Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 20-04-2011) 30-05-2011, n. 21594

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 10 febbraio 2010 del Tribunale di Torino G. T. è stata ritenuta responsabile dei reati di favoreggiamento e sfruttamento pluriaggravati della prostituzione di I.D. e di tale B., non meglio identificata, di favoreggiamento aggravato dell’ingresso e della permanenza illegale della predetta I. nel territorio dello Stato e di tentata estorsione in danno della stessa, ed è stata condannata, previa unificazione dei reati sotto il vincolo della continuazione, ed esclusa la recidiva contestata ai fini della determinazione della pena, alla pena di anni sette di reclusione ed Euro trentaduemila di multa.

Con la stessa sentenza l’imputata è stata dichiarata interdetta in perpetuo dai pubblici uffici e in stato di interdizione legale durante l’espiazione della pena.

2. La Corte d’appello di Torino, con sentenza del 7 luglio 2010, in parziale riforma della decisione di primo grado, concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, ha rideterminato la pena in anni sei di reclusione ed Euro trentamila di multa.

3. La sentenza di primo grado aveva ritenuto provata la responsabilità penale dell’imputata sulla base delle dichiarazioni rese dalla persona offesa I.D., il cui racconto, lineare, coerente e privo di contraddizioni, era stato corroborato da diverse risultanze probatorie acquisite nel corso della istruttoria dibattimentale, e rappresentate da dichiarazioni testimoniali, conversazione telefonica registrata, riconoscimento fotografico dell’imputata da parte della persona offesa, referti ospedalieri, documentazione relativa alla provenienza nigeriana della persona offesa e condotta dell’imputata, che aveva negato anche le circostanze evidenti.

La Corte d’appello, che richiamava, condividendoli, i numerosi elementi evidenziati a carico dell’imputata dal Tribunale, illustrava le censure svolte con i motivi di appello in merito alla ritenuta inaffidabilità delle dichiarazioni della persona offesa, alla qualificabilità della tentata estorsione come episodio del contestato sfruttamento della prostituzione e al trattamento sanzionatorio, e rilevava che l’imputata nel corso dell’udienza di discussione, dopo la relazione del Presidente, aveva reso spontanee dichiarazioni confessorie, ammettendo che tutto quanto dichiarato dalla persona offesa rispondeva a verità.

Secondo la Corte le emergenze acquisite consentivano di ritenere che la responsabilità penale dell’imputata era stata accertata con sicurezza e che la tentata estorsione, contrariamente a quanto dedotto, non aveva connessione con lo sfruttamento della prostituzione per essere temporalmente successiva alla sua cessazione.

In ordine al trattamento sanzionatorio la Corte, avuto riguardo al comportamento processuale dell’imputata le cui ammissioni erano comunque quantomeno tardive e in parte necessitate, concedeva le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza con le contestate aggravanti.

4. Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione l’imputata, con il ministero del suo difensore, chiedendone l’annullamento per carenza e vizio logico della motivazione sul rilievo della omessa considerazione nella motivazione di quanto sottolineato e rappresentato con i motivi di appello.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Questa Corte ha più volte affermato il principio, condiviso dal Collegio, che a fondamento dell’atto di impugnazione devono esserci censure collegate alle ragioni argomentate dalla decisione impugnata, che non possono essere ignorate dal ricorrente (tra le altre, Sez. 3, n. 16851 del 02/03/2010, dep. 04/05/2010, Cecco e altro, Rv. 246980;

Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, dep. 28/05/2009, P.M. in proc. Candita e altri, Rv. 244181).

La Corte d’appello, richiamati e condivisi i numerosi elementi evidenziati a carico dell’imputata dal Tribunale, ha dato coerente risposta, con motivazione sintetica ma logicamente articolata, come indicato nei rilievi in fatto della sentenza, alle censure svolte con i motivi di appello, e afferenti alla contestata affidabilità delle dichiarazioni della persona offesa, alla contestata autonomia del reato di tentata estorsione rispetto a quello di sfruttamento della prostituzione e al contestato trattamento sanzionatorio.

A fronte delle motivate deduzioni svolte dalla sentenza impugnata, la ricorrente non ha svolto alcuna critica specifica, neppure contestando le dichiarazioni confessorie da essa rese nel giudizio di appello, e fondatamente valorizzate in sentenza unitamente alle ulteriori emergenze probatorie, e limitandosi a sostenere genericamente l’omessa valutazione di quanto sottolineato e rappresentato nei motivi di appello.

3. L’aspecificità del motivo, che solo nella forma denunzia vizio ammissibile in questa sede, determina l’inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c).

4. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè – valutato il contenuto del ricorso e in difetto dell’ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione dell’impugnazione – al versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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