Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 27-04-2011) 31-05-2011, n. 21798 Costruzioni abusive Reati edilizi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con ordinanza in data 2 luglio 2010 il Tribunale di Salerno rigettava la richiesta di riesame, proposta nell’interesse di G.B., avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP del Tribunale di Nocera Inferiore il 27.5.2010 ed avente ad oggetto un manufatto insistente in zona E del Comune di (OMISSIS), ipotizzandosi a carico del G. il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, nonchè il reato di cui all’art. 323 in concorso con il funzionario del Comune che rilasciava il premesso di costruire n. 42 del 2005 e la variante in data 30.11.2005, ed il reato di cui all’art. 481 c.p..

Dopo aver riepilogato la vicenda e ricordato che il GIP aveva ritenuto la violazione della normativa urbanistico-edilizia così macroscopica (non poteva essere rilasciato alcun permesso in quanto il fabbricato apparentemente rurale era destinato ad attività imprenditoriale incompatibile con la destinazione dell’area) da essere sintomatica di una collusione tra p.u. e privato, assumeva il Tribunale che ricorresse il fumus dei reati ipotizzati e che fossero infondati tutti i rilievi difensivi. Era da escludere, innanzitutto, che per i lavori ritenuti abusivi fosse sufficiente una DIA, risultando evidente che la realizzazione di strutture, assimilate dai tecnici a balconi, determinasse la destinazione del sottotetto ad abitazione. Assentire tale opera, con la variante al permesso di costruire n. 42/2005, in contrasto con le prescrizioni previste per la zona E, era quindi sintomatico della volontà di favorire l’indagato. Quanto alla sentenza del TAR (n.4369/208), il giudice amministrativo, chiamato a decidere sul silenzio rigetto della P.A. in relazione alla richiesta di permesso di costruire in sanatoria, si era limitato all’annullamento in quanto la determinazione negativa dell’Ente era priva di motivazione.

Essendo la distanza dal Fosso Imperatore inferiore a 150 metri, come emergeva dal certificato di destinazione urbanistica, era necessario nulla osta ambientale ed anche sotto tale profilo il rilascio del titolo abilitativo costituiva macroscopica violazione della normativa. Agli atti, infine, della pratica edilizia mancava qualsiasi documentazione in ordine alla qualifica di imprenditore agricolo del G., per cui, sotto il profilo dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 323 c.p., tale circostanza non era nota al funzionario che aveva autorizzato l’incremento di volumetria.

2) Ricorre per cassazione G.B., eccependo la nullità dell’ordinanza per violazione di legge.

Assume che inizialmente era stato emesso decreto di sequestro preventivo d’urgenza in data 26.10.2007 per alcune difformità rispetto al permesso di costruire n. 42/05; che la difesa in sede di istanza di revoca aveva dedotto che tali interventi rientravano nella categoria delle varianti in corso d’opera assentitali con DIA; che la Procura della Repubblica, dopo tre anni di stasi delle indagini preliminari, aveva avanzato nuove contestazioni, ipotizzando, non più la sola difformità dei lavori eseguiti, ma la illegittimità del permesso di costruire n. 42/05; che, avverso il nuovo decreto di sequestro preventivo del GIP del Tribunale di Nocera Inferiore era stato adito il Tribunale del riesame.

Tanto premesso, deduce che il Tribunale ha fondato le proprie asserzioni su basi fattuali e giuridiche inesistenti. Pur essendo le opere ancora in corso di esecuzione e pur non potendosi desumere da alcun elemento in atti, ha presunto una diversa destinazione d’uso del sottotetto attraverso improbabili giudizi prognostici di natura congetturale.

Con il secondo motivo denuncia la violazione di legge e la mancanza di motivazione in relazione alle opere oggetto di contestazione. Il Tribunale omette, infatti, ogni valutazione in ordine alle altre opere oggetto di contestazione (vani ingresso e balconi), soffermandosi solo sul presunto mutamento della destinazione d’uso ed affermando solo genericamente che le opere non fossero assentibili con DIA. Nè può parlarsi di rinvio alla motivazione del provvedimento impugnato (l’unico richiamo infatti riguarda ancora una volta il sottotetto).

