Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 20-04-2011) 30-05-2011, n. 21618 Esecuzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 14 luglio 2010 la Corte d’appello di Lecce, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha revocato, su richiesta del Procuratore Generale presso la stessa Corte, il beneficio dell’indulto concesso a M.A., ai sensi della L. n. 241 del 2006, con propria precedente ordinanza del 29 gennaio 2009 nella misura di mesi nove di reclusione ed Euro trecento di multa, con riguardo alla sentenza del 5 maggio 2006 della stessa Corte, irrevocabile il 26 settembre 2007, che aveva condannato il predetto per violazione delle norme sull’immigrazione clandestina e simulazione di reato, commessi in (OMISSIS).

La Corte, in particolare, riteneva che ricorreva l’ipotesi di revoca di diritto dell’indulto concesso, rilevando che, dopo la predetta sentenza e nel termine di cui alla L. n. 241 del 2006, art. 1, comma 3, M.A. era stato condannato con sentenza del 16 maggio 2008 della stessa Corte, in riforma della sentenza del 18 settembre 2007 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Lecce, irrevocabile il 1 luglio 2009, alla pena di anni quattro e mesi dieci di reclusione ed Euro trecento di multa per i reati di partecipazione ad associazione a delinquere, sfruttamento dell’immigrazione clandestina e altro commessi fino al 28 ottobre 2006. 2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, con il ministero del suo difensore, M.A., che ne chiede l’annullamento sulla base di unico motivo, con il quale denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, deducendo che la sentenza del 16 maggio 2008 non può costituire motivo di revoca dell’indulto perchè relativa a più reati e il reato, per il quale è stata inflitta una pena non inferiore a due anni, è stato commesso dal settembre 2004 al febbraio 2006, come risulta dalla sentenza di primo grado, e non "nel settembre 2004 e tuttora permanente", come riferito dalla Corte d’appello.

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato requisitoria scritta ed ha concluso chiedendo di trasmettere il ricorso, qualificato come opposizione, alla Corte d’appello di Lecce.
Motivi della decisione

1. E’ ammissibile il ricorso per cassazione proposto ai sensi dell’art. 666 c.p.p., comma 6, avverso l’ordinanza che, a seguito di incidente di esecuzione, ha revocato l’indulto.

La revoca dell’indulto, a differenza dell’applicazione dell’indulto soggetta alla procedura prevista dall’art. 667 c.p.p., comma 4, richiamata dall’art. 672 cod. proc. pen., è, infatti, disposta in esito a camera di consiglio partecipata, ex art. 666 c.p.p., commi 3 e 4, con ordinanza contro la quale può essere proposto ricorso per cassazione.

2. Il ricorso deve essere accolto per ragioni diverse da quelle dedotte.

2.1. Secondo il principio espresso da questa Corte a Sezioni Unite, nel caso di reati uniti dal vincolo della continuazione, alcuni dei quali siano stati commessi nei cinque anni dalla entrata in vigore del provvedimento di clemenza, la pena rilevante ai fini della revoca dell’indulto va individuata, con riguardo ai reati-satellite, nell’aumento di pena in concreto inflitto a titolo di continuazione per ciascuno di essi, e non nella sanzione edittale minima prevista per la singola fattispecie astratta. A tal fine, ove la sentenza non abbia specificato la pena applicata per ciascun reato, spetta al giudice dell’esecuzione interpretare il giudicato (Sez. U. n. 21501 del 23 aprile 2009, dep. 22 maggio 2009, Astone, Rv. 243380).

Tale principio, espresso, con riguardo alla revoca dell’indulto ai sensi del D.P.R. n. 394 del 2000, art. 4, superando il contrario prevalente orientamento (Sez. 1, n. 2934 del 20/05/1998, dep. 16/09/1998, P.G. in proc. Soaviti, Rv. 211415; Sez. 1, n. 363 del 14/01/1999, dep. 12/04/1999, Trane, Rv. 212959; Sez. 1, n. 5257 del 29/11/2001, dep. 08/02/2002, Schisa, Rv. 220683; Sez. 1, n. 19752 del 28/03/2003, dep. 28/04/2003, Cali, Rv. 223852; Sez. 1, n. 45770 del 25/11/2008, dep. 11/12/2008, Ammar, Rv. 242265; Sez. 1, n. 2060 del 11/11/2008, dep. 20/01/2009, Marincola, Rv. 242837), che riteneva si dovesse aver riguardo alla sanzione edittale minima prevista per i reati in continuazione, ripreso dalle successive sentenze (Sez. 1, n. 25204 del 29/05/2009, dep. 17/06/2009, Scafuti, Rv. 243822; Sez. 1, n. 46905 del 10/11/2009, dep. 09/12/2009, Castorina, Rv. 245864; Sez. 1, n. 49986 del 24/11/2009, dep. 30/12/2009, Agnello, Rv. 245967) anche con riguardo alla revoca dell’indulto ai sensi della L. 31 luglio 2006, n. 241, art. 1, comma 3, è condiviso da questo Collegio.

