Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 15-04-2011) 30-05-2011, n. 21607 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

SSO Aurelio che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo

1. Il 14 luglio 2010 il Tribunale di Reggio Calabria, costituito ai sensi dell’art. 310 c.p.p., rigettava l’appello proposto da T.F. avverso l’ordinanza del Tribunale di Locri che, in data 6 maggio 2010, aveva respinto la richiesta di scarcerazione dell’indagato per decorso del termine di fase della custodia cautelare in carcere disposta in relazione al delitto previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74.

Il Tribunale osservava che nei confronti di T. il 2 maggio 208 era stato emesso decreto di rinvio a giudizio in ordine al delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 1, essendogli stato contestato il ruolo di finanziatore. Per tale delitto il termine di fase, non ancora scaduto, è pari a un anno e sei mesi di reclusione. In ogni caso, anche a volere ritenere che l’imputato debba rispondere non del delitto di cui al primo comma, bensì di quello previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 2, il termine di fase è in ogni caso pari a un anno e sei mesi di reclusione, atteso che il reato di partecipazione ad associazione per delinquere finalizzato a traffici di droga è punito con una pena che, essendo indicata solo nel minimo, nel massimo deve essere individuata, nel massimo, pari a ventiquattro anni di reclusione ai sensi dell’art. 23 c.p.p. (Sez. Un. 24 aprile 2002, n. 26350).

2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, T., il quale lamenta erronea applicazione dell’art. 303 c.p.p., comma 1, lett. b), n. 3 e art. 304 c.p.p., comma 6, alla luce delle più recenti elaborazioni della giurisprudenza di legittimità secondo le quali, mentre per il delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 1 i termini massimi di fase sono pari a sei anni, per il reato di mera partecipazione gli stessi sono di quattro anni. Tali pronunzie appaiono conformi alla ratio legislativa, tesa a diversificare sotto ogni profilo i due reati, contraddistinti da una differente pericolosità sociale. Nel caso di specie, dal capo d’imputazione si evince chiaramente che T. risponde del reato di mera partecipazione e, pertanto, i termini di fase sono pari soltanto ad un anno.
Motivi della decisione

Il ricorso non è fondato.

1. L’art. 278 c.p.p. codice di rito stabilisce che "agli effetti dell’applicazione delle misure si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato".

Ai fini del computo del termine di fase delle indagini preliminari si deve aver riguardo al reato contestato nel provvedimento restrittivo, costituito dalla reciproca integrazione dell’ordinanza cautelare emessa dal giudice per le indagini preliminari e di quella pronunciata ex art. 309 c.p.p. dal tribunale del riesame, in quanto il "delitto per cui si procede" è quello enunciato nell’imputazione del provvedimento restrittivo.

In tale prospettiva correttamente i giudici di merito hanno evidenziato che T. è accusato non in qualità di mero partecipe, bensì di finanziatore del sodalizio e, dunque, è chiamato a rispondere non del delitto previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 2, bensì di quello di cui al comma 1 della medesima disposizione che prevede una pena della reclusione non inferiore a venti anni con conseguente applicazione del termine di fase stabilito dall’art. 303 c.p.p., comma 1, lett. b), n. 3. 2. La circostanza che il D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 1, non preveda la pena massima, stabilendo solo la pena minima, non significa che la determinazione della prima sia lasciata alla disponibilità del giudice e che, perciò, il termine della custodia cautelare sia variabile in relazione alla pena in concreto irrogata ma, più semplicemente, impone di fare ricorso alla regola generale di cui all’art. 23 c.p. che fissa, in via generale, il limite massimo della reclusione in ventiquattro anni (Sez. U, 24 aprile 2002, n. 26350).

Tale limita massimo vale anche per l’ipotesi di partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata a traffici di sostanze stupefacenti, atteso che, anche per tale reato, è fissata solo la pena minima (dieci anni di reclusione) e che, quindi, per quella massima trova, ancora una volta, applicazione la regola generale contenuta nell’art. 23 c.p..

3. Ne consegue che, nel caso di specie, correttamente il Tribunale ha ritenuto che il termine di fase è di un anno e sei mesi di reclusione ai sensi dell’art. 303 c.p.p., comma 1, lett. b), n. 3 e che, quindi, non fossero maturati i presupposti per la scarcerazione di T..

In conclusione, risultando infondato in tutte le sue articolazioni, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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