Il Tribunale quindi non si è pronunciato sulle prospettazioni difensive circa l’assentibilità di quelle opere con DIA. Con il terzo motivo denuncia la violazione di legge in relazione alla contestata realizzazione del sottotetto, non risultando provato il mutamento della destinazione d’uso.

Con il quarto motivo denuncia l’erronea applicazione e violazione del D.Lgs. n. 42 del 2004 e della L. n. 241 del 1990, art. 2, comma 8.

Contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale non vi era alcuna necessità di nulla osta ambientale, non trovandosi il manufatto a distanza di 150 metri dal Fosso Imperatore. Quanto alla sentenza del TAR, il riesame non ha tenuto conto che in motivazione si affermi che "allo stato degli atti non vi è censura alcuna in ordine alla liceità delle opere".

Con il quinto motivo denuncia la violazione della L. n. 241 del 1990, nonchè la mancanza e manifesta illogicità della motivazione relativamente alla qualifica di imprenditore agricolo. Lo stesso Tribunale riconosce che il G. è imprenditore agricolo. E’, allora, difficilmente ipotizzarle che chi è titolare di una qualifica, ricorra ad un presunto accordo collusivo per ottenere ciò che gli spetta. Peraltro il G., in sede di rilascio di altra concessione edilizia nel 2001, aveva depositato il certificato in ordine a detta qualifica, per cui non era tenuto a depositare nuovamente tale documentazione.

Con il sesto motivo denuncia la violazione di legge e la mancanza di motivazione in ordine alla ritenuta configurabilità del reato di cui all’art. 323 c.p.p., essendo il permesso di costruire, per le ragioni esposte, assolutamente legittimo, e non emergendo alcun elemento per ipotizzare un accordo collusivo.

Il Tribunale, infine, richiama anche il reato di cui all’art. 481 c.p., senza tener conto che il decreto del Gip si fonda solo sulla astratta configurabilità del reato di cui all’art. 323 c.p. (il riferimento al reato di cui all’art. 481 c.p. era contenuto nella richiesta della Procura della Repubblica). Il Tribunale, in ogni caso, si limita a richiamare in premessa tale reato senza esprimersi in ordine alla sua configurabilità. 3) Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.

3.1) Va ricordato, preliminarmente, che è ormai pacifico (a partire dalla sentenza delle sezioni unite di questa Corte del 21.12.1993, ric. Borgia che il giudice penale, nel valutare la sussistenza o meno della liceità di un intervento edilizio, deve verificarne la conformità a tutti i parametri di legalità fissati dalla legge, dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dalla concessione edificatoria. Il giudice, quindi, non deve limitarsi a verificare l’esistenza ontologica del provvedimento amministrativo autorizzatorio, ma deve verificare l’integrazione o meno della fattispecie penale "in vista dell’interesse sostanziale che tale fattispecie assume a tutela" (nella specie tutela del territorio).

E’ la stessa descrizione normativa del reato che impone al giudice un riscontro diretto di tutti gli elementi che concorrono a determinare la condotta criminosa, ivi compreso l’atto amministrativo (cfr. Cass. pen. sez. 3 21.1.1997 – Volpe ed altri). Non sarebbe infatti soggetto soltanto alla legge ( art. 101 Cost.) un giudice penale che arrestasse il proprio esame all’aspetto esistenziale e formale di un atto sostanzialmente contrastante con i presupposti legali (Cass.pen.sez.3 2.5.1996 n.4421-Oberto ed altri). Tutti tali condivisibili principi sono stati ribaditi da Cass. sez. 3 n. 11716 del 29.1.2001.

