T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 30-05-2011, n. 4824 Ordinamento giudiziario

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Espone in fatto l’odierno ricorrente di aver presentato – quale Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Milano – domanda di partecipazione al concorso interno ai fini della mobilità orizzontale per la copertura di 472 posti di primo grado, bandito con delibera del C.S.M. del 23 maggio 2007, con termine di scadenza per la presentazione delle domande al 30 giugno 2007, con richiesta di assegnazione di uno dei 7 posti banditi presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Milano.

Con la gravata delibera il C.S.M. ha emanato direttive generali sull’applicazione delle modifiche introdotte all’Ordinamento Giudiziario dalla legge n. 111 del 30 luglio 2007 – entrata in vigore in data 31 luglio 2007 – ai procedimenti in corso per posti banditi prima dell’entrata in vigore della riforma, a fronte dell’assenza di una disciplina transitoria e della previsione di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 160 del 2006, come modificato dalla citata legge n. 111 del 2007, che prevede che il passaggio dalle funzioni giudicanti alle funzioni requirenti e viceversa possa avvenire previo trasferimento in diverso distretto o in diverso circondario.

In particolare, con la gravata delibera, il C.S.M. ha escluso l’applicabilità della normativa vigente al momento della pubblicazione del bando o di scadenza dei termini per la presentazione delle domande, ritenendo immediatamente applicabile il divieto assoluto, non suscettibile di eccezione, previsto dall’art. 13 del D.Lgs. n. 160 del 2006, di passaggio da funzioni giudicanti e requirenti e viceversa, all’interno del medesimo circondario e della stessa provincia, nonché, per i trasferimenti di secondo grado, all’interno del distretto.

Non potendo il ricorrente, in virtù di tale delibera, concorrere per l’assegnazione di uno dei 7 posti banditi presso la Procura della Repubblica di Milano, essendo divenuto destinatario del divieto recato dal citato art. 13, deduce questi a sostegno della proposta azione impugnatoria avverso tale delibera proposta, i seguenti motivi di censura:

1 – Eccesso di potere per violazione del bando. Violazione – per mancata applicazione dell’art. 1, comma 1, della legge 24 ottobre 2006 n. 269 e – per errata applicazione – dell’art. 13 del D.Lgs. n. 160 del 2006.

Sostiene parte ricorrente che l’aver sottoposto la procedura concorsuale ad una regola giuridica sostanziale intervenuta successivamente alla pubblicazione del bando si porrebbe in violazione sia del bando, che della normativa vigente sia al momento della sua pubblicazione che di quella successiva, quest’ultima destinata a trovare applicazione alle sole procedure bandite successivamente al 31 luglio 2007 mentre, quanto ai concorsi già banditi, suscettibile di applicazione limitatamente alle disposizioni relative a profili procedurali e non ad aspetti sostanziali che incidono su diritti e potestà pubbliche e private.

In particolare, si riporta parte ricorrente all’affermato vincolo dell’Amministrazione procedente al rispetto del bando, non suscettibile di disapplicazione per effetto di una normativa sopravvenuta dopo la pubblicazione dello stesso, potendo la regola del tempus regit actum attenere unicamente alle sequenze procedimentali dotate di propria autonomia funzionale e non ad attività interamente disciplinate dalle norme vigenti al momento della pubblicazione del bando, né a regole aventi carattere sostanziale.

L’invocata sottoposizione della procedura concorsuale in questione alla normativa vigente al momento della pubblicazione del bando e della scadenza del termine per presentare domanda di partecipazione, viene da parte ricorrente argomentata anche mediante il richiamo alla circostanza della mancata previsione di un regime transitorio per la nuova normativa, asseritamente indicativa dell’intenzione del legislatore di applicare il previsto divieto solo alle procedure concorsuali future, per l’effetto rivelandosi la gravata determinazione in contrasto sia con il bando che con l’art. 1, comma 1, della legge n. 269 del 2006 – che ha sospeso l’efficacia delle disposizioni del D.Lgs. n. 160 del 2006 sino al 31 luglio 2007 – oltre che adottata in violazione, per errata applicazione, dell’art. 13 del D.Lgs. n. 160 del 2006.

2 – Violazione dell’art. 21 quinquies e 21 nonies della legge n. 241 del 1990. Eccesso di potere per sviamento, contraddittorietà ed irragionevolezza.

