
Il secondo motivo concerne la posizione specifica dell’ A.. Si denunzia la mancata correlazione tra accusa e difesa perchè nella imputazione egli è chiamato a rispondere quale gestore di fatto della Strumentalia, mentre il tribunale ha argomentato la sua responsabilità in quanto consulente. Il motivo è privo di fondamento perchè anche l’attività dell’ A. è stata esaminata nei suoi atti concreti, a prescindere dalla veste formale rivestita, senza travalicare l’ambito della contestazione e senza certamente limitare le possibilità di difesa.
Con il terzo motivo si denunzia la manifesta illogicità della motivazione; la mancata assunzione di una prova decisiva, la violazione di norme sostanziali e processuali.
Si censura il passaggio con il quale la sentenza impugnata ha rigettato l’istanza di riapertura del dibattimento per ascoltare la teste B., al fine di dimostrare che i beni erano stati effettivamente consegnati alla farmacia. Il Tribunale aveva dichiarato l’inammissibilità di tale prova, perchè non era stata richiesta nei termini di cui all’art. 468 c.p.p., comma 2, e tale statuizione non è stata oggetto di censura nei motivi di appello, con i quali i ricorrenti si sono limitati a chiedere la riapertura del dibattimento "per la indispensabilità e utilità di tale teste", senza peraltro spiegare con precisione in cosa consistesse la indispensabilità (la mera utilità non rileva). Al contrario, la Corte ha ritenuto che tale indispensabilità non sussistesse, spiegandone le ragioni con un ragionamento immune da vizi logici.
Altra censura concerne quelli che i ricorrenti definiscono reiterati errori logici e violazioni delle norme sulla valutazione della prova.
Si contesta ai giudici di merito di aver fondato la condanna anche sulle dichiarazioni rese dal M., coimputato in reato connesso, al curatore fallimentare. Deve però ricordarsi che "le dichiarazioni rese dal fallito al curatore non sono soggette alla disciplina di cui all’art. 63 c.p.p., comma 2, che prevede l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria da chi, sin dall’inizio, avrebbe dovuto essere sentito in qualità d’imputato, in quanto il curatore non rientra in queste categorie e la sua attività non può farsi rientrare nella previsione di cui all’art. 220, norme di coordinamento cod. proc. pen., che concerne le attività ispettive e di vigilanza. (Sez. 5, Sentenza n. 46795 del 04/10/2004 Ud. (dep. 02/12/2004 ) Rv. 230520, ma v. già, Cass., n. 41134 del 2001, Rv.
220257).
Si contesta infine proprio la deposizione del curatore, che effettuò un sopralluogo nella farmacia, e dichiarò che il mobilio e gli arredi non erano nuovi, assumendo che il curatore potrebbe essere stato suggestionato e che la sua percezione del carattere non nuovo dei mobili e degli arredi della farmacia potrebbe essere stata una percezione errata, potrebbe essere addirittura che egli abbia visionato beni diversi da quelli della fornitura di Strumentalia.
Questi rilievi critici sono cruciali, perchè cruciale è sicuramente la dichiarazione del curatore fallimentare assunto come teste e testimone oculare di quanto constatato in sede di sopralluogo. Ma la valutazione di queste dichiarazioni, attentamente vagliate dalla Corte, attiene al merito. L’analisi e la valutazione effettuata dalla Corte d’Appello è completa, razionale e priva di contraddizioni o illogicità.
Infine si contesta la motivazione nella parte relativa al danno risarcibile alle parti civili. La curatela fallimentare, a parere dei ricorrenti non ha subito alcun danno, anzi dal contratto simulato ricaverebbe un beneficio. Parimenti la COMIFIN, a parere dei ricorrenti, non ha subito danni in quanto si è insinuata nel passivo fallimentare così avendo la possibilità di recuperare le somme erogate. Le tesi sono entrambe infondate. La curatela ha assunto un debito nei confronti della finanziaria. La finanziaria dal canto suo a fronte della erogazione di 434.500.000 milioni, ha percepito solo la prima delle quaranta rate. Solo in parte queste somme potranno essere recuperate e spetterà al giudice civile quantificare l’entità finale del danno.
L’ultima censura concerne la liquidazione della provvisionale, di cui si denunzia la carenza di motivazione. Il motivo di ricorso è inammissibile. Per giurisprudenza costante e consolidata "Il provvedimento che liquida somme a titolo di provvisionale alla parte civile non è ricorribile per cassazione, perchè non è suscettibile di passaggio in giudicato e destinato a rimanere assorbito nella pronuncia definitiva sul risarcimento che, sola, può essere oggetto di impugnazione con ricorso per cassazione" (fra le tante, cfr.
Cass., Sez. 2, Sentenza n. 36536 del 20/06/2003 Ud. (dep. 23/09/2003) Rv. 226454).
Il ricorso pertanto deve essere rigettato. Ne deriva la condanna al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento in solido delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile COMIFIN spa, che liquida per il presente grado in complessivi 3.000,00 Euro, oltre IVA, Cpa e spese forfettarie.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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