Il giudice deve, quindi, accertare la conformità dell’intervento ai parametri di legalità. 3.1.1) Già il GIP, nel provvedimento impositivo della misura cautelare, aveva rilevato i numerosi profili di illegittimità del permesso di costruire 22.11.2005 e della successiva variante del 31.5.2007, rilasciati al G. dal responsabile dell’Area Tecnica del Comune di San Marzano. Le specificate violazioni di legge (elencate a pag. 2 dell’ordinanza), in alcuni casi addirittura macroscopiche, inducevano a ritenere sussistente il fumus del reato di cui all’art. 323 c.p.. Pur prescindendo, poi, dalle difformità rilevate nella fase esecutiva era quindi certamente configurabile il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, essendo stato il manufatto realizzato in base a concessioni edilizie illegittime e quindi di fatto inesistenti.

Correttamente rilevava il GIP, ancora, che "L’individuazione dei numerosi profili di illiceità cui si è appena fatto riferimento, rende altresì evidenti le ragioni per le quali non può essere accolta la richiesta difensiva, fondata esclusivamente sulla presunta irrilevanza penale delle violazioni poste a fondamento del primo provvedimento cautelare, ormai superato".

Il Tribunale, in presenza di tali assorbenti considerazioni e di una impugnazione, con cui si continuava a far leva sulla liceità dei singoli interventi, nel rinviare alla motivazione del GIP si è, comunque, fatto carico di argomentare in ordine ai rilievi difensivi.

Quanto al sottotetto ha rilevato, sulla base di accertamento fattuale operato dai tecnici (e non di presunzioni o congetture), che la realizzazione di strutture assimilabili a balconi rivelava palesemente la volontà di adibire la struttura ad abitazione e non a favorire l’isolamento termico, per cui tale opera era certamente in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti e non era assentibile con DIA. Illegittima era conseguentemente la variante al permesso di costruire n. 42/2005 perchè in contrasto con le prescrizioni collegate con la zona E del Comune di San Marzano sul Sarno.

In relazione alla violazione del vincolo ambientale ha accertato il Tribunale, con motivazione adeguata e pertinente, che la distanza del Fosso Imperatore della costruzione era inferiore a 150 metri, come emergeva dal certificato di destinazione urbanistica allegato all’atto di compravendita del 29.12.1998. Era quindi necessario nulla osta ambientale, che non risultava neppure richiesto.

Quanto alla sentenza del Tar (secondo il ricorrente tale pronuncia aveva ritenuto la conformità di vani ingresso e balcone agli strumenti urbanistici), rilevava il Tribunale, attraverso una lettura corretta del provvedimento in atti, che esso imponesse alla P.A. di provvedere con una determinazione espressa ma non certo di "come provvedere".

L’illegittimità dei permessi di costruire e l’assenza del nulla osta ambientale rendevano, quindi, secondo il Tribunale, assolutamente abusivo l’intervento, per cui risultava pienamente giustificata, allo stato, l’adozione della misura cautelare.

Con il ricorso vengono riproposte, attraverso una formale denuncia di violazione di legge, censure che attengono sostanzialmente alla valutazione fatta dal Tribunale in relazione, in particolare, al mutamento della destinazione d’uso del sottotetto ed alla necessità di nulla osta ambientale.

Secondo le sezioni unite di questa Corte (sentenza n. 2/2004, Terrazzi), nel concetto di violazione di legge può comprendersi anche la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, quale ad esempio l’art. 135 c.p.p., che impone la motivazione anche per le ordinanze, ma non certo la manifesta illogicità della motivazione, che è prevista come autonomo mezzo di annullamento dell’art. 606 c.p.p., lett. e), nè tantomeno il travisamento del fatto non risultante dal testo del provvedimento. Tali principi sono stati ulteriormente ribaditi dalle stesse sezioni unite con la sentenza n. 25932 del 29.5.2008 – Ivanov.

Ma la motivazione del Tribunale, come si è visto, non può dirsi certamente apodittica o apparente.

Gli altri rilievi contenuti nel ricorso sono generici o irrilevanti, tenuto conto delle considerazioni assorbenti, sopra evidenziate, contenute prima nel provvedimento del Gip e poi in quello del Tribunale.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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