Sostiene parte ricorrente che l’applicazione parcellizzata delle due discipline avrebbe determinato effetti analoghi alla revoca o autoannullamento del bando nella parte in cui lo stesso consentiva il passaggio di funzioni, senza tuttavia seguirne le relative procedure, come dettate dagli epigrafati articoli.

Contesta, quindi, parte ricorrente le motivazioni recate in proposito nella gravata delibera, sostenendo come l’affermata – nella gravata delibera – sussistenza di interessi pubblici ostativi alla revoca non sarebbe idonea a legittimare l’adozione del gravato atto che, tenuto conto dei relativi effetti, avrebbe dovuto seguire un procedimento di secondo grado, nel rispetto dei relativi presupposti di carattere formale e sostanziale, nella specie insussistenti, mancando un interesse pubblico specifico alla revoca e potendo invece ravvisarsi la presenza di un contrario interesse alla prosecuzione della procedura.

3 – Violazione del principio di legalità dell’azione amministrativa e della par condicio. Violazione dell’art. 73, comma 3, della Costituzione e dell’art. 10 delle Disposizioni sulla legge in generale. Violazione dell’art. 12, comma 1, delle Disposizioni sulla legge in generale.

L’introduzione, per effetto dl gravato provvedimento, di una nuova regola di incompatibilità successivamente alla pubblicazione del bando, si porrebbe, secondo parte ricorrente, in violazione del principio di legalità e della par condicio, rendendo impossibile a soggetti quali il ricorrente, dopo tale pubblicazione, la partecipazione alla procedura alle stesse condizioni degli altri.

Inoltre, si sarebbe anticipata l’efficacia giuridica della nuova normativa, peraltro limitatamente ad alcune disposizioni dal C.S.M. discrezionalmente individuate, in violazione delle disposizioni indicate nell’epigrafato motivo di censura.

Con motivi aggiunti depositati al fascicolo di causa in data 16 gennaio 2009, parte ricorrente ha impugnato il provvedimento di assegnazione dei posti banditi presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano deducendo avverso lo stesso, previa breve ricostruzione della vicenda, oltre che profili di illegittimità derivata dalla gravata delibera, i seguenti motivi di censura:

1 – Eccesso di potere per violazione del bando. Violazione – per mancata applicazione dell’art. 1, comma 1, della legge 24 ottobre 2006 n. 269 e – per errata applicazione – dell’art. 13 del D.Lgs. n. 160 del 2006.

Ripropone, sostanzialmente, parte ricorrente, le argomentazioni già svolte nel ricorso introduttivo, ulteriormente argomentando.

2 – Violazione dell’art. 21 quinquies e 21 nonies della legge n. 241 del 1990. Eccesso di potere per sviamento, contraddittorietà ed irragionevolezza.

Anche tale motivo di censura è affidato a considerazioni analoghe a quelle già articolate nel ricorso introduttivo.

3 – Violazione del principio di legalità dell’azione amministrativa e della par condicio. Violazione dell’art. 73, comma 3, della Costituzione e dell’art. 10 delle Disposizioni sulla legge in generale. Violazione dell’art. 12, comma 1, delle Disposizioni sulla legge in generale.

Con argomentazioni già svolte nel ricorso introduttivo, illustra parte ricorrente i profili di denunciata illegittimità del gravato provvedimento.

Con ulteriore atto per motivi aggiunti, depositato al fascicolo di causa in data 7 maggio 2009, parte ricorrente si duole di un ulteriore provvedimento di assegnazione dei posti banditi, deducendone l’illegittimità derivata per i medesimi vizi di cui sarebbe affetta la gravata delibera, nonché per i seguenti ulteriori motivi:

1 – Eccesso di potere per violazione del bando. Violazione – per mancata applicazione dell’art. 1, comma 1, della legge 24 ottobre 2006 n. 269 e – per errata applicazione – dell’art. 13 del D.Lgs. n. 160 del 2006.

2 – Violazione dell’art. 21 quinquies e 21 nonies della legge n. 241 del 1990. Eccesso di potere per sviamento, contraddittorietà ed irragionevolezza.

3 – Violazione del principio di legalità dell’azione amministrativa e della par condicio. Violazione dell’art. 73, comma 3, della Costituzione e dell’art. 10 delle Disposizioni sulla legge in generale. Violazione dell’art. 12, comma 1, delle Disposizioni sulla legge in generale.