Invero, oltre al dato testuale rappresentato dalla circostanza che la L. n. 241 del 2006, art. 1, comma 3, disciplinando la revocabilità dell’indulto, usa l’espressione "riporti condanna", come già il D.P.R. n. 394 del 2000, art. 4, evocando, come evidenziato dalle Sezioni Unite con la predetta sentenza, "il concetto di pena inflitta dal giudice", nell’ambito del suo potere discrezionale, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., milita la ratio della previsione della revoca, ispirata, come pure sottolineato dalle Sezioni Unite, a finalità di prevenzione speciale e volta a controllare la meritevolezza del beneficio da parte del singolo condannato, a differenza della finalità di prevenzione generale, perseguita dalla L. n. 241 del 2006, art. 1, comma 2, con l’esclusione dall’applicabilità del beneficio di una serie di delitti individuati attraverso le norme incriminatrici.

Tali rilievi si raccordano alla disciplina della continuazione ispirata al favor rei e al principio, costantemente affermato da questa Corte, con riguardo agli effetti dello scioglimento del cumulo delle pene irrogate per il reato continuato sui singoli reati, che riacquistano la loro autonomia, e sulle pene per le quali viene considerato "l’aumento in sè" (Sez. U, n. 1 del 26/02/1997, dep. 27/06/1997, Mammoliti, Rv. 207939; Sez. 6, n. 31089 del 22/06/2004, dep. 15/07/2004, Gagliardi, Rv. 229502).

Essi sono anche in linea con altra sentenza di questa Corte, che, investita, a Sezioni Unite, del quesito sorto in relazione a fattispecie processuale nella quale, essendo intervenuta sentenza di condanna non definitiva per un reato continuato, si discuteva circa l’eventuale dichiarazione di inefficacia, ex art. 300 c.p.p., comma 4, della custodia cautelare applicata solo per il reato meno grave, ha aderito all’opzione interpretativa secondo cui, per stabilire l’entità della pena irrogata alla quale commisurare la durata della custodia già subita, occorre fare riferimento alla pena inflitta come aumento ai sensi dell’art. 81 cod. pen. (Sez. U, n. 25956 del 26/03/2009, dep. 22/06/2009, Vitale, Rv. 243588), e ha ribadito che la mancata individuazione degli aumenti di pena per i reati-satellite va colmata dal giudice di merito (che nella specie era investito della questione cautelare), che, con il limite dell’aumento complessivo di pena risultante dalla sentenza di condanna, deve determinare la frazione di pena riferibile a ciascuno dei reati in continuazione, ispirandosi a criteri che tengano conto della loro natura e oggettiva gravità, secondo l’apprezzamento fattone dal giudice di merito (Sez. U, n. 25956 del 26/03/2009, dep. 22/06/2009, Vitale, Rv. 243589).

2.2. Nel caso in esame il Giudice dell’esecuzione non ha fatto applicazione di questi principi.

Il Giudice ha fatto, invece, cumulativo riferimento alla pena detentiva di anni quattro e mesi dieci di reclusione per i reati di partecipazione ad associazione a delinquere, sfruttamento dell’immigrazione clandestina e altro commessi fino al 28 ottobre 2006 (entro il termine di cui alla L. n. 241 del 2006, art. 1, comma 3), omettendo di indicare gli elementi, ricavati dalla sentenza irrevocabile, presi in considerazione per tale determinazione, di individuare quale reato sia stato ritenuto più grave e di precisare la frazione di pena inflitta in concreto a titolo di continuazione per i singoli reati, al fine della valutazione del superamento per ciascuno di essi del limite di pena di due anni per la revocabilità dell’indulto.

3. Consegue l’annullamento dell’ordinanza impugnata e il rinvio per nuovo esame della fattispecie alla Corte d’appello di Lecce.
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte d’appello di Lecce.

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