Ripropone, sostanzialmente, parte ricorrente le argomentazioni già svolte nel ricorso introduttivo, ulteriormente argomentando ed arricchendo le tesi sostenute con ulteriori richiami giurisprudenziali.

Si è costituita in resistenza l’intimata Amministrazione sostenendo, con articolate controdeduzioni, l’infondatezza del ricorso con richiesta di corrispondente pronuncia.

Con memoria successivamente depositata parte ricorrente ha insistito nelle proprie deduzioni, ulteriormente argomentando.

Alla Pubblica Udienza dell’11 maggio 2011, la causa è stata chiamata e, sentiti i difensori delle parti, trattenuta per la decisione, come da verbale.
Motivi della decisione

Con il ricorso in esame, integrato da motivi aggiunti, è proposta azione impugnatoria avverso la delibera del C.S.M. – meglio indicata in epigrafe nei suoi estremi – recante direttive generali sull’applicazione delle modifiche introdotte all’Ordinamento Giudiziario dalla legge n. 111 del 30 luglio 2007 ai procedimenti in corso per posti banditi prima dell’entrata in vigore della riforma introdotta dalla predetta legge, stabilendo l’immediata applicabilità della previsione di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 160 del 2006, come modificato dalla legge n. 111 del 2007, che reca il divieto di passaggio dalle funzioni giudicanti alle funzioni requirenti e viceversa senza previo trasferimento in diverso distretto o in diverso circondario. E’ proposta, altresì, azione impugnatoria avverso gli atti applicativi della gravata delibera con cui è stata disposta l’assegnazione di magistrati presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Milano, da cui è stato escluso il ricorrente in quanto divenuto destinatario, per effetto di tale delibera, del divieto recato dalla citata norma, avendo egli presentato domanda, quale Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Milano, per l’assegnazione di uno dei 7 posti banditi, con delibera del C.S.M. del 23 maggio 2007, per la Procura della Repubblica di detto Tribunale.

Affida parte ricorrente la proposta azione impugnatoria ad una serie di censure volte a denunciare la gravata delibera in quanto – nel sottoporre la procedura concorsuale ad una regola giuridica sostanziale successiva – si porrebbe in violazione sia del bando, non suscettibile di disapplicazione, che della normativa vigente al momento della sua pubblicazione e di quella successiva, destinata a trovare applicazione alle sole procedure bandite successivamente al 31 luglio 2007 e, per quelle già bandite, limitatamente alle disposizioni relative a profili procedurali e non ad aspetti sostanziali incidenti su diritti e potestà pubbliche e private, invocando, a sostegno dei propri assunti, la regola del tempus regit actum, che potrebbe applicarsi unicamente alle sequenze procedimentali dotate di propria autonomia funzionale e non ad attività interamente disciplinate dalle norme vigenti al momento della pubblicazione del bando, né a regole aventi carattere sostanziale, nonché la mancata previsione di un regime transitorio per la nuova normativa, asseritamente indicativa dell’intenzione del Legislatore di applicare il previsto divieto solo alle procedure concorsuali future.

Inoltre, conseguendo all’applicazione parcellizzata delle due discipline effetti analoghi alla revoca o autoannullamento del bando nella parte in cui consentiva il passaggio di funzioni, avrebbe dovuto essere rispettata la prescritta sequenza procedimentale dando conto della sussistenza di un interesse pubblico specifico alla revoca, peraltro non sussistente.

Ancora, l’introduzione, per effetto dl gravato provvedimento, di una nuova regola di incompatibilità successivamente alla pubblicazione del bando, si porrebbe in asserita violazione del principio di legalità e della par condicio, rendendo impossibile a soggetti quali il ricorrente, dopo tale pubblicazione, la partecipazione alle stesse condizioni degli altri, anticipandosi l’efficacia giuridica della nuova normativa solo con riferimento ad alcune disposizioni.

Così brevemente ricostruiti contorni della vicenda contenziosa in esame, giova brevemente richiamare il contenuto della gravata delibera del C.S.M., recante le "direttive generali in relazione all’applicazione dell’art. 13 del D.Lgs. 160/06 come modificato dalla Legge 111 del 30 luglio 2007 ai procedimenti di nomina per uffici direttivi e semidirettivi in corso alla data del 31 luglio 2007", nella quale, nel prendersi atto dell’assenza di una norma transitoria disciplinante la sorte dei numerosi procedimenti in corso, e della conseguente necessità di verificare l’applicabilità della nuova legge anche ai concorsi già banditi, vengono sottoposte al vaglio le varie soluzioni alternative, giungendosi alla conclusione secondo cui l’applicabilità dello ius superveniens, nell’ambito delle procedure concorsuali in itinere, trova il solo limite dell’intangibilità delle situazioni giuridiche ormai definite, con la conseguenza che, ove la procedura di concorso si divida in fasi coordinate, la nuova norma può trovare applicazione per le fasi che all’atto della sua entrata in vigore non siano ancora state realizzate, tenuto conto che la nuova legge dovrebbe avere applicazione immediata in tutte le ipotesi in cui non sia esaurita la fase dispositiva, restando esclusa la possibilità di emettere un provvedimento finale in contrasto con le disposizioni di legge immediatamente ed autonomamente applicabili.

Più specificamente, nella gravata delibera, il C.S.M. ha ritenuto che dall’esame della norma di cui all’art. 13, comma 4, del D.Lgs. n. 160 del 2006, emerga un divieto assoluto per il passaggio da funzioni giudicanti a requirenti e viceversa, all’interno del medesimo circondario e della stessa provincia (nonché per i trasferimenti in secondo grado all’interno del distretto), avendo la disposizione carattere obiettivo in quanto prescinde dalla individuazione o determinazione di ulteriori elementi in fatto e non incide sui presupposti soggettivi della domanda, rappresentando una norma interdittiva autonomamente ed immediatamente applicabile.

Sulla base dei canoni interpretativi individuati con la gravata delibera, il C.S.M. ha quindi proceduto alle assegnazioni dei posti banditi, ivi compresi quelli presso la Procura delle Repubblica del Tribunale di Milano cui si riferisce la domanda del ricorrente, che non è stata accolta.

Poste tali precisazioni, rileva il Collegio come la Sezione si sia già pronunciata su questione analoga, con sentenza n. 2085 dell’8 marzo 2011, dalla cui statuizioni non si ravvisano motivi per discostarsi.

L’art. 13, commi 3 e 4, del D.Lgs. n. 160 del 2006 ha disciplinato in maniera dettagliata e puntuale il passaggio da funzioni requirenti a funzioni giudicanti e viceversa.

La nuova disciplina delle incompatibilità, in particolare, vieta il passaggio di funzioni all’interno dello stesso distretto ovvero all’interno di altri distretti della stessa regione.

Tale divieto non si applica solo nel caso in cui il magistrato che chiede il passaggio a funzioni requirenti abbia svolto negli ultimi cinque anni funzioni esclusivamente civili o del lavoro, ovvero nel caso in cui il magistrato chieda il passaggio da funzioni requirenti a funzioni giudicanti civili o del lavoro in un ufficio giudiziario diviso in sezioni, ove vi siano posti vacanti, in una sezione che tratti esclusivamente affari civili o del lavoro; in tali casi, peraltro, il tramutamento di funzioni può realizzarsi soltanto in un diverso circondario ed in una diversa provincia rispetto a quelli di provenienza.

La Sezione ha già avuto modo di chiarire che, correttamente, nelle sue direttive generali, l’organo di autogoverno muove dall’assunto secondo cui, per giurisprudenza consolidata, la normativa sopravvenuta deve trovare di regola applicazione anche ai procedimenti concorsuali in itinere, a meno che non esista una difforme disposizione transitoria (T.A.R. Lazio, Roma, I, 3 febbraio 2009, n. 1024).

Per quanto concerne il divieto di passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti all’interno dello stesso distretto non è stato previsto alcun differimento dell’entrata in vigore della norma né alcun regime transitorio, secondo una valutazione rientrante nella discrezionalità del Legislatore, il cui esercizio non appare affetto da profili di irragionevolezza.

Ne consegue che la norma è immediatamente applicabile e deve, quindi, ritenersi operante anche per le procedure concorsuali in itinere, vale a dire per tutte le procedure per le quali la determinazione conclusiva del procedimento non sia stata ancora adottata.

Sulla base di tali considerazioni devono essere disattese le censure proposte dal ricorrente.

La legittimità di un provvedimento amministrativo, infatti, deve essere apprezzata con riferimento allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della sua emanazione, secondo il principio del tempus regit actum, e l’applicabilità dello ius superveniens nell’ambito della procedura concorsuale in itinere – come correttamente rilevato nella gravata delibera – incontra il solo limite dell’intangibilità delle situazioni giuridiche ormai definite, sicché, ove la procedura di concorso si divida in varie fasi coordinate, ma dotate di una certa autonomia, la nuova norma può trovare applicazione per le fasi che all’atto della sua entrata in vigore non siano state ancora realizzate, mentre l’applicazione è esclusa per le fasi già espletate e compiute (ex multis: Consiglio di Stato – Sez. VI – 11 dicembre 2009, n. 7770; 26 maggio 1999, n. 694).

Contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente, è dunque proprio l’assenza di una disciplina transitoria, non necessaria nella specifica fattispecie, a determinare l’immediata applicazione della norma recante il divieto del passaggio da funzione giudicante a funzione requirente all’interno dello stesso distretto, per cui l’organo di autogoverno non ha introdotto alcuna disciplina transitoria, ma ha legittimamente applicato la norma in vigore al momento dell’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento.

Né l’illegittimità dell’azione amministrativa può essere dedotta dal principio dell’intangibilità del bando di gara, costituente lex specialis della selezione, per cui lo ius superveniens potrebbe trovare applicazione immediata soltanto nei casi in cui non risulti in contrasto con il bando.

Infatti, per effetto dell’entrata in vigore della legge, il bando di concorso risulta eterointegrato dalla previsione di cui alla norma contenuta nell’art. 13 del D.Lgs. n. 160 del 2006.

In sostanza, la norma de qua costituisce una fonte eteronoma di integrazione della lex specialis della gara.

Inoltre, lo ius novum, introducendo una disciplina generale delle incompatibilità, territoriali e funzionali, quale che sia la modalità di attribuzione delle funzioni medesime – che rappresenta uno degli aspetti qualificanti della legge n. 111 del 2007, la quale, sotto tale profilo, ha comunque temperato la rigida separazione delle funzioni introdotta dalla c.d. riforma "Castelli" – è entrato immediatamente in vigore, non essendo stato invero previsto per tale legge alcun differimento e regime transitorio, secondo una valutazione di merito che rientra nella discrezionalità del legislatore.

Il silenzio della legge circa un’eventuale salvezza dei concorsi in atto, ha perciò determinato l’immediata applicazione dello ius superveniens, nella sua integrale portata precettiva, a tutti i procedimenti non ancora esauriti.

Venendo in rilievo, come illustrato, un divieto discendente dal nuovo quadro del regime delle incompatibilità di svolgimento delle funzioni giurisdizionali, appare evidente il carattere recessivo della questione, dedotta da parte ricorrente, circa la portata sostanziale della nuova disciplina – come tale asseritamente non applicabile ai concorsi già banditi – trovando tale nuovo regime, per quanto sopra illustrato, immediata applicabilità e non risultando esso, per la sua portata precettiva di carattere interdittivo, suscettibile di eccezioni, né comportando alcuna violazione della par condicio tra i candidati.

Quanto al dedotto profilo di censura secondo cui con la gravata delibera si sarebbero prodotti effetti analoghi alla revoca o autoannullamento del bando nella parte in cui consentiva il passaggio di funzioni senza tuttavia rispettare la sequenza procedimentale prevista per i procedimenti di secondo grado e senza dare conto della sussistenza di un interesse pubblico specifico alla revoca, rileva il Collegio come nella gravata delibera si affronti specificamente la questione inerente la percorribilità della revoca del bando, ritenendosi tuttavia, con motivazioni condivise dal Collegio, la prevalenza dell’interesse pubblico a non creare stasi e ritardi nelle procedure per la mobilità, e ciò in ossequio ai criteri di buon andamento, razionalità e congruità dell’azione amministrativa.

In conclusione, alla luce delle considerazioni sopra illustrare il ricorso va rigettato stante la riscontrata infondatezza delle questioni con lo stesso dedotte.

Sussistono giuste ragioni – tenuto conto della complessità delle questioni, essendo la normativa di riferimento entrata in vigore quando la procedura concorsuale era già in itinere – per disporre la compensazione delle spese del giudizio tra le parti.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso N. 11750/2007 R.G